“Il design è speranza”, scrive via messaggio Hans Ulrich Obrist circa un’ora dopo la fine della nostra chiacchierata. È la risposta a una domanda che aveva bisogno di un po’ di tempo per essere elaborata, ha risposto quando che gli ho chiesto di definire cos’è il design; ora si arriva insieme a una piccola cascata di messaggi di testo che fa sia da compendio alla nostra mezz’ora di conversazione telefonica, sia da cristallizzazione della massa morbida delle parole condivise a voce: si illumina così un percorso preciso attraverso ricordi, appunti e una trascrizione ottimizzata dall’intelligenza artificiale, residui palpabili lato mio della telefonata con il celebre curatore e critico d’arte svizzero.
L’occasione per domandargli “che cos’è il design?” è l’Hublot Design Prize, di cui Obrist fa parte della giuria e in qualche modo è anche ospite: il premio si celebra alle Serpentine Galleries di Londra, delle quali è direttore artistico. Più precisamente, nel padiglione progettato da Zaha Hadid nel 2000, unica architettura nella parte centrale della città in cui si era trasferita a 22 anni per studiare all’Architectural Association e dove tuttora ha sede lo studio che ne porta il nome, abbreviato solitamente in ZHA. È emblematico che il Premio Hublot si svolga nel luogo pensato da Hadid, osserva Obrist, “poiché aveva detto che non ci dovrebbe essere fine alla sperimentazione”, cita lui a memoria.
I progettisti lavorano ora sui propri progetti di libertà, collaborando con gli ingegneri, se non diventando ingegneri, e abbinando a ciò competenze più filosofiche e soft skill (Samuel Ross)
Per l’edizione 2022, otto candidati sono arrivati in finale. Sono stati selezionati da una lista leggermente più ampia, un totale di circa 30 giovani talenti: l’Hublot Design Prize non sceglie i partecipanti attraverso un bando aperto, ma sono i membri della giuria a individuare in tutto il mondo i nomi di giovani designer che si sono distinti per talento e ambizione.
“Questo è un premio di incoraggiamento al design”, afferma Marva Griffin, membro della giuria e conoscitrice d’eccezione della scena dei giovani talenti del design. “Grande madrina del design”, come l’ha definita Paola Antonelli, Griffin è la storica curatrice del SaloneSatellite, l’evento del Salone del Mobile dedicato agli under 35 da lei stessa lanciato nel 1998.
L’Hublot Design Prize, sottolinea Griffin, ha la diversità tra i suoi valori fondamentali e nella sua storia ha toccato una vasta gamma di argomenti e discipline: dal design industriale alla moda, dalla grafica ai progetti digitali.
Il vincitore di quest’anno è Nifemi Marcus-Bello, designer industriale di stanza in Nigeria, che si è distinto per il suo approccio alla progettazione in connessione alla realtà locale e attento all’etnografia, mentre il premio speciale intitolato a Pierre Keller è stato vinto da Connor Cook, ricercatore che ha sviluppato una pratica di performance computazionale, e Maya Bird-Murphy, fondatrice di un’organizzazione no-profit che offre alle comunità sottorappresentate di Chicago laboratori creativi di design.
Artista e graphic designer, Keller è stato il fondatore del Premio Hublot insieme a Jean-Claude Biver, nel 2015. Nato in Svizzera nel 1943, personaggio tra i più carismatici del mondo del design, è ricordato soprattutto per il suo ruolo come direttore dell’Ecal di Losanna, la scuola di design che sotto la sua guida è diventata una delle più importanti del pianeta.
Keller è scomparso nel 2019, ma la sua influenza a lungo termine è ancora oggi fondamentale. “Mi invitò a far parte della giuria”, ricorda Marva. E la fondatrice del SaloneSatellite stasera tradirà un po’ di emozione salendo sul palco per annunciare i vincitori del premio dedicato alla memoria del designer svizzero.
Ricordando Pierre Keller
Hans Ulrich Obrist ricorda l’influenza che Pierre Keller, suo connazionale, ha avuto su di lui e sull’inizio della sua “traiettoria” nell’arte, come lui stesso la definisce: quando Obrist era un adolescente, Keller era il direttore artistico che stava rivoluzionando il Montreaux Jazz Festival, invitando personalità emergenti del mondo dell’arte come Keith Haring a collaborare e a mostrare le loro opere, “dimostrando che l’arte non deve essere relegata per forza nei musei”, sottolinea Obrist.
Non sorprende dunque che l’arte non sia un elemento alieno in questo premio, anzi. Discutendo della visione fluida e allargata del design che il Premio Hublot promuove, e che spesso sconfina nelle arti visive, Obrist afferma che questa “non è un’idea completamente nuova per la pratica del design”. Rintraccia precedenti di questo approccio soprattutto nell’epoca d’oro del design milanese, che definisce come “una lunga storia di fluidità nella pratica del design” che ora si ritrova nelle nuove generazioni, una storia di pionierismo “di cui Domus è una parte importante”.
