All’inizio della mia conversazione con Willo Perron c’è un momento di stallo. Lo schermo arranca, in buffer, facendo perdere le prime timide parole di presentazione. C’è un angolo dell’appartamento del direttore creativo canadese residente a Los Angeles in cui la connessione internet è debole, il che è rassicurante. Anzi, è incredibilmente rassicurante sapere che anche uno dei più influenti creativi sul pianeta sia affetto dagli stessi problemi con cui noi, mortali, dobbiamo fare i conti quotidianamente.
A parte questo inconveniente, Willo è come te lo immagineresti: cool ma senza sforzo. Seduto in una t-shirt girocollo in cotone bianco (probabilmente organico), con una tazza raffinata tra le mani ed un paziente sorriso ammaliante, Perron potrebbe tranquillamente essere quel papà hip di uno dei tuoi amici. Willo è quel tipo di genitore che, per stupire gli amici del figlio, d’un tratto tirerebbe fuori una copia di ‘Three Feet High and Rising’ dei De La Soul o un paio di Air Jordan originali ed un po’ graffiate dall’armadio, così da dimostrare – non senza una certa dose di compiacimento – che a suo tempo anch’egli ha saputo essere giovane ed alla moda. A dire il vero, Willo – pur provando a convincermi del fatto che conduce una vita “del tutto normale, senza paparazzi o nulla di simile” – ha vissuto tutta la cultura pop che conta ed oggi, ancor più di ieri, ne è protagonista. Non stupisce, dunque, se a metà della nostra conversazione Willo inizi a parlare dei Beastie Boys e della club culture americana degli anni ’80.
Perron, infatti, si è fatto le ossa gestendo una serie di etichette discografiche, organizzando eventi e disegnando flyer a Montreal, Canada, la sua città natale, prima di essere introdotto al rapper e visionario Kanye West nel 2006 per poi così iniziare, passo dopo passo, a imporsi sulla cultura pop americana, prima da solo e poi in partnership con il grafico Brian Roettinger a partire dalla loro collaborazione nel 2011 all’album ‘Magna Carta’ di Jay Z.
L'importanza della consapevolezza nell'evoluzione della cultura pop
Il suo ultimo sforzo creativo – gli interni del negozio di Los Angeles del brand di intimo femminile Fleur Du Mal – ha però riportato Perron alle sue radici. La fondatrice del marchio, Jennifer Zuccarini, condivide con Willo i natali canadesi, condizione che ha portato i due a lavorare assieme. Il progetto Fleur Du Mal mette in luce come la brand awareness ed una certa sinergia con il committente siano fondamentali nel dare vita ad una visione creativa.
“Conosco Jennifer da molto tempo, perché abitava a Montreal, dove sono cresciuto. Sono a conoscenza della sua energia e di cosa cerca di comunicare. Arrivato a questo punto della mia carriera, posso dire di essere fortunato nello scegliere i clienti con cui lavorare. Ad ogni modo, in linea generale, ogni volta che accettiamo un progetto studiamo e ricerchiamo a fondo il brand, così da dimostrare che ne abbiamo capito il tipo di clientela e chi andrà ad interagire con le nostre decisioni. Sta tutto nell’essere precisi. Solitamente ci domandiamo ‘Come possiamo migliorare qualcosa, come possiamo affinarlo?’ Il nostro approccio sta nel non mutare completamente un brand o un prodotto,” spiega Perron.
Ciò che sta a cuore a Willo – e allo stesso tempo fa distinguere il suo studio – è “l’importanza di non lavorare su una singola estetica, ma di sviluppare un intero concept,” come dimostrato dal Grammy Award assegnatogli per il lavoro sull’identità visiva dell’album ‘Masseduction’ di St. Vincent. Questo approccio ricco di dedizione può essere rintracciato negli enigmatici e sfarzosi interni del negozio Fleur Du Mal, spazi permeati da un aggiornamento contemporaneo della peccaminosa eleganza del cinema soft-erotico degli anni ’70. La direzione creativa di Perron mette in luce come il canadese sia sublime nel sapersi destreggiare nella giungla di citazioni e riferimenti che è la cultura post-moderna.
