“Si tratta di vivere al di là della sopravvivenza. Di poter fiorire”: Vera Mulyani arriva da una formazione artistica e un’esperienza come progettista in Francia. Nel 2015 ha creato Mars City Design, un think tank multidisciplinare basato in California, dedicato a sviluppare la prospettiva di un habitat umano su Marte.
Attraverso la sperimentazione continua e un concorso annuale, la Mars City Design Challenge, che la alimenta incessantemente con nuove idee, si colloca come un altro sforzo nel design contemporaneo di pensare fuori dalla scatola. Ma questa volta la cosa è andata ben al di là del letterale.
“La nostra missione è quella di creare consapevolezza riguardo a destinazioni future per l’umanità basata non solo sulla sicurezza, ma sul benessere” dice Mulyani, che incontriamo a Utopian Hours, il festival torinese di city-making dove partecipa come speaker.
Muliyani ha cominciato un giorno a voler integrare aspetti di biologia nella sua pratica di architetto, che potessero andare oltre la biomimetica, e sette anni fa ha visto un’opportunità con l’idea di una destinazione fuori dal pianeta Terra che ancora nessuno considerava, se non per scopi difensivi. “Oltretutto, progettiamo per lo spazio e poi ci mettiamo ad adattare il progetto alle condizioni terrestri, come capita per le fotocamere dei nostri telefoni”.
L’opportunità è stata allora di guardare diversamente allo spazio, unire progetto e biologia nella sua accezione di attenzione agli aspetti umani: architettura, arte e design erano ancora tagliati fuori da questo discorso, “Così ho dovuto creare da sola le condizioni; e pian piano una comunità ha cominciato a radunarsi, unita dagli stessi interessi e dall’expertise multidisciplinare”.
Guardare a Marte come una destinazione per l’evoluzione umana implica grande responsabilità, ma è anche un’opportunità inedita di imparare qualcosa per un pianeta Terra che mai è stato così in crisi. Per questa ragione, secondo Mulyani, “c’è un proposito di sostenibilità in Mars City Design: un pensiero progettuale che affronta il clima estremo di Marte per imparare come gestire il riscaldamento globale sulla Terra, come progettare senza usare materiali per lei dannosi quali il cemento, o le plastiche per stampa 3D non riciclabili”.
“Certo, la prima reazione a condizioni tanto dure è quella di mettersi in difesa, come molti ingegneri fanno. Noi non rigettiamo quel tipo di posizione, puntiamo però ad integrarla in un livello prossimo di creazione, che si basa sull’adattamento, sull’armonizzarsi con quell’ambiente feroce, imparando da esso e trasformandone in realtà le condizioni estreme in un supporto per il nostro sistema di vita”.
“Per esempio”, continua Muliyani, “stiamo usando la modalità con cui si aggregano le dune semoventi di Marte come matrice per costruire strutture, che vorremmo potessero ospitare anche abitazioni collettive: le dune si possono muovere di 30 cm per anno e questo ci ha insegnato che anche le nostre fondamenta dovrebbero essere mobili”.
Anche i biomateriali sono confronto promettente per l’architettura marziana: “Le popolazioni della Papua Nuova Guinea, quando si mossero verso le Hawaii, si portarono dietro quattro tipi di piante, per avere cibo, medicinali, vestiti, e infine costruzioni (il bambù). Quindi, oltre a portare su Marte attrezzature con cui diverse generazioni possano trasformare materiali presenti in situ, una soluzione è quella di coltivare piante. Abbiamo sperimentato con le alghe, ma è soprattutto il micelio che si è dimostrato interessante nelle sue applicazioni: una volta trattato, può diventare solido come un mattone”.
L’approccio va dal macro al micro, dalla scala urbana, all’abitazione, alla coltivazione, fino agli effetti microbiotici delle abitudini alimentari, controllate “agendo sulla composizione dei cibi finalizzata al benessere e alla energia invece che al Confort, riducendo i carboidrati in un’ottica di allungamento della vita: quando il tuo microbioma interno è sano, il tuo cervello è sano, migliorano la tua salute mentale e il sistema rigenerativo delle tue cellule”. Un super-probiotico chiamato Astrobiome, testato come integratore per gli astronauti in missione, è stato sviluppato e recentemente immesso sul mercato.
Quando le chiediamo riguardo ai rischi impliciti in questo tipo di esperienze di trasformarsi in pratiche estrattive, in espansione antropocentrica, se non le si progetta con attenzione, Mulyani non mostra alcun dubbio. Ci mostra anzi un’immagine della superficie di Marte, dicendo: “Ma questa è la natura degli umani, non facciamo altro che consumare e consumare. Ma voglio dire: guarda questo. Si limita ad esserci, non potremo far altro che rivitalizzarlo. Oltretutto, proviamo a guardare Marte come una rappresentazione di quello che la Terra potrebbe diventare, se non la tuteliamo”.
Ma quindi, perché Marte, alla fine? “Per uscire dalla scatola. Dalla nostra scatola”.
E l’“uscita” dalla scatola sembra essere appena cominciata, per Mars City Design: “Il super-probiotico è già sul mercato, mentre per i progetti più grandi, i prototipi di abitazione e di biomateriali, si stanno ricercando i fondi e i partner giusti”. Mars City Design oltretutto non ha un suo luogo specifico per la prototipazione: “Perché ne abbiamo molti. Il nostro modo di sviluppare il progetto è attraverso persone che realizzano prototipi loro, a cui forniamo consulenza. Per me è questa l’anima dell’Innovazione. Dovessi scegliere tra sviluppare 100 prototipi non miei e uno completamente mio, sceglierei i primi, perchè significherebbero altrettante occasioni di generare senso nella mia breve vita”.
E l’architettura? Mars City Design vuole sviluppare un suo linguaggio architettonico, magari derivato da quelli già noti? “Niente affatto. Noi partiamo da quella che si può definire l’espressione grafica di base dell’architettura, comprensibile da tutti. Forse un nuovo linguaggio potrebbe derivare da una combinazione di questi segni fondamentali, ma di sicuro non intendiamo adattarlo al nostro modo di vivere oggi sulla terra, punto per qualche ragione ad esempio tutti quando disegnano abitazioni su Marte, ci mettono dentro i mobili”. Il nonsenso. “Vedi, su Marte ad esempio una porta non deve rispondere ai manuali terrestri, perché potrebbe essere più utile e raggiungibile in mezzo al soffitto. Per una zona notte in una abitazione marziana, poi, ci sono soluzioni differenti (abbiamo creato appositamente un corso di architettura per Marte), alcune delle quali sono vere e proprie tasche che escono dal muro. Ma la mia domanda diventa subito: a quale tempo ci stiamo riferendo? Una terza generazione di abitanti, infatti, potrebbe già essere capace di creare soluzioni più confortevoli. Probabilmente non avrà nemmeno il bisogno di dormire in orizzontale”.
Vera Mulyani è una degli speaker di Utopian Hours, il festival di city-making organizzato da Torino Stratosferica, che quest'anno si svolge dal 14 al 16 ottobre.