Connor Cook Performance (I Shake My Ass). Courtesy ©Iris Rijskamp
Cita i nomi di Ettore Sottsass e Nanda Vigo, per fare un esempio, ma anche quello di Enzo Mari, la cui ultima grande mostra in Triennale è stata curata proprio da Obrist. “Mari ha partecipato all’arte programmata, un movimento di arte contemporanea”, e aveva una carriera parallela come artista visivo, spiega il curatore svizzero: “Era a cavallo tra i due mondi”.
L’utopia del designer
Hans Ulrich Obrist afferma che insegnare il design oggi significa “insegnare l’importanza della sostenibilità” e che “Enzo Mari ci ha insegnato che il design deve durare”. È fondamentale che questa lezione venga trasmessa alle generazioni future: “Mari mi ha spiegato che nel corso della sua carriera si è esercitato”, dice, citando il designer italiano, “ad acquisire una capacità di espressione quasi automatica”. Esercitarsi è imparare, e noi dobbiamo – spiega Obrist – re-imparare nuove forme di design che durino in un mondo che cambia.
Tutti valori coerenti con il lavoro dell’industrial designer nigeriano Nifemi Marcus-Bello, il cui progetto intitolato Africa: a designer’s utopia vuole tenere traccia del design anonimo in tutto il continente, documentando soluzioni e prodotti contemporanei di designer non professionisti, “una vasta gamma di prodotti indigeni che forniscono soluzioni a problemi socio-economici”, come spiega il sito web del progetto. “Sono ancora sorpreso, non mi aspettavo di vincerlo”, dichiara Marcus-Bello il giorno dopo aver ricevuto lo Hublot Design Prize.
Non è un’idea completamente nuova per la pratica del design. (Hans Ulrich Obrist)
Con il premio, Marcus-Bello incassa 80.000 franchi svizzeri, una somma in grado di cambiare la vita di un giovane designer. È stato premiato sul palco da Samuel Ross, vincitore dell’edizione 2019, in un ideale passaggio di testimone. “È probabilmente il più grande premio in denaro in circolazione per il design”, afferma Ross, fondatore del marchio hypercool A-Cold-Wall, uno studio di design che opera nei campi della moda, dell’installazione e della scultura. “L’importanza del premio non è ancora abbastanza discussa”, aggiunge.
Ross, il più giovane membro della giuria, anche più di alcuni candidati, con i suoi 31 anni, è convinto che il design sia un’ossessione - “ciò che rende buono un prodotto è in realtà il numero di ore che il team di progettazione gli dedica” – e ricorda “quale grande investimento” abbia rappresentato per lui il premio, quando si trovava dall’altra parte della barricata, tra i partecipanti. Sfogliare il portfolio che ha presentato come candidato oggi è come addrentarsi in un mondo parallelo: sneakers e sculture in metallo si intersecano con installazioni e oggetti in cemento e tessuto, in una infinita serie di rimandi tra moda, design e arte. “Ho investito molti dei miei risparmi personali per riuscire a mettere insieme il progetto migliore: Non avevo i soldi per farlo”.
Il design come agente di cambiamento
I candidati al premio Hublot di quest’anno esprimono tutta la diversità che si può chiedere al design; provengono da diversi rami della disciplina, dalla grafica al design di arredamento, dal progetto digitale alla performance; ma “se c’è qualcosa che li definisce tutti”, spiega il critico di design e membro della giuria Alice Rawsthorn, “è tendenzialmente il tipo di cause su cui si concentrano”: la sostenibilità, il potenziamento delle comunità locali, la sperimentazione con la tecnologia. Secondo Rawsthorn, sono “le questioni politiche fondamentali” che fungono da temi comuni al premio, piuttosto che “l’architettura o il design di prodotto, o la tecnologia, o il design sociale o altro”.
È emozionante vedere come i designer siano entrati in azione per realizzare i loro progetti (Alice Rawsthorn)
Il design, spiega Rawsthorn, è uno strumento potente, “che se usato in collaborazione con altre specializzazioni può aiutare ad affrontare le complesse sfide globali intersezionali che ci affliggono tutti”, dalla crisi dei rifugiati all’emergenza climatica, dagli abusi della tecnologia alla crisi degli alloggi.
Tutto questo porta a una visione rinnovata di ciò che è il design. “Un agente di cambiamento”, come lo definisce Alice Rawsthorn, “che può aiutarci a garantire che i cambiamenti di ogni tempo ci influenzino positivamente piuttosto che negativamente e ad anticipare come ciò possa accadere”.
Immagine in apertura: Waf Kiosk, Nifemi Marcus-Bello