Abbiamo incontrato Libby Sellers, storica del design e curatrice, che ha terminato di scrivere di recente Women Design, un libro di ricerca che delinea un panorama generale delle affascinanti figure femminili in prima fila nella storia del design dal XX secolo a oggi. Un testo illuminante, da non perdere per molti motivi, specialmente in questo momento.
Qual è l’obiettivo, il senso di questo libro, che sarà disponibile a maggio?
Women Design è la memoria delle numerose donne, del passato e del presente, che hanno cambiato questo settore professionale e continuano a farlo. A chi si intende di storia del design certi nomi citati nel libro suoneranno familiari. Ma il libro vuole anche raggiungere un pubblico che va oltre il mondo professionale del design, per cui credo ci siano certi racconti e certe sfumature che potrebbero in qualche modo portare alla luce delle figure professionali finora sconosciute e il respiro di conoscenza e di trasformazione che hanno portato all’industria. Come concentrare in un unico libro il gran numero di professioniste dell’architettura, della grafica, dell’arredamento, del disegno industriale, del design dei trasporti e di quello del tessile? Sarebbe stata una battaglia persa. Ci sono inevitabilmente delle omissioni, ma come in ogni buon libro di storia spero che le figure che ho incluso abbiano la forza di stimolare il pensiero, d’ispirare all’azione e di suscitare dialoghi ricchi di senso che proseguiranno al di fuori delle pagine del libro.
Il sottotitolo dice: “Figure pionieristiche dell’architettura, del disegno industriale, della grafica e del digital design dal XX secolo a oggi”. Com’è cambiato il ruolo delle donne nel design dagli inizi del secolo a oggi?
È sbalorditivo pensare che il Bauhaus, una delle prime istituzioni pubbliche a permettere alle donne di studiare design, compirà 100 anni l’anno prossimo. Nel settore le donne semplicemente non venivano accettate e, anche quando lo erano, le prime, poche rappresentanti venivano spedite a studiare temi “femminili” come il design del tessile e della ceramica. Nel corso del XX secolo, per fortuna, le cose erano destinate a cambiare. Women Design contestualizza questo cambiamento concentrandosi sulle pioniere che spezzarono gli stereotipi di genere, come Marianne Brandt, oppure che riscrissero completamente le regole, come Muriel Cooper. Ogni scheda ha un’impostazione differente: certe analizzano il percorso verso il riconoscimento che avviene grazie a un partenariato, altre si concentrano sulla questione della razza, certe altre sono l’esempio di come i più ampi interessi della politica abbiano avuto un riflesso sul design. Ma tutte mettono in rilievo il talento e i successi delle designer.
Credi che nelle professioni della creatività esista una “prospettiva femminile” specifica?
Non sono sicura che si possa distinguere una “prospettiva femminile”, ma posso individuare certe qualità all’interno del mio stesso gruppo di appartenenza. Credo che le designer di oggi abbiano spezzato le monoculture che si erano costituite nel XX secolo. Invece di progettare per l’industria progettano per le persone.
Che cosa pensi della questione della neutralità di genere?
È un tema incredibilmente complesso e ricco di sfumature. Il concetto di design ha avuto diffusione generale nel XX secolo e, per questo, ha ereditato i pregiudizi e le convenzioni dell’epoca. Esattamente come non è possibile discuterne la storia senza invischiarsi in dicotomie maschile/femminile, è altrettanto impossibile ignorare che le professioni del design sono state storicamente, e in gran parte ancora rimangono, indiscutibilmente patriarcali. L’incidenza di questa condizione portava a marginalizzare, limitare, sottovalutare e sopprimere il grande contributo delle donne al settore. Adottare immediatamente l’accettazione della neutralità di genere rischierebbe di trascurare l’effetto domino della discriminazione di genere che persiste nel settore. Chi crede correttamente che il genere non debba contare e che siano il talento e le motivazioni a dover determinare il successo deve anche riconoscere che questi pregiudizi latenti nel mondo della professione hanno eliminato o represso la stragrande maggioranza dello stesso patrimonio di talento.
Tu hai un punto di vista preciso sul design. Tra le grandi figure che hai incluso nel libro qual è più prossima alla tua prospettiva, alla tua sensibilità, ai tuoi sentimenti di curatrice, e perché?
Bella domanda! Fin dalle mie prime esperienza di curatrice ho cercato di forzare le aspettative del design, spezzando le gerarchie e mettendo in valore tutto ciò che porta un contributo al mondo in cui viviamo. Il design è un universo così enorme… È un nome, un verbo e un aggettivo. C’è molto da portare alla ribalta. Ma più di recente ho adottato un percorso che guarda al design come al filo conduttore di una narrazione, un modo di descrivere il mondo che ci circonda attraverso gli oggetti, i materiali e i processi. In questo senso tutte le donne presenti nel libro entrano nella mia prospettiva, perché per parlare del design e del rapporto che ha con le persone ho preso in prestito le loro storie. Per altro ho un debole per qualcuna: mi piace la storia di Lora Lamm, la grafica di origine svizzera che si fece un nome lavorando a Milano negli anni Cinquanta, e anche quella di Kazuyo Sejima, che scrive: “Mi chiamo Kazuyo. Di solito il nome delle ragazze termina in ‘ko’”, spiega. “’Yo’ è un po’ diverso. Mio padre mi ha dato questo nome perché voleva che facessi a modo mio.” In certo qual modo mi piace pensare di aver fatto anch’io a modo mio.
- Titolo libro:
- Women Design
- Autrice:
- Libby Sellers
- Casa editrice:
- Frances Lincoln
- Data di pubblicazione:
- 7 giugno 2018
- Pagine:
- 176
- Prezzo:
- 30 $