Alcova ci ha abituati ormai da qualche anno a mostre intelligenti che custodiscono l’anima sperimentale del Salone del Mobile e possiamo affermare con certezza che è l’evento imperdibile di questo fuorisalone. Oltre a farci scoprire i talenti emergenti e le nuove idee che corrono nel mondo del design, assolve anche un compito civico facendoci riscoprire luoghi nascosti e periferici di Milano. L’edizione di Alcova 2021 rappresenta la fase matura di un percorso avviato nel 2018, quando i fondatori – Joseph Grima con Space Caviar e Valentina Ciuffi con Studio Vedèt – videro in uno spazio industriale semiabbandonato di via Popoli Uniti 11 a Nolo, tutto ricoperto di verde spontaneo, il luogo ideale in cui accogliere quei creativi ‘puri’ che stavano davvero facendo qualcosa di concreto per cambiare il mondo.
Il design sperimentale di Alcova nell’ex Ospedale Militare di Baggio
Oltre ad aprirci le stanze abbandonate dell’ex Ospedale Militare di Baggio, Alcova è un viaggio fra i migliori designer contemporanei emergenti.
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
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Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto Marco Menghi
Foto DSL Studio
Foto DSL Studio
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- Marianna Guernieri
- 09 settembre 2021
“Già prima del Covid sentivamo il bisogno di uno spazio più grande, con più zone all’aperto. Ne abbiamo passati in rassegna altri dieci prima di scegliere questo. Si è rivelato profetico visto quello che è poi accaduto col covid” racconta Valentina Ciuffi di fronte a una palazzina abbandonata degli anni ‘20 completamente ricoperta da rampicanti. Il luogo è l’ex Ospedale Militare di Baggio e per chi come me, è cresciuto lì vicino guardando a quell’intero blocco tra via Forze Armate e via Simone Saint Bon come a una misteriosa fortezza rigogliosa di piante e recintata da un muro invalicabile con l’insegna “Zona Militare Divieto di Accesso”, poterci finalmente entrare è stato un vero regalo. La mostra è distribuita su tre edifici storici immersi in un parco che un tempo ospitavano la casa delle suore, la cappella e la lavanderia: un’idea di ospedale diffuso e olistico che oggi considereremmo all’avanguardia. L’area espositiva comprende un totale di 3.500 metri quadrati tra esterni e interni con i migliori allestimenti all’interno degli edifici: all’esterno le opere sembrano emergere casualmente, come se fossero sempre state lì.
Giardino
Tra le opere in mostra segnaliamo, in ordine di apparizione, la casa concettuale in tessuto di cemento di Marc Leschelier lungo il vialone di accesso. Una scultura che sottolinea l’importanza dell’autocostruzione e della libertà creativa nel’immaginare gli spazi. Di fianco sono allestiti, quasi come in un mercatino dell’usato, i lavori artigianali di Schemata Architects, un lavoro che a partire dal Padiglione Giappone alla Biennale di Venezia recupera gli scarti di cantiere e li riadatta con tecniche di lavorazione artigianali. Pezzetti di legno e compensato vengono assemblati e poi modellati grazie a un particolare tornio che modella qualsiasi cosa nella forma desiderata indipendentemente dalla forma dell’oggetto, perfino le pietre di fiume da trasformare in tappi di bottiglia. Il display, curiosamente, non è altro che l’involucro in poliuretano costruito dagli architetti per il trasporto dal Giappone e utilizzato come supporto: una valigia aperta che ci conferma come quest’anno si preferisca badare alla sostanza, più che alla forma.
Tra la Casa delle Suore e la Lavanderia troviamo l’installazione ‘povera’ del designer toscano Duccio Maria Gambi, che coglie questo invito come occasione per fare ricerca sull’essenza del design, ossia restituire significato ed emozioni, anche utilizzando materiali umilissimi come quelli di scarto in un cantiere che favoriscono l’autocostruzione e autodeterminazione. All’esterno le sue lampade si apprezzano soprattutto la sera, mentre all’interno dell’edificio promuove i lavori sperimentali di Sasha Ribera e Daniele Giannetti che dalla Manifattura Tabacchi di Firenze approdano ad Alcova con la mostra Aria di Cantiere. Segnaliamo anche i lavori del duo giapponese SPREAD, fondato da Haruna Yamada e Hirokazu Kobayashi che usano il colore, la stampa tipografica e il graphic design per rivitalizzare la nostra idea di design del paesaggio.
