Agente-Agisce-Agito

Intervista a Marta Dell'Angelo, autrice dell'opera presentata dal 13 al 18 settembre nello Spazio mostre del Museo del Novecento.

Per il secondo appuntamento, della serie Primo piano d'artista a cura di Alessandra Galasso, nello Spazio mostre del Museo del Novecento, Marta Dell'Angelo ha presentato AGENTE-AGISCE-AGITO. Pensieri in movimento. Il lavoro prevedeva, come tutti quelli della serie, la partecipazione attiva degli spettatori. L'artista ha scelto tre diverse modalità di coinvolgimento: la possibilità di fotocopiare pagine dei testi che hanno nutrito questo lavoro, la possibilità di sedersi a riflettere, oltreché guardare, e cinque incontri, all'interno dell'installazione, moderati dalla neuroscienziata Ludovica Lumer. L'esito dell'intero lavoro è stato, tra l'altro, il coinvolgimento di un pubblico molto più ampio di quello dell'arte.

Simona Bordone: Leroi-Gourhan ne Il gesto e la parola fa una complessa analisi delle funzioni della mano a partire dalla struttura fisiologica, in sostanza il pollice opponibile è ciò che fa la differenza tra uomo e scimmia. Ne deriva che la complessità dello 'strumento' mano è, semplificando, condizione preliminare per lo sviluppo della parola.
Nei video che hai presentato i corpi dei parlanti sono stati cancellati lasciando soltanto le mani. Il risultato sta tra il frammento scultoreo e la famiglia Adams… Come mai hai scelto questa parte del corpo umano?

Marta Dell'Angelo: Si tratta di scegliere e scartare, è la prima volta che mi concentro solo sulle mani e la loro articolazione nello spazio. Ho dedicato diverso tempo ad ascoltare interventi di pensatori di varie discipline, non potendo scindere la comprensione dei significati dal gesticolare dei corpi.
I gesti che si ripetevano sembravano identici ma in realtà mai esattamente uguali come sono le fiamme di un fuoco o le onde del mare, sempre uguali sempre diverse.
Il gesto è spesso inscindibile dalla parola e l'idea di eliminarla insieme al contesto che lo circonda è il tentativo di portare chi guarda su un livello parallelo di comprensione del mondo.
Marcel Jousse nell'Antropologia del gesto scrive: "il Linguaggio è anzitutto Mimaggio. È mimodramma quando si trova allo stato di gesto vivente, è mimogramma quando è proiettato e inciso su una parete, ed è fonogramma quando lo scriviamo pronunciandolo".

In apertura e qui sopra: i monitor con i video sulle mani e il pubblico che occupa lo spazio guardando e leggendo

I gesti sono un linguaggio declinato in diverse 'lingue' locali. Tra queste il LIS, linguaggio dei segni usato dai sordomuti, è uno dei più sofisticati. Ma anche il contare con le mani prevede gesti differenti in Italia e negli Usa, oppure dire sì e no con la testa in Asia si fa al contrario che in Europa.
Credi che la tua ricerca sia comprensibile ovunque nel mondo?

Mi piacerebbe viaggiare di più, anche se ho già avuto diversi incontri con esseri umani molto lontani dal mio modo di vivere con i quali per comprendersi era necessario usare altri tipi di linguaggio e il corpo ha sempre funzionato benissimo.
Per esempio avevo relazioni quotidiane con bambine cinesi di diverse età che, a causa del tipo di vita che conducevano, non avevano ancora sviluppato alcuna coscienza del proprio sé emotivo, per esempio succedeva che la sensazione del classico nodo in gola da loro veniva tradotta: "oddio sto soffocando devo correre da un medico" quando invece si erano semplicemente emozionate.
In Brasile mi sono trovata a giocare a calcio con una squadra femminile professionista: comunicavamo solo attraverso le azioni di gioco e ciò bastava per comprenderci alla perfezione.
A Milano ho conosciuto un gruppo di ragazzi proveniente dalle zone di guerra del Darfour, che si sono fatti coinvolgere in un mio lavoro, Faccia a Faccia, dove seduti uno di fronte all'altro e guardandosi negli occhi, giocavano al gioco del primo che ride. Il tipo di relazione che lega le immagini (video, dipinte, fotografate, disegnate o scritte) del mio lavoro, si alimenta e vive delle percezioni visive che ho sperimentato e sperimento come persona.

I libri a disposizione del pubblico: le fotocopie come strumento di approfondimento

Hai invitato studiosi di differenti discipline a entrare nella tua installazione e a raccontare il loro punto di vista sul gesto. Ma questo non è sufficiente a definire un lavoro autenticamente interdisciplinare. In che senso, allora, il tuo lavoro attraversa i confini disciplinari?
Non sono io che posso definire il mio lavoro interdisciplinare, so che vivo in questo modo la mia vita quotidiana: vivo alla Barona, in una fabbrica dismessa, dove la specificità del luogo è quella di raccogliere non solo artisti, che in quanto tali sono coscienti di un certo tipo di vita e di ricerca, ma anche tante persone che cercano disperatamente un posto dove vivere o sopravvivere, dove nascondersi, un posto dove lavorare. È il luogo perfetto da cui prelevare un campione pienamente rappresentativo della varietà umana: ci sono cinesi, rumeni, africani, bulgari, polacchi, sudamericani, tutti con situazioni personali e culturali molto differenti.
In questa settimana la mostra è stata frequentata da professionisti legati alla danza e alla musica, psicomotricisti dell'età evolutiva, studenti di psicologia, insegnanti di diverse discipline ma anche da curiosi e gente comune che come gli altri hanno partecipato all'opera, entravano, si fermavano nello spazio sedendosi, guardando, leggendo, facendo fotocopie, prendendo appunti, incontrando altre persone, ascoltando interventi provenienti da spunti di ricerca diversi ma intorno allo stesso tema. Forse questo ha a che fare anche con l'interdisciplinarietà.

Avevo relazioni quotidiane con bambine cinesi di diverse età che non avevano ancora sviluppato alcuna coscienza del proprio sé emotivo, per esempio succedeva che la sensazione del classico nodo in gola da loro veniva tradotta "oddio sto soffocando devo correre da un medico", quando invece si erano semplicemente emozionate
Particolare dell'installazione

Le sedie nella tua installazione: non soltanto un invito rivolto ai visitatori a fermarsi ma anche, per la varietà degli oggetti, una specie di tassonomia delle forme. Ci racconti perché le raccogli?
Si raccoglie e si trasforma. Spesso esco da casa e trovo una seggiola abbandonata, a volte vicino ad un cassonetto, a volte agli angoli delle strade e devo dire che ultimamente il connubio seggiola e televisore sembrava una nuova accoppiata, così a volte semplicemente penso: quella seggiola è ancora buona e anche bella, è un peccato che venga buttata; allora la prendo e poi in modo naturale nascono dei progetti. Uno di questi, che ha proprio a che fare con le seggiole, sarà i primi di novembre a Bologna presso Nosadella 2 in collaborazione con il Mambo, dove in un allestimento più complesso saranno presenti una quindicina di seggiole abbandonate su cui ho scritto in diverse lingue del mondo la stessa frase "Quando si è seduto le sue cosce si sono allargate del doppio". È una frase legata alla visione di un'azione, una frase che non si dice, ma si pensa. Simona Bordone

Marta Dell'Angelo vive e lavora a Milano. È un'artista di respiro internazionale. Da anni la sua ricerca è incentrata sul corpo umano e in particolare su quello femminile.

Uno dei cinque incontri che si sono tenuti in dialogo col pubblico
Veduta dell'installazione