Racconti di qui è arrivato a Casa Tabarelli nelle vicinanze di Cornaiano a poca distanza da Bolzano, in una giornata di ottobre chiara e fredda. Sullo sfondo il Similaun dove, mi raccontano, è stata ritrovata una mummia di cinquemila anni, e il gruppo del Tessa. La casa ha più padri: Carlo Scarpa che ha impostato il progetto ispirato dalla bellezza del luogo con i declivi e i filari di viti, dalla cultura dei proprietari collezionisti discreti di opere d’arte e promotori di un design di qualità; Sergio Los che lo ha firmato e seguito; Gianni e Laura Tabarelli che l’hanno sognata. Per costruirla non è stato sbancato neanche un metro cubo di terreno.
Laura spunta dal vialetto oltre il cancello giallo e ci accoglie con la sua bellezza e la sua grazia. Forse è questa l’architettura, un ambiente dove l’uomo diventa migliore – più bello – e così arricchito arricchisce con la sonorità della sua esistenza lo spazio. Tracce di sviluppi che si intersecano.
Dal ’69 ad oggi la casa è rimasta “invisibile” nel paesaggio, si è incisa di storie umane e di opere, si è aperta e richiusa e poi riaperta, ha respirato e vissuto.
Racconti di qui parla di luoghi offesi, bellezze schiacciate, sogni che lottano per sopravvivere. Microviaggi dolorosi nel territorio campano. Due “qui” molto distanti.
O forse no.
Nulla di ciò che accade ci è estraneo, ovunque accada, “qui” o lì a diecimila chilometri. Le crepe dei marciapiedi di “qui” sono le stesse ovunque, implorano “cura”. Abitiamo lo stesso identico destino. E ne siamo artefici. Vaclav Havel racconta di abitare con il proprio “io” il punto centrale di una serie di anelli concentrici, dal microcosmo della sua camera e della sua cella fino alla città, fino alla nazione, fino alla lingua, l’istruzione, le abitudini, fino al pianeta, fino al cosmo.
Non ci è estraneo e ne siamo preoccupati.
"Sono qui perché nutro (…) oscuri presentimenti di minacce che incombono su tutta l’America: e spero che le dimensioni ridotte di questa contea mi consentano di vederci più chiaro", dice William Least Heat-Moon nelle prime pagine di Prateria –, la contea è un piccolo lembo di Kansas, che se pieghi la carta degli Stati Uniti, dice, capita proprio al centro delle piegature.
I “racconti di qui” parlano di fili d’erba, canne piegate dal vento, memorie di una mitologia personale che affiorano davanti a un vecchio lido sulla spiaggia o all’apparizione di rade lucciole in una notte estiva. Roba piccola, minimale. Lampi. Un metro quadrato di campo è un’epopea da raccontare, un luogo da esplorare fino a disvelarne il senso. Un buon punto di osservazione.
Vederci più chiaro, comprendere le ragioni e avviare processi di modificazione, piccoli processi beninteso, creazione di altri mondi visibili, o possibili. Un’idea ingenua? Un’idea eroica? L’eco di sogni condivisi. Ettore Sottsass alla domanda se si potesse incidere sulla realtà mi raccontò che da giovane aveva fatto un vaso di ceramica e l’aveva regalato alla sua ragazza che scoppiò a piangere: ecco – Ettore disse – allora ho inciso sulla realtà.
Facendo riferimento a questo, io credo che l’architettura da sola non ce la fa. Ha bisogno dell’ aiuto di tutti i linguaggi dell’arte. Una specie di lavoro congiunto, intrecci, relazioni e flussi, frammenti, slittamenti e ricomposizioni, frontalità e non. Un bisogno di ribadire, precisare, accentare, comprendere di più.
Oltre le vetrate di casa Tabarelli, a pochi metri, la sagoma di un edificio in costruzione, roba da speculazione, indifferente al paesaggio e all’architettura – ma chi ormai ama l’architettura? – è un attacco alla bellezza. Persino “qui”.
Chi lo salva alla fine l’uomo, se ancora sia possibile? Una cordata – come per le aziende in crisi – di parole architetture musiche quadri, qualità autonome accostate, la qualità della parola scritta, la qualità dello spazio architettonico, la qualità dei suoni, una cordata infine unita come struttura di un ambiente.
I pochi edifici che ho fatto e le cose che ho scritto sono per me come stazioni di un unico percorso e la meta si sposta sempre più in là.
Davide Vargas
Davide Vargas, Racconti di qui, prefazione di Giuseppe Montesano, con 12 fotografie di Luigi Spina, Tullio Pironti editore, Napoli 2009.