Casa delle Suore
All’interno di questo bellissimo edificio abbandonato, accolti dalla statuina di una Madonna all’ingresso, troviamo alcuni dei nomi più affermati nel mondo del design da collezione e della functional art. Prima fra tutte la galleria Nilufar, che ripropone la mostra Brassless – parte del progetto curatoriale FAR di Studio Vedèt per Nilufar – con i lavori, tra gli altri, di Anna Dilja Sigurdardottir, Bram Van der Beke e Wendy An, Objects of common interest, Destroyers/Builders, Alexander Vinther che decretano provocatoriamente la fine dell’uso (o abuso) dell’ottone nel mondo del design. Segnaliamo anche i lavori del collettivo di artisti e designer LABINAC fondato da Maria Theresa Alvez e Jimmie Durham per cui “la vita estetica è una vita che vale la pena vivere, oltre i nostri schemi quotidiani”.
Le due grandi terrazze, completamente ricoperte di piante infestanti sono occupate rispettivamente dai progetti di giovanissimi designer. Da una parte i giocosi arredi da esterno in tubolare di acciaio (non si scaldano al sole!) e i vasi in vetro colato del duo svedese Josefin Zachrisson & Mira Bergh, mentre dall’altro uno dei lavori più originali di tutta Alcova, ossia i tappeti di plastica che riproducono l’erba “brutta”, calpestata, infestata da piante di Ignacio Subias Albert, designer spagnolo che porta ad Alcova il suo progetto di tesi della Design Academy Eindhoven. Subias Albert denuncia le contraddizioni del nostro rapporto con la natura a partire dal prodotto ‘naturale’ più finto che esista: il prato. Il suo lavoro è un cortocircuito divertentissimo per cui gli ci sono voluti quattro mesi ininterrotti di lavoro certosino per realizzare i due tappeti che vediamo, che buttati lì sul pavimento rovinato sembra quasi uno scherzo. Non ultima l’installazione della designer americana Lindsey Adelman che ci fa vedere il mondo dell’illuminazione con occhi diversi: un tuffo un mondo parallelo fatto di alfabeti misteriosi, vetro soffiato e colato, catene di ottone, tecniche certosine per immergere le fonti luminose nel vetro. Un buon modo per uscire dai soliti schemi.
Lavanderia
Dove un tempo le suore igienizzavano gli indumenti, troviamo i due migliori allestimenti nel senso classico del termine. All’ultimo piano gli studenti del Master of Arts and Interior Architecture della Head Genève guidati da India Mahdavi portano un progetto di interni durato due anni che decostruisce una reference iconica: gli interni del Korova Milk Bar che vediamo nel film Arancia Meccanica. Il latte che viene offerto è vegetale e aromatizzato all’arancia. Sempre in Lavanderia un’altra mostra di giovani promossa dalla Swiss Arts Culture Pro Helvetia, i cui lavori sono stati ripresi anche nel Lost Graduation Show in Fiera. I dieci studi di designer svizzeri emergenti esplorano temi caldi nei settori medico, dell’ospitalità e della tecnologia: dall’incubatore per neonati portatile per le zone di guerra alle divise mediche biodegradabili. Passando invece all’artigianato la mostra di Trame recupera i saperi antichi del Mediterraneo: dalle maschere di ceramica calabresi di Giovanni De Francesco e Objects of common interest ai tappeti di Maddalena Casadei.
Tempio
Qui gli spagnoli di MUT design studio celebrano la prima decade dello studio con un’esposizione di arredi e mobili che hanno fatto un po’ la storia del design degli ultimi anni. Carwan Gallery non si smentisce mai e presenta le lampade organiche dello studio svizzero Hot Wire Extensions che riusano gli scarti della polvere di nylon della stampa in 3D unita a sabbia per creare oggetti attraverso una tecnica originale: all’interno di un contenitore-dima si introduce un filo di nichel cromo che viene poi riempito dagli agglomerati, dopodichè viene fatta passare la corrente elettrica attraverso il filo facendolo scaldare e indurendo così la miscela attorno. Il designer russo Andrey Budko ci diverte con tappeti di feltro a forma di orsi e altri animali mitologici in cui ha fatto ricamare attraverso tecnologie high-tech le nuove trame della contemporaneità: il leopardato, i tatuaggi e il mimetico militare.
- Alcova
- Space Caviar e Studio Vedèt
- via Saint Bon 1, Metro Inganni
- 4 - 12 settembre