Non devi essere certo un genio per cogliere e scegliere le tue citazioni, credo che sia molto facile comprenderne i cicli. Al momento quasi tutte le reference sono legate al post-modernismo, precedentemente al modernismo, al mid-century, e così via. Ad ogni modo, ciò che è davvero importante, è che quando si prendono alcuni elementi e li si mischia assieme non bisogna dimenticarsi dell’esistenza di nuovi materiali e tecniche costruttive.
"È fondamentale evitare di creare repliche solo per il semplice gusto estetico. Per esempio, pensa a delle sedie mid-century francesi bellissime ma incredibilmente scomode a sedercisi. La cosa migliore della ciclicità dei trend è l’avere l’opportunità di avere una seconda chance con simili oggetti. Possiamo far si che siano sia belli che ergonomici, anziché avere semplicemente un flusso di reference esteticamente appaganti sullo stile di Instagram o di un blog molto cool. In quel caso il rischio è che queste citazioni si perdano in caricature, sai, un po’ come quelle persone che vogliono esclusivamente vestirsi in stile anni ’70 o ’80. Il vero significato delle cose rischia di perdersi così facendo.”
Multitasking ma specializzato: il creativo del domani
Coloro non familiari con il lavoro di Perron potrebbero sorprendersi della varietà dei clienti del creativo e, di conseguenza, delle sue reference. In meno di due decenni, Willo è passato dallo strizzare l’occhio all’architettura High Tech nel progettare gli interni della catena di abbigliamento American Apparel, così influenzando un’intera generazione di sofisticati adepti della scena Indie, al condizionarne un’altra curando l’identità dei concerti del rapper Travis Scott. Si deduce, dunque, che il segreto di Perron stia nella capacità di gestire simultaneamente un insieme di progetti concernenti non solo committenti diversi, ma anche ambiti che spaziano dall’arredamento al design delle copertine di dischi. Nonostante Willo concepisca l’essere multitasking come una necessità strutturale del creativo del futuro, egli vede l’attuale tendenza al multi-genere come un processo richiedente di molte più capacità.
Io cerco sempre di comprendere a fondo le persone con cui lavoro, come nel caso della tranquillità degli XX, della nuova opulenza post-moderna di Drake o dell’indole artistica tormentata di Kanye [West], ma capisco che non è per tutti.
A dire il vero, sono tutt’altro che uno specialista in tutti i campi, quindi ammiro chi è bravo in ogni c***o di cosa faccia,” scherza Perron, “Credo che tutti i designer sono destinati a diventare sempre più multidisciplinari soprattutto perché l’aspetto tecnico del mestiere non è così proibitivo come lo era per le generazioni passate. Un singolo individuo oggi può girare un video, fare delle grafiche al computer, scattare delle fotografie, mandare una t-shirt in stampa e metterla in vendita il giorno successivo. In passato tutte queste fasi richiedevano delle conoscenze specifiche che necessitavano di tempo per essere apprese a dovere.
“Credo, dunque, che i creativi del domani saranno multidisciplinari ma non multi-genere, in quanto ciò richiede molta più esperienza e delle conoscenze davvero approfondite. Nel caso del nostro studio, per esempio, siamo abituati a lavorare su progetti marcatamente mainstream e subito dopo su altri molto più intimi e sofisticati. A ogni modo, la cosa più importante è la fiducia che ricevi dalle persone,” chiosa Perron.
La fine della cultura ibrida
La capacità di muoversi agevolmente attraverso generi, stili, trend e discipline è, senza dubbio, l’asso nella manica di Willo. Giunti al 2021, le barriere tra musicisti, brand di abbigliamento ed addirittura provider di pornografia (come nel caso di Pornhub, cliente di Perron) si sono fatte sempre più fluide, al punto che non solo i creativi ma anche i consumatori vedono queste entità come interlocutori intercambiabili in dialogo sullo stesso piano. Perron, però, reputa che l’attitudine cross-genere che permea la cultura contemporanea sia giunta al capolinea.
