Questo articolo fa parte di una serie di contenuti che anticipano i temi che verranno discussi a domusforum 2019, il 10 ottobre a Milano.
Nel 1975, il musicista afrobeat e attivista nigeriano Fela Anikulapo Kuti pubblicava Water e no get enemy – letteralmente: “l’acqua non ha nemici.” La canzone parla del carattere dell'acqua e della sua indifferenza per le vicende dell’uomo, con un testo che rispecchia più fedelmente la situazione di Lagos che non quella di qualsiasi altro luogo. La capitale nigeriana, infatti, da oltre un secolo intrattiene con le sue acque un rapporto ambivalente. Dai tempi del fiorente commercio di schiavi con l’altra sponda dell’Atlantico fino ai bombardamenti britannici del 1851 e alla successiva annessione della città, Lagos è sempre stata definita dalle sue acque. Nel corso degli anni, la città ha fatto in modo che l’acqua contribuisse al proprio sviluppo, ma è anche stata spesso bersaglio della sua selvaggia violenza.
La spiaggia di Lagos Bar, una strascia di sabbia sul confine tra l'Oceano Atlantico e la laguna di Lagos, un tempo incarnava l'aforisma secondo cui Lagos è una casa per tutti; era infatti il punto d’incontro preferito per festaioli, prostitute, ma anche per i religiosi e gli animisti che ogni giorno affollavano la spiaggia per i loro riti. Negli anni Settanta e Ottanta la spiaggia era inoltre tristemente famosa per ospitare le esecuzioni pubbliche di rapinatori e golpisti militari da parte dell'esercito nigeriano. Oggi, ancora una volta, le acque di Lagos stanno innescando l’ennesima rivoluzione nella città, sotto forma di una nuova attrazione che spunta sul sito di Bar Beach, del tutto ignara del suo torbido e sgradevole passato: si tratta di Eko Atlantic City, un nuovo grande insediamento costruito da zero su una striscia di terra di dieci chilometri quadrati, ricavata in gran parte grazie a un’opera di bonifica. L'idiosincratica urbanizzazione, finanziata da privati, è propagandata quale nuovo centro finanziario della Nigeria, paragonabile a Manhattan e in grado di ospitare almeno 250.000 persone. Gli immobiliaristi di Eko Atlantic e il governo dello stato di Lagos la avevano promossa principalmente come soluzione alla regressione che l'intero tratto di costa ha sofferto negli ultimi decenni – con una riduzione stimata di almeno due chilometri. Gli operatori immobiliari della nuova città avevano in principio costruito la Grande Muraglia di Lagos, uno sbarramento eretto principalmente per proteggere la costa circostante dall’innalzamento del livello dell’oceano. I critici della nuova città, tuttavia, sostengono che il muro rappresenta un'antitesi alla sua presunta funzione, e che mentre Eko Atlantic sarà in gran parte al sicuro, la muraglia rende il resto della città più vulnerabile alle inondazioni perché convoglia le acque verso agli insediamenti che la fiancheggiano, com’è successo nel 2012 alla vicina spiaggia di Kuramo, dove hanno distrutto abitazione e attività economiche, reclamando almeno una dozzina di vite.
I lunghi tratti di costa che circondano la città sono strategici per il futuro di Lagos, e sono diventati oggetto dei sogni e delle fantasie sul suo nuovo destino, ma mettono in luce anche narrazioni socialmente divisive e avverse ai mezzi di sussistenza di una larga parte della sua popolazione. Paradossalmente, la costa della città è anche un campo di battaglia, dove l’uomo affronta gli aspetti più distruttivi della natura, la convivenza coi quali richiede una costante negoziazione. Il litorale di Lagos è un'area ecologicamente fragile, resa più vulnerabile dalla conversione delle zone paludose pianeggianti in insediamenti umani in aree esposte all’innalzamento del livello del mare e al pericolo di forti alluvioni. I residenti di numerosi insediamenti costieri a Lagos sono costantemente a rischio, al punto da aver collocato sacchi di sabbia lungo la costa per respingere le maree oceaniche. Si tratta tuttavia di una misura palliativa, che riesce a malapena a sopportare il repentino aumento del livello del mare. Il governo dello stato di Lagos, da parte sua, ha dichiarato di avere finora costruito almeno quattordici chilometri di argini nelle comunità costiere della città, una misura ben lungi dall’essere sufficiente. E i residenti hanno fatto appello al governo federale nigeriano perché utilizzi il fondo ecologico nazionale per finanziare la protezione di un tratto maggiore del litorale. Attualmente, il futuro di questi insediamenti è minacciato anche da alcune attività economiche: il settore delle costruzioni, fiorente in tutta la città, genera un'insaziabile richiesta di sabbia da costruzione che ha intensificato l’escavazione illegale da parte di piccole imprese artigianali, che al largo della costa riempiono giornalmente un gran numero di canoe di legno per fornire il materiale ai cantieri. Più al largo, un danno ancora maggiore viene fatto dalle grandi dragatrici industriali che pompano quotidianamente diverse migliaia di metri cubi di sabbia dal letto della laguna in grandi chiatte. Una situazione che si ripete in diverse comunità costiere di Lagos, causando danni irreparabili al fondo oceanico e all'intero ecosistema marino in esso presente. Queste attività hanno avuto un impatto significativo sull’industria ittica e sulle relative catene economiche di sostentamento delle comunità rivierasche, che vivono attualmente di pesca e commercio del pescato. Ha anche inquinato le acque circostanti, privando così le comunità locali di una fonte di acqua dolce.
