A cavallo tra gli anni '60 e '70, il fenomeno hippy portò nella cultura pop di tematiche quali inclusività, sostenibilità e nomadismo. Inserite nel discorso pubblico, stimolarono anche quello artistico. Tematiche lungimiranti che, effettuata una capriola su sé stesse, sono oggi tornate a riaffacciarsi più forti che mai nella cultura dominante – dal successo dei Fridays for Future a quello del Premio Oscar Nomadland.
Come ci muoveremo? Visioni di mobilità alternativa tra sostenibilità e sogno hippy
Da gonfiabili avveniristici al nomadismo di design, soluzioni di mobilità alternativa dagli archivi di Domus.
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- Lorenzo Ottone
- 15 ottobre 2021
Ci sono progetti di quegli anni che nonostante il loro mezzo secolo d'età offrono visioni ancora attuali su una mobilità nuova. In occasione del Domusforum 2021 – che si svolgerà a Milano il 24 Novembre prossimo – esploriamo l'archivio di Domus per rispondere a domande cruciali sul nostro futuro, tra cui come ci muoveremo.
In un reportage dall'International Design Convention di Aspen del 1973 pubblicato su Domus 527, Gae Aulenti notava che nel clima collaborativo instauratosi tra studenti e architetti “i modelli sono la mobilità degli Hippies d'America, gli accampamenti delle comunità religiose indiane”.
L'osservazione di Aulenti trova conferma in una serie di lavori che, a partire dagli Stati Uniti e arrivando sino alle campagne del Chianti, incontrano lo spiccato interesse per la modularità del design del tempo.
La carovana come ispirazione progettuale
“Fatta eccezione per quelle tribù nomadi che ancora viaggiano in cerca di acqua, gli americani sono stati definiti come il popolo più libero del mondo. Lo stesso spirito che in principio li ha portati negli States, e che li ha spinti sempre più a Ovest, con i loro beni caricati su carri Conestoga, li accompagna tutt'ora,” viene appuntato su Domus 470.
È Helmut Schulitz che sottolinea sulle pagine del successivo Domus 476 l'attualità di riproporre un “sistema di abitazione modulare scomponibile” sullo stile delle carovane dei pionieri.
Ne sono esempio la "self-packed house" del tedesco Wilfried Lubitz del 1967 (Domus 467) e, soprattutto, le Mobile Houses pensate nel 1969 dallo statunitense Jay Vredevoogd (Domus 470). Esse erano composte da "elementi-involucro infilabili l'uno nell'altro a telescopio" di 19,50 metri, riducibili in viaggio a poco più di 10, e che "possono essere allineati con vari sfalsamenti (sopra la piattaforma allargabile che viaggia con loro) e consentire così varietà nella disposizione interna e nelle visuali". Un sistema pneumatico interno ai mobili, poi, si attiva per tenere in posizione gli oggetti contenutiti quando in viaggio.
Il nomadismo abitativo viene portato su una dimensione collettiva e, addirittura, lavorativa, da Amplia di Gino Gamberini, prodotta nel 1977 da Residens di Bologna. Come si legge su Domus 573, la casa mobile “è pensata come alloggio unifamiliare in campagna e al mare, può diventare ambulatorio medico, mensa e anche negozio. Più casette aggregate possono formare veri e propri villaggi turistici o abitazioni per operai di grandi cantieri,” di cui “è possibile aumentare la superficie abitativa ribaltando un settore di una delle pareti che diventa pavimento di un vano di circa 12㎡”.
Si spinge oltre l'inglese Alan Boutwell dello studio Alan Boutwell e Michael Mitchell di sede a Dusseldorf che pensa a un intervento attivo delle municipalità per la promozione di una mobilità nomadica “per un futuro che consenta, o esiga, una massima mobilità nell'abitare” Boutwell prevede “delle grandi incasellature – che dovrebbero essere fornite dalla città – entro cui possano venire inserite le cellule abitative (trasportate su ruote, sollevate e alloggiate per mezzo di gru), cellule formate da un nucleo di servizi (bagno, cucina, lavanderia) e da contenitori che racchiudono sia l'involucro pneumatico da gonfiarsi in sito, che costituirà l'ambiente di abitazione vero e proprio, sia i mobili per arredare l'ambiente, pneumatici anch'essi.”
La versatilità della tecnologica pneumatica definisce anche la casa mobile dei francesi Jean Louis Lotiron e Pernette Martin-Perrand (Domus 467): una cupola gonfiabile innestata su un pavimento esagonale capace di ridurre di cinque volte il suo volume quando in viaggio. Un concept architettonico, quasi situazionista, sullo stile dei mobili di Quasar Khanh, che sfocia a pieno titolo nel territorio dell'arte pneumatica.
Nuove frontiere della mobilità
Prende, invece, le distanze dalla città un progetto selezionato dal Ministero per i Lavori Pubblici e presentato su Domus 527, che si fa promotore di un “Disurbanismo come momento di lotta nella distruzione del feticcio urbano”. La risposta figlia della cultura hippy è, così, un’attualissima riscoperta delle aree rurali toscane come il Mugello e il Chianti e delle arterie extraurbane che collegano Firenze, Prato e Pistoia. Esse vengono collegate installando una linea di metropolitana che sfrutta i vecchi binari della soppressa ferrovia del Mugello e della tranvia Chiantigiana mediante un circuito completamente integrato su sé stesso a forma di otto.
“Il ruolo di questa nuova infrastruttura non sarà quello di convogliare le popolazioni verso un polo urbano, ma al contrario, abbreviando i tempi della mobilità, dovrà consentire l'indifferenza riguardo la collocazione delle residenze, delle attrezzature per lo svago, di quelle commerciali...”, annota il capogruppo del progetto Gilberto Campani. A ciò si unisce la proposta di dotare le aree rurali di "unité d'habitation" modulari secondo il modello Le Courbusieriano.
Nell'incertezza della vita urbana post-pandemica, dove il lavoro è sempre più in remoto e la bolla degli affitti non è sgonfiata come inizialmente sperato, questi concept ci restituiscono, dunque, stimoli non così utopici per una mobilità sostenibile.
Foto: Domus 467, ottobre 1968
Foto: Domus 476, Luglio 1969
Foto: Domus 476, Luglio 1969
Foto: Domus 484, Marzo 1970
Foto: Domus 573, Agosto 1977
Foto: Domus 527, Ottobre 1973