La domanda potrebbe apparire anche piuttosto scontata a leggere le intenzioni di “Panorama, una mostra per occhi felici” a cura di Annalisa Rosso, allestita negli spazi Ex Meazza, 5VIE, durante la Milano Design Week e MiArt, dal 15 al 22 aprile. Ma è nella risposta di Valentina Cameranesi, designer classe 1980 che si occupa, insieme al socio Enrico Pompili, di creative direction e set design, che la banalità scompare e si rivela per la sua sofisticata raffinatezza.
Cosa guardano gli occhi per definirsi felici? Il sottotitolo che abbiamo dato viene dal libro Occhi Felici di Ingeborg Bachmann, la storia racconta di una ragazza che non vede molto bene. Lei fa di tutto per non mettersi gli occhiali e per non dover mettere a fuoco la realtà dal momento che ne è completamente insoddisfatta. Di fatto, gli occhi felici sono quelli che non vedono, un paradosso a pensarci.
Nel racconto Un paio di occhiali di Anna Maria Ortese, c’è una storia simile. Nel Secondo dopoguerra, una bambina, che non può permettersi gli occhiali, vede un mondo poco nitido, frutto della sua immaginazione. Vi accomuna una simile poetica: la tua da dove nasce? Il mio percorso include il design, dal momento che ho studiato Product design all’ISIA di Roma. Poi ci sono state tante altre esperienze professionali, a Parigi e in Veneto. Ho lavorato in Diesel per tanti anni, anche nella collezione Diesel Home Collection in partnership con Moroso e Foscarini. Poi collaborazioni, insieme al mio socio Enrico Pompili, con Cassina per cui abbiamo realizzato il libro This will be the place per i 90 anni dell’azienda. Quindi un nuovo progetto di set design con Poliform e nel mondo dell’editoria con Icon e PIN-UP. Sono molto legata alla moda, all’immagine, ma la mia ricerca personale verte sull’oggetto. Nel 2012 ho realizzato la mia prima collezione di ceramiche e l’ho presentata a “Design Parade” di Villa Noailles, a Tolone.
Come è stata pensata la mostra, qual è il panorama? In realtà è tutto molto legato al concetto dello spazio. Cinque vetrine diventano un set: sono il belvedere del mio immaginario come designer, dove ci sono gli strumenti attraverso cui comunico e le mie tematiche più intime. In questo ambiente ci sono dei semiprodotti in ceramica, in metallo, tessuti, oggetti in vetro soffiato come boccette di profumo. All’interno ci sono racconti di finzione, è come se fossero di personaggi inesistenti nelle loro case, nei loro negozi, nelle loro boutique immaginarie. Il nostro intento e la nostra ambizione sono di controllare gli sguardi.
In che senso? Per me c’è sempre stato un dualismo tra l’oggetto e come viene rappresentato, dal mio punto di vista nascono insieme. L’oggetto non è solo l’oggetto, ma tutto il mondo che lo circonda.
Scomodiamo Kant? Se devo pensare a un oggetto difficilmente non mi viene da pensare allo spazio che lo accoglierà, alla fotografia che lo bloccherà nel tempo. C’è una sorta di mondo intorno che è pronto ad accogliere l’oggetto. Non è un elemento secondario.
Le fotografie della mostra non sembrano i classici scatti di still life. Le fotografie, per esempio, sono il linguaggio che preferisco per raccontare quello che viene rappresentato ed è quello che mi ispira di più. Non necessariamente di design, anche se è l’arte capace di raccontare quel mondo al meglio.
L’oggetto funziona nel momento in cui dialoga con la realtà intorno, a un livello sia emotivo sia evocativo.
Insieme con la curatrice Annalisa Rosso, abbiamo pensato di creare degli ambienti dove esistono elementi disturbanti, come per esempio cassetti aperti o tessuti che coprono gli scaffali. Si tratta di elementi che innescano il tema del desiderio, senza essere didascalici o definitivi.
Cosa ci induci a guardare? Interstizi, incasellamenti e spazi non risolti o non svelati del tutto: gli occhi dovrebbero guardare qualcosa di ambiguo. Faccio un esempio visivo: immagina una cassettiera il cui ultimo cassetto è aperto.
Il design di solito appartiene al tatto. Quale è il senso che più ti appartiene? Per me c’è una ambivalenza fra tatto e vista. Non è un caso che i miei oggetti possano essere accarezzati e toccati. Nella mia ricerca c’è, da un lato, una passione perversa per i tessuti, dall’altro una proprietà di visione nei vasi e negli allestimenti. Se dovessi sintetizzare direi che il senso per eccellenza è la vista tattile.
Quali materiali racconti e con quali aziende avete lavorato per la mostra? Principalmente metallo, seta e vetro. Officinanove, che si occupa di nella produzione di elementi di arredo in metallo, è una azienda flessibile e si adatta a svariate esigenze creative anche grazie a una gamma di colori e a un’attenzione per i dettagli, sia in fase di lavorazione che di rifinitura. Punto Seta, specializzata nella produzione di stoffe e tessuti nel comasco, e Remark, una soffieria di vetro artistica alle porte di Milano che si occupa della lavorazione del vetro borosilicato.
Ennesimo Salone da affrontare, hai suggerimenti pratici? Non cercare di vedere tutto, farsi un piano e andarci con qualcuno di simpatico. Altrimenti ci si annoia. Ah, anche scarpe comode.
Cosa osservi oggi nel panorama del design? Non sono molto specifica, ma lo conosco abbastanza perché l’ho studiato. Anche in questo ho un pensiero ambiguo, ci sono persone che apprezzo e ammiro. Adoro Konstantin Grcic, i geniali Formafantasma, Chiara Andreatti, Federica Elmo e Guglielmo Poletti. Poi c’è una nuova corrente, come il designer Zachary John Martin. In generale nutro grande rispetto per tutte le persone che si impegnano, soprattutto coloro che riescono ad andare oltre al piccolo oggetto decorativo. E poi mi affascina chi riesce a guardare, con l’immaginazione, anche solo un po’ più in là.
- Titolo mostra:
- Panorama, a show for happy eyes
- Date di apertura:
- 14–22 aprile 2018
- Curatore:
- Annalisa Rosso
- Sede:
- Meazza
- Indirizzo:
- via San Sisto 9, Milano