“Quando ho iniziato era tutto un copiare video di artisti, capi di moda, oggetti di designer e farne delle re-interpretazioni. Di conseguenza, il mio primo approccio con Kanye e [Lady] Gaga fu improntato sul coniugare la musica con la moda e l’arte vera e propria. Il mio punto era ‘Non copiamo cose, non possiamo creare una versione illegittima di qualcosa. Se siamo influenzati da un artista, chiamiamolo!’ Certo, si tratta di una persona di un’opinione in più nella stanza, ma per lo meno otterremo un risultato decisamente migliore,” spiega Perron.
"Da quel momento in poi l’approccio elitario del mondo delle arti e dell’industria della moda è diventato più ibrido. La cultura ibrida delle arti, però, sta arrivando al capolinea, almeno per me."
Al momento non ci sono più cose davvero distinguibili e comunicanti punti di vista veramente unici. Pensa alla moda, per esempio: l’outerwear somiglia allo streetwear, che a sua volta somiglia all’abbigliamento formale o allo sneakerwear. Stiamo perdendo ogni forma di legittimità all’interno del settore.
Questo trend, secondo Perron, si estenderà presto all’intera industria creativa, compresa la musica, in cui egli predice un ritorno “a una fase di scene pure, come accaduto tra la metà e la fine dei ’90, quando il rap era rap, il grunge era grunge, la house e la techno rappresentavano una nicchia ben specifica, e così via.”
“Gli ultimi anni hanno ricordato più i tardo ’80, quando Blondie faceva i featuring con Grand Master Flash, o Madonna se ne andava in giro con i Beastie Boys,” spiega Perron con la passione di un ragazzino ancora fortemente attratto dalla cultura pop. “Tutti uscivano assieme, come accadeva allo Studio 54. Questo è ciò che è successo alla cultura recentemente.”
Brand e artisti come microcosmi
Senza dubbio questo approccio ibrido ed estremamente versatile alla cultura pop ha rappresentato la fortuna di Perron all’interno dell’industria creativa. Ciò solleva però interrogativi su quanto le creazioni di Perron siano frutto di un semplice cavalcare trend e su quanto nei suoi lavori si possa effettivamente rintracciare uno stile organico e autentico.
Il modo in cui egli parla dei fenomeni giovanili - tema in cui Perron è coinvolto con la dedizione equiparabile a quella di un sociologo - però, fornisce una risposta a riguardo. Da ciò emerge che il succeso di un creative director è insito nella sua capacità di saper cogliere lo zeitgeist e mutare il proprio stile in base alla costante evoluzione dei trend e della cultura pop. E' dunque l'abilità di comprendere i mutevoli scenari culturali e di adattarsi ad essi - anche se questo comporta l'andare in una direzione opposta a quella precedentemente intrapresa - ciò che fa la differenza nel lavoro di Perron.
C’erano gatekeeper ovunque all’epoca, perciò se eri curioso dovevi immergerti completamente nei mondi che ambivi esplorare. [...] Noi rispettavamo le sottigliezze dei vari microcosmi e per me tutto ciò sono diventati gli artisti e i brand con cui lavoro.
“Sono cresciuto in un’epoca ricca di microcosmi. Per poterli comprendere a fondo dovevi essere in grado di accedervi, altrimenti eri considerato un outsider. L’Hip Hop stava nascendo, il Punk stava facendo altrettanto, così come la cultura skate. La musica Dance si stava trasformando in House e Techno, i club gay iniziavano ad aprire.
C’erano gatekeeper ovunque all’epoca, perciò se eri curioso dovevi immergerti completamente nei mondi che ambivi esplorare. Non potevi entrare in un negozio e comprare qualsiasi disco tu volessi, tenevano quelli buoni per i clienti con cui c’era un’intesa speciale. Sai, dovevi conoscere le persone giuste, e così succedeva con i locali: non ti facevano entrare se non avevi il look giusto. Noi rispettavamo le sottigliezze dei vari microcosmi e per me tutto ciò sono diventati gli artisti e i brand con cui lavoro. Per esempio, Florence [Welch, cantante di Florence + The Machine] è un microcosmo a sé stante.”
