Nel periodo in cui Alain Delon lavora a Milano sul set di Rocco e i suoi fratelli, quindi tra il 1959 e il 1960, il Salone del Mobile non è ancora nato, anche se forse qualcuno ci sta già pensando. Di quel set la Cineteca di Bologna ha caricato su YouTube una clip straniante. È notte, tenebra fitta. Dopo il latrato di un cane la voce di Luchino Visconti risuona da un megafono tra via Ardissone e via Ercolano, nella zona del Ponte della Ghisolfa: “Piano, piano, non correre… Fermati… Vai, Renato, vai…”. Renato Salvatori allora colpisce al volto Alain Delon che cade a terra sul marciapiede. Delon nel film è Rocco Parondi, uno dei giovani fratelli emigrati dalla Lucania raccontati da Visconti.
L’attore ricompare a Milano 15 anni più tardi, ma in altre vesti. Non è più un proletario che cerca a fatica il suo posto nella grande metropoli. Di questa seconda apparizione milanese offre testimonianza Il salotto cattivo, un coltissimo almanacco Bompiani pubblicato negli anni Settanta. L’episodio quasi dimenticato risale all’edizione 1975 del Salone del Mobile. In sintesi: Vittorino Sabot, proprietario di una ditta di mobili a Udine (la zona del triangolo della sedia), riuscì a convincere l’attore ad autenticare con la sua firma una serie di oggetti poi messi in mostra durante l’esposizione. Alain Delon si presentò in persona allo stand e si prestò ad accogliere i visitatori. Lo fece “come un qualsiasi piccolo-medio imprenditore”, si legge in un articolo amarcord pubblicato nel 2015 sul Messaggero Veneto.
Le cronache dell’epoca, invece, sono nello stile dei rotocalchi degli anni Settanta. La Stampa del 17 settembre 1975: “Divo e produttore cinematografico, organizzatore di campionati mondiali di boxe, proprietario di cavalli da corsa e di elicotteri, Alain Delon, perfezionista e perenne insoddisfatto, è ora anche mobiliere”. Insomma: ricco, bellissimo, elegante, insoddisfatto, eclettico, Delon arriva a Milano accompagnato da Mireille Darc, la compagna dell’epoca. Il press agent dichiara: “In fondo è un attore per sbaglio; ha già provato mille attività diverse. Ha la smania di mostrare a se stesso di riuscire anche in campi diversi dal cinema”. Ma come sono questi mobili firmati A.D.?
Ancora La Stampa: “Seta e cinghiale, bianco e nero, un brillare di ottoni, rame e acciaio sulla radica chiara. L'impressione è di aver sbagliato indirizzo; anziché in una casa ci si ritrova su un set cinematografico, un ambiente falso di lusso e spregiudicatezza, dove dal divano si passa al letto, con baldacchino e tende di seta siglate A.D. […] una console in radica laccata nera, un grande specchio con bordo nero e metallo (650.000 lire), una poltroncina ricoperta in cinghiale con lo schienale alto (250.000 lire) […] tavolini bassi, radica, acciaio, ottone, rame, scavati al centro per bicchieri e bottiglie[…]”.
Lo stile degli arredi firmati Alain Delon, che in quegli anni in Italia con lo pseudonimo “Alain Velon” era protagonista di Playcolt (fumetto quattordicinale d’avventura scritto e sceneggiato da Renzo Barbieri), ricorda quello ostentato dai gangster alla Francis Turatello. O di qualche miliardario arabo dell’epoca. E in effetti Angelo Ragosta, architetto e designer che ha collaborato agli oggetti firmati A.D., aveva lavorato in precedenza per Re Hussein di Giordania. Oggi un tavolo da cocktail dell’epoca, firmato Alain Delon per Sabot, si può trovare in vendita su Internet tra i 1.000 e i 2,000 euro. Ma il vero tocco speciale, che rifinisce non tanto gli oggetti d’arredo ma la campagna di comunicazione Sabot, è il raffinato comunicato stampa in versi riportato tra le pagine de Il salotto cattivo:
“Tutta la vita è circostanza
un’idea scaturita da un pensiero o da un sogno
un desiderio che si ha bisogno di realizzare
un incontro che fa sì di concretizzare il tutto
è così semplice, come l’uovo di Cristoforo
[Colombo,
basta pensarci e poi volere.
Se non fossi uomo del cinema, avrei desiderato
[essere architetto,
poiché da sempre mi è piaciuta la casa e il suo
[interno.
I mobili
Viviamo con i mobili, dividiamo la nostra vita
[con loro
come con l’essere che divide la sua vita con la
[nostra.
Ecco perché ho voluto e ho deciso di realizzare
un insieme di mobili nel quale mi troverei a mio
[agio
Mi auguro e spero di farli apprezzare e avere un
[consenso.
Alain Delon”.
Infine, l’attore, riportano le cronache, trovò il tempo di aggiungere: “Il nostro stile non sarà né nuovo né vecchio, né futurista né antico. Sarà lo stile Alain Delon”. Ma non è soltanto Alain Delon ad appassionarsi alla casa e agli oggetti, sono gli stessi oggetti e la casa che negli anni Settanta si appassionano ad Alain Delon. Un ricordo personale: da bambino una zia mi fece notare un giorno la voce che si nascondeva dietro il suono del campanello della sua abitazione: “Lo senti questo campanello?”, mi chiese, “non fa din-doon… Ascolta bene come fa: Alain-Deloon”.