Italiano nato a Merano, classe 1976, oggi di base a Vienna. Marco Dessì intende il design come un continuo rimando tra passato e presente – e quindi futuro. Anche una tipologia di oggetto, quale un radiatore, generalmente considerata di noiosa interpretazione acquisisce nelle sue mani un fascino inaspettato. A Dessì interessano soprattutto i diversi aspetti e le diverse possibilità relative allo sviluppo di un prodotto, sforzandosi di trovare un linguaggio formale inedito e personale. Pur sapendo adattarsi alle esigenze dei suoi clienti, Marco Dessì guarda alla sobrietà e puntualità progettuale, lasciando spazio al tempo stesso a elementi narrativi. A Domus racconta come.
Maria Cristina Didero: Come hai cominciato?
Marco Dessì: Sono arrivato al design tardi, a 25 anni e quasi per caso. Quando ne avevo 16 ho fatto l’apprendista odontotecnico a Merano, in Alto Adige, dove sono nato e cresciuto. Finiti gli studi e stanco di lavorare in laboratorio a Merano, decisi di spostarmi a Vienna per vedere se lì ci fossero nuove opportunità di lavoro o di studio. Qui ho iniziato in un laboratorio artigiano che realizzava plastici e modelli per architetti e designer. È stato il mio primo contatto con questa realtà. Ho deciso poi d’iscrivermi all’università di Arti applicate per studiare Design. Il design è una disciplina che mette a relazione realtà diverse; così continua a evolversi. Questa è la cosa che più mi affascina. È uno strumento per essere in contatto con altre persone e spiegare determinate situazioni attraverso i propri progetti.
Cosa vuol dire per te progettare?
Progettare per me vuol significa soprattutto trovare e proporre soluzioni a un tema specifico.
Hai una definizione per il tuo approccio al design?
Il mio approccio è legato a doppio filo alla situazione che mi è proposta. Solitamente, cerco di aprire un dialogo con tutte le persone coinvolte in uno specifico progetto. Mi piace trovare un equilibrio tra funzione materiale e i diversi contrasti. Tecnicamente, penso che il mio design posso essere una fusione tra artigianato e nuove tecnologie; si parte sempre dal foglio bianco, si continua con i modelli in scala. Smonto e rimonto e mescolo fino a quando non sono soddisfatto – a volte mi viene facile e naturale, altre volte è stancante. Cerco soluzioni senza tempo e cerco di creare il prodotto in un contesto di passato-presente-futuro, ossia al di fuori dei cicli e delle aspettative di mercato che cambiano ogni 2-3 anni, questa è la mia idea di sostenibilità.
Mi hai detto di come sei finito a Vienna, raccontami di più.
Le scuole professionali mi portavano regolarmente qui per due mesi all’anno, e così imparai a conoscere questa bellissima città in cui vivo e lavoro tuttora. A Vienna, finiti gli studi di Design, iniziai a lavorare per Lobmeyr; il mio compito consisteva nel digitalizzare tutti i disegni dell’archivio storico; iniziai ad appassionarmi alle manifatture viennesi e ai loro progettisti storici, da Loos a Hoffmann e così via.
Siamo in un periodo di crisi. Che cosa vuol dire disegnare oggi e quali sono i requisiti per un buon oggetto di design?
La crisi è anche un’opportunità per liberarsi da progetti che puntavano solo all’immagine, bisogna proporre qualità vera a un pubblico sempre meglio informato. Per produrre meno prodotti, ma fatti meglio. Un buon oggetto di design è caratterizzato dalla giusta intesa tra materiale, forma e il fascino che emana. Un buon oggetto rappresenta un’idea in modo contemporaneo senza troppi sforzi; deve essere essenziale, narrativo e diventare fonte di ispirazione. Deve trovare il suo posto preciso e poi tenerselo stretto all’interno di questa abbondanza di prodotti che vengono sfornati ogni anno.
Le tue grandi ispirazioni? Da studente e ora.
Durante gli studi direi i maestri italiani. Mi piace poi molto Konstantin Grcic. Man mano che lavoravo, e quindi sviluppavo il mio metodo personale, l’ispirazione veniva spesso da altre discipline, come l’architettura la grafica. La moda con i suoi ritmi veloci offre anche molti altri impulsi. Le ispirazioni cambiano da progetto a progetto e spesso vengono dal proprio “fare”, dalla propria curiosità. È di grande ispirazione anche l’energia dei colleghi, persone che credono in quello che fanno, ciò dà fiducia ed è, al tempo stesso, fonte d’ispirazione.
Quali sono le tue passioni, design a parte? Cioè, cosa fai quando non lavori?
Dipende dall’intensità e dalla fase in cui mi trovo. Ho amici che collezionano dischi, con loro passo del tempo ad ascoltare musica e bere vino. Cerco di fare movimento regolarmente; mi piace soprattutto camminare in montagna. Mi rilassa passeggiare senza una meta precisa. Vienna offre molte opportunità culturali. La scena dell’arte contemporanea è molto attiva.
Se tornassi indietro, sceglieresti sempre il tuo lavoro?
Sì, sceglierei ancora questo mestiere. Sono fiducioso nel futuro anche se questa fiducia viene regolarmente messa alla prova. Progettare è un mestiere bellissimo che sa dare grosse soddisfazioni; la parte più difficile è sapere gestire lo studio. Ma penso che questo riguardi molti dei mestieri scelti per passione.
Il viaggio dei tuoi sogni?
Il Brasile per il mix di natura, architettura e persone. Mi piacerebbe visitarlo un giorno.