L'influenza mondiale del lavoro di Perron
Cosa, indubbiamente, non può certo essere descritto come un microcosmo è il mercato statunitense in cui Willo opera. Lavorare sull’identità visiva di concerti da arena come quelli di Rihanna, piuttosto che sugli interni di negozi di brand come Stussy, può infatti avere un devastante impatto culturale e finanziario su scala globale. Addirittura, si potrebbero sollevare più ampie questioni etiche riguardo a come l’attività di un singolo creativo, che affonda le sue radici nello stile di vita e nella cultura pop americana, possa plasmare un pubblico internazionale.
Ciò che facciamo, spesso si trasforma in PR-Art. L’attività lavorativa diventa una notizia piuttosto che un negozio sostenuto dalle vendite. Sono consapevole che sia un modello economico piuttosto bizzarro, ma da ciò ne traggo beneficio perché abbiamo l’opportunità di sperimentare, di essere più esuberanti ed accedere a budget più alti.
“Per farti un esempio, al momento stiamo lavorando su un negozio pop-up che non esisterebbe nemmeno in un mercato secondario,” racconta Perron. “Ciò che facciamo, spesso si trasforma in PR-Art. L’attività lavorativa diventa una notizia piuttosto che un negozio sostenuto dalle vendite. Sono consapevole che sia un modello economico piuttosto bizzarro, ma da ciò ne traggo beneficio perché abbiamo l’opportunità di sperimentare, di essere più esuberanti ed accedere a budget più alti.”
Ancora una volta l’attitudine di Perron – propria di un teenager che per la prima volta nella sua vita, sollevato lo sguardo, si trova a contemplare, stupito e quasi inebetito, i fasci di luce e l’energia selvaggia proiettati da un palcoscenico – emerge.
“Non credo di aver mai realizzato l’impatto di ciò che faccio sulla realtà, ho sempre percepito tutto come se fosse molto piccolo. Mi è sempre sembrata una questione legata al nostro studio: noi impegnati a fare cose belle e a ricevere dei riscontri positivi, nulla di più. Per quanto riguarda le responsabilità, tendo a prendere ciò che ho tra le mani e farne una versione migliore. È lo stesso approccio che ho quando devo affrontare un progetto.”
Qualità e intimità la chiave del dopo-Covid
È indubbio l’ottimismo che permea il canadese, anche quando si discute l’impatto che il Covid ha sin ora avuto sul suo settore e su come lo condizionerà strutturalmente nei mesi a venire. Stando alla visione di Perron, il futuro dell’intrattenimento dal vivo – similmente a quello dell’intera industria creativa – stia nel saper fare un passo indietro, ripensando a come non sia necesario strizzare simultaneamente l’occhio a molti settori, dunque imparando a creare qualcosa di significativo anche se in situazioni più intime.
Il Covid ha senza dubbio avuto un impatto sulla dimensione delle produzioni dal vivo, ma allo stesso tempo bisogna considerare che le persone guardano all’intrattenimento in stiuazioni difficili.
“Il Covid ha senza dubbio avuto un impatto sulla dimensione delle produzioni dal vivo, ma allo stesso tempo bisogna considerare che le persone guardano all’intrattenimento in stiuazioni difficili. Dunque, aldilà di questo settore, siamo stati impegnati come sempre. Credo che dopo un anno e mezzo trascorso a guardare Netflix in tuta, i giovani ambiranno ad una nuova prospettiva con cui guardare alla vita. Sono certo che non vedranno l’ora di vestirsi e pavoneggiarsi nuovamente. Andranno compeltamente fuori di testa!”
Immagine di apertura: Il direttore creativo Willo Perron, foto Vincent Haycock