Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1064, gennaio 2022.
Erano gli anni Settanta quando Paolo Rizzatto, architetto milanese classe 1941 oggi all’attivo cinque Compassi d’Oro, iniziava a occuparsi dell’architettura della luce. Il giovane allievo di Franco Albini, infatti, insieme a Riccardo Sarfatti e Sandra Severi, fondava a Milano Luceplan, una società “per dare un servizio agli architetti, da architetti che progettano la luce”.
Da questo metodo partecipato nascono i primi prodotti di design, che iniziano a riscuotere l’interesse delle riviste di settore. Sulle pagine delle novità di Domus, nel gennaio del 1977, tra un lampadario in vetro soffiato di Adolf Loos e una luce alogena di Ettore Sottsass, compare la 265, una lampada di metallo disegnata da Rizzatto per Arteluce e documentata da uno scatto di Aldo Ballo che ne esaltava l’essenzialità della forma e il dinamismo.
Si tratta di una lampada ‘sintetica’, fatta cioè di pochi elementi: una calotta forata per evitare il surriscaldamento, un lungo braccio orientabile di ferro fissato al muro e, all’estremità, un contrappeso conico che tiene in equilibrio l’intera struttura, e permette di spostarla con un movimento semplice e fluido. La 265 non è una lampada da terra, da parete, o da soffitto. Come spiegava il designer “è un punto luminoso che si muove nello spazio e porta la luce dove serve”. È una luce diretta e anche d’atmosfera, una luce che segue l’uomo nelle sue attività.
Dalla vicinanza con Albini, suo maestro al Politecnico di Milano, deriva la sensibilità per il metallo, che caratterizza la lampada e consacra il suo successo nel tempo.
La 265 è il seme del pensiero progettuale di Rizzatto: “Il motivo per cui volevo disegnare una lampada non era produrre un oggetto, ma produrre luce. Volevo disegnare una lampada che aiutasse a migliorare l’esperienza umana di uno spazio architettonico”. Come si vede nel disegno d’archivio, l’idea originaria prevedeva di associare un colore primario a ciascun elemento compositivo, spunto poi abbandonato a favore di una produzione in toni neutri.
Dopo 50 anni, Flos decide di osare e ripropone la prima versione della lampada, ribattezzandola 265 Chromatica. La calotta torna a tingersi di rosso brillante, il braccio di sostegno diventa blu elettrico e il contrappeso giallo intenso: i colori evidenziano così le componenti progettuali e ne comunicando visivamente la funzione.
L’idea alla base è più che mai attuale: la 265 nasce infatti dall’esigenza di progettare la luce per le nuove tipologie abitative, che richiedevano di comprendere in un unico spazio le attività domestiche, di lavoro e studio, senza tralasciare un tocco d’ironia, affidato al colore.
Immagine in apertura: Lampada 265 Chromatica, Paolo Rizzatto, Flos. Foto Ambra Crociani