Un mondo soffocato dalle informazioni. Video interattivi, immagini e testi che appaiono e scompaiono di continuo per fornire indicazioni (“scendi a questa fermata”) o per aggiornare sullo stato della carta fedeltà al supermercato (con una figura femminile o maschile a seconda che si sia uomo o donna), o per richiamarti alla puntualità sul lavoro.
Keiichi Matsuda
L’uso delle tecnologie ha un grande impatto su come le persone percepiscono e usano gli spazi e sempre più agli architetti saranno utili competenze di game design o di regia cinematografica.
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- Stefania Garassini
- 10 novembre 2016
- Milano
È il mondo visto attraverso un visore di realtà aumentata. O meglio, la “iperrealtà” – per usare un termine fatto proprio dal filosofo francese Jean Baudrillard per indicare il prevalere dell’immagine sul mondo reale – ripreso da Keiichi Matsuda nel suo cortometraggio Hyper-reality, presentato nei giorni scorsi al Politecnico di Milano da “Meet the media guru” nel corso della manifestazione “MiArch”. Girato in Colombia grazie ai fondi raccolti con una campagna di crowdfunding su Kickstarter, il film è la cronaca di un breve frammento nella giornata di una donna. Gli oggetti e le azioni reali con cui la protagonista ha che fare sono letteralmente sommersi sotto strati d’immagini virtuali, con un senso crescente di sovraccarico informativo e di ansia, fino al grottesco epilogo in cui persino l’ingresso di una chiesa è lastricato di menu da cliccare per scegliere le varie attività: scorrendo su una croce si attivano le diverse opzioni come confessare i propri peccati o assistere alla Messa.
“È davvero questo il mondo che vogliamo?”: è la domanda che intende sollevare il breve filmato nelle parole del suo creatore, che abbiamo incontrato a Milano in occasione della presentazione. Se non è così, quali possibilità abbiamo di costruire uno scenario diverso? “Il punto da cui partire – spiega Matsuda – è l’impatto che l’uso delle tecnologie ha sul modo in cui concepiamo e progettiamo lo spazio. Non ha più senso dire che la ‘forma segue la funzione’, secondo la ben nota massima di Mies van der Rohe. Uno smartphone oggi contiene una miriade di funzioni e spetta all’utente decidere quale attivare, indipendentemente dallo spazio reale che lo circonda. Oggi possiamo partecipare a riunioni dall’altra parte del pianeta seduti in un parco. Gli spazi organizzati intorno a una precisa funzione stanno scomparendo e dobbiamo pensare ad ambienti flessibili che possano essere usati per diverse attività. Noi come architetti abbiamo spesso la tendenza a ignorare la presenza e l’utilizzo di queste tecnologie nella fase di progettazione: immaginiamo in modo un po’ astratto il comportamento di chi userà gli edifici che disegniamo, ma in effetti tali tecnologie hanno un grande impatto su come le persone percepiscono e usano quegli stessi spazi”.
Matsuda ha in programma altri due cortometraggi della serie, nei quali affronterà anche il ruolo della pubblicità e della promozione dei marchi in uno scenario in cui virtuale e reale dovrebbero essere visti sempre più in continuità fra loro. Se dal punto di vista tecnologico la distinzione è chiara – i dispositivi di realtà virtuale “rinchiudono” l’utente in un mondo d’immagini create dal computer, mentre quelli di realtà aumentata sovrappongono quelle immagini all’ambiente fisico circostante –, l’autore di Hyper-reality considera entrambe come opportunità per ripensare il design dello spazio. Si potrebbe arrivare a parlare di due tipi diversi di architettura: una fisica, che si occupa degli spazi materiali, e una virtuale, che invece progetta ambienti virtuali che si possono riconfigurare sulla base delle nostre esigenze, di lavoro o d’intrattenimento. Gli strumenti con cui avremo accesso a questi ambienti probabilmente non saranno quelli che vediamo oggi, come i Google Glass, che di fatto non sono mai entrati in produzione, o gli Hololens di Microsoft, che proiettano ologrammi nello spazio fisico, ma piuttosto di dispositivi molto leggeri, come lenti a contatto o semplici occhiali.
“Le tecnologie diventeranno quasi completamente invisibili: lo strato d’immagini potrà essere ovunque, lo spazio stesso diventerà un mezzo di comunicazione” – spiega l’autore – “Per progettare tali spazi saranno utili competenze di game design o di regia cinematografica. Chi realizza un videogioco ha in mente innanzitutto il proprio utente, e come quegli ambienti e quelle immagini saranno percepiti da chi giocherà. Credo che anche in architettura si dovrebbe arrivare a pensare di più in questi termini”. Sono in molti a lavorare sugli aspetti tecnici e a chiedersi come realizzare i sistemi più avanzati. Ma pochi si chiedono perché lo stiamo facendo e che conseguenze questo avrà sulla vita reale della gente. “Non ho le risposte, ma credo di essere arrivato al punto in cui sono in grado di porre le domande giuste”, sostiene Matsuda. “Se non è questo lo scenario che vogliamo, occorre fare qualcosa. Non basta stare fermi ad aspettare che esca il prossimo smartphone”. Anche perché la vita della protagonista di Hyper-reality è tutt’altro che una prospettiva desiderabile.
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