Mentre alcune di queste comunità sono costrette a combattere le conseguenze del dragaggio illegale, la loro situazione è aggravata dall’attitudine dell’amministrazione di Lagos, che le considera un fastidio poiché la loro esistenza è in contrasto con i suoi ambiziosi progetti di costruire una Lagos nuova e lussuosa, segregando i poveri che abitano il tessuto urbano fuori dalla vista. Peggio ancora, non mancano i casi in cui le forze dell'ordine hanno mosso pesanti accuse nei confronti dei membri di queste comunità, insinuando che esse diano rifugio a rapitori, pirati e responsabili di atti vandalici contro le condutture petrolifere, figure che stanno causando gravi problemi lungo la costa della città. Attualmente, diverse comunità rivierasche stanno lottando nelle aule dei tribunali per la loro stessa sopravvivenza, cercando di evitare il destino dei membri di zone come Otodo-Gbame, che sono state demolite o rase al suolo dagli agenti statali per far posto a nuovi insediamenti. Queste comunità del lungomare occupano attualmente terreni di pregio, e sono state spesso minacciate di sfratto da parte dello stato. Esse quindi vivono costantemente nella paura di essere sgomberate o demolite.
In un'altra comunità costiera, a Ibeju-Lekki, è attualmente in costruzione una vasta zona industriale denominata Lekki Free Trade Zone (LFTZ), il cui elemento centrale è il bacino portuale ad alta profondità di Lekki. Il progetto è frutto di un partenariato pubblico-privato tra il Singapore Tolaram Group, la China Harbor Engineering, l'Autorità portuale nigeriana e il governo dello stato di Lagos. Una volta completato, il porto dovrebbe servire tutte le industrie della nuova zona franca di Lekki, nonché ridurre significativamente la pressione sul porto di Apapa. Attualmente, il prezzo degli immobili lungo il corridoio di Ibeju-Lekki è salito alle stelle in previsione del boom immobiliare che interesserà l’area. I costruttori di immobili di pregio e quanti speculano sui terreni (Omonile) si sono posizionati in attesa della ricca messe prevista dalla imminente realizzazione di quest’area commerciale, affondando ulteriormente le prospettive di costruire un quartiere socialmente inclusivo – una nuova versione di quanto sta accadendo in gran parte del centro di Lagos. Peggio ancora, i vicini insediamenti sul lungomare sono diventati possibili miniere d'oro ed è solo una questione di tempo prima che gli attuali occupanti siano dislocati altrove per far posto a residenti più "adeguati". Quanto appare ovvio oggi, sulla base dell'esperienza, è che queste comunità rivierasche sono in pericolo, e l'acqua che è stata una fonte di benessere è diventata una minaccia alla loro esistenza. Si può perciò sostenere che la fascia costiera di Lagos venga “rubata” alla città a seguito del nuovo insediamento di Eko Atlantic, dell’impatto della zona franca di Lekki sui prezzi degli immobili nelle aree circostanti e del dragaggio legale e illegale dei fondali, fattori che incidono sull’ambiente e sul paesaggio.
Le megalopoli sono senza dubbio sistemi estremamente complessi e le soluzioni ai loro problemi richiedono approcci integrati. I fautori di questi nuovi interventi urbanistici sul lungomare sostengono che questi enormi investimenti finanziari sulla città produrranno un effetto a cascata, porteranno più posti di lavoro contrastando l'aumento della disoccupazione e contribuiranno a risollevare le fasce di popolazione economicamente svantaggiate ed emarginate. Per contro, questa nuova visione di Lagos manca di una diversificazione su base sociale delle tipologie edilizie (vale a dire livello base, medio e alto), ed è progettata per escludere una fascia della popolazione esistente, quella che a tutti gli effetti rappresenta la maggior parte dei nigeriani che vivono in città. La sfida, quindi, è come trasformare questa megalopoli in uno schema urbano praticabile e sostenibile senza sconvolgere l'attuale assetto sociale, culturale ed ecologico. Purtroppo, la retorica della trasformazione di queste "megalopoli modello" così come viene propagandata sembra nel migliore dei casi circoscritta entro i confini delle nuove enclavi ricavate all’interno della città nel suo complesso.
Foto in apertura: vista aerea della penisola di Lekki, a sud-est di Lagos, dove è in corso la costruzione della Lekki Free Trade Zone (foto George Osodi/Bloomberg/Getty Images)