Nella sua Risonanze, Andrea Anastasio, filosofo prestato al design definisce una riflessione sullo spazio dell’abitare come luogo dove si consolidano, strutturano o negano le relazioni umane. Una drammaturgia in cui tutti gli elementi si esprimono attraverso la contemporanea affermazione e negazione e danno forma a un’architettura di segni decisi ma non ostentati che lascia intravedere la possibilità di affermare o negare la dimensione dell'ascolto di sé, dell’altro e del mondo.
Emerge una scrittura spaziale segnata da una teatralità alla Bob Wilson in cui le polarità declinate mostrano la loro essenza definendosi in tutta la loro purezza. Interno-esterno, microcosmo-macrocosmo, isolamento-relazione, dialogo-indifferenza. Gli elementi di arredo sono essenziali allo svolgimento della vita quotidiana: tavolo-letto-contenitore e sono attraversati da una tenda semi-trasparente che li taglia a metà. È in questo elemento potente e allo stesso tempo leggero che si esprime tutta la sensibilità di Anastasio che lancia un invito a riflettere su un nuovo umanesimo del progetto ma senza clamore e rumori di fondo.
Fabio Novembre, con il suo segno neobarocco, ha disegnato un incavo INTRO che rimanda all’origine della vita dove l’essere gettati nel mondo ritrova una sua misura nella suggestione del grembo di una grande madre.
La proposta di Alessandro Mendini sembra, invece, negare la possibilità che l’abitare possa trovare una sua forma compiuta e confortevole. Mendini ha scelto per Le mie prigioni un laminato optical in bianco e nero come materiale capace di esprimere questo suo disagio. “Tanto mi ha sedotto il laminato, da porsi come origine di quella ossessione decorativa di infiniti segni…E se cerco il più vero e lontano inizio del mio ergastolo progettuale, delle mie prigioni, lo trovo sopra la superficialità delle superfici, non nel profondo degli spazi e delle forme”.
Francesco Librizzi continua la sua ricