“[...] proprio al momento in cui la casa vien chiusa e vietata [...] al mondo esterno come non fosse che la difesa da un'infezione, come se fosse proprio necessario separarsi dalla natura come dal male, più che mai torniamo alla terra.” Che ci crediate o no, questo estratto proviene da un articolo intitolato Perché amiamo il verde pubblicato su Domus n°184 nel 1943. Già, nel 1943.
Trovato mentre sondavamo l'archivio storico della rivista in una recente giornata di clausura, il pezzo ci ha sorpresi per la duplice e curiosa coincidenza. Da un lato, l’idea della casa come rifugio da un male esterno - l’infezione - che, in una sorta di cortocircuito temporale, ci ha riportati immediatamente all’attuale situazione legata al Coronavirus; dall’altro, il proposito di tornare alla terra come rimedio all’alienazione urbana, che trova riscontro nel nostro personale presente. Affaccendati - corpo e mente - a prenderci cura delle nostre piante e di un orto improvvisato sul balcone, siamo stati felici di notare che già 70 anni fa alcune persone erano consapevoli dell’importanza di far entrare la terra, la polvere e, perché no, qualche elemento selvatico nelle nostre vite moderne disconnesse dalla natura.
Dai reportage su innovativi progetti paesaggistici alle recensioni sugli esemplari più adatti per gli interni cittadini - tra le raccomandazioni: ciclamini giganti e piante grasse - le piante sono ritratte in quasi tutti i primi numeri di Domus. I giornalisti e i collaboratori della rivista le elogiano come elementi estetici in grado di ammorbidire gli angoli spesso troppo duri degli edifici moderni e anche perché "con le piante entra in casa l’elemento paesaggio", come sottolinea l’articolo Il verde e la casa pubblicato anch’esso su Domus n°184 nel 1943. Un pezzo precedente, apparso sul numero 97 del 1936, suggerisce inoltre come le forme e i colori delle loro foglie e dei loro fiori possano essere "abilmente associati ai tessuti".
Questa versatilità probabilmente spiega perché "alle piante nessuno ha saputo chiudere decisamente la porta" (Il verde e la casa, Domus n°184, 1943), anche quelli che hanno "definitivamente rinunciato all'inutile" (Perché amiamo il verde, Domus n°184, 1943). Assistenti pacifiche, forse le piante sono apparse agli occhi dei discepoli del modernismo come le alternative perfette ai fronzoli eccessivi di mobili sgargianti e carte da parati riccamente illustrate. Riconoscendo l'utilità dell’elemento vegetale, illustri architetti - da Alvar Aalto agli Eames, da William Beckett ad Alvin Lustig - si sono “rivolti alle piante, ai fiori, con fiducia", suggerisce l’articolo Fiori nella casa del 1942 (Domus n°171).
È interessante notare che, fin dal suo primo numero nel 1928 - e per tutti gli anni '30, '40 e '50 - la rivista ha accompagnato le proprie narrazioni architettoniche e di design con consigli specifici sulla cura delle piante e suggerimenti di giardinaggio. Perché, dopo tutto, che senso ha incoraggiare i lettori a rinunciare a decorazioni seducenti in cambio di foglie e fiori, se non si danno indicazioni su come prendersene cura?
Collaboratrici come Giulia P. Vimercati e la paesaggista Maria Teresa Parpagliolo hanno regolarmente fornito indicazioni utili in tal senso. Attenzione particolare viene data alle caratteristiche di ciascun esemplare e alle abilità da coltivare per far crescere piante sane.
Un articolo intitolato Come si tengono le piante nella casa (Domus n°184, 1943), ad esempio, afferma che per curare adeguatamente le piante occorre essere allo stesso tempo buoni, curiosi, pazienti, indulgenti e amorevoli. Ma soprattutto "bisogna tener sempre presente che le piante sono degli essere viventi e quindi - come tali - hanno le loro incoercibili necessità di vita. Se le teniamo nelle nostre case, o sulle terrazze, o sui balconi, esse sono nostre prigioniere - come gli animali domestici tenuti in cattività - e quindi noi soli siamo responsabili del loro benessere perché siamo noi che le abbiamo tratte, per la nostra gioia, dal loro ambiente naturale dove trovano facilmente tutto ciò che è necessario per la loro prosperità".
In retrospettiva, quest’ultimo pezzo - che mette l’accento sul complicato rapporto umani-piante - risulta particolarmente progressista e attuale. Possiamo considerare le piante come semplici oggetti decorativi di cui disporre liberamente? Dopo più di sette decenni, la domanda rimane senza risposta.
Questo articolo è stato scritto dal team curatoriale di Plant Fever nel quadro di una ricerca attraverso l’archivio Domus sulla rappresentazione e l'utilizzo delle piante negli interni moderni nella prima metà del XX secolo.
Immagine di anteprima: foto Bernardo Ramonfaur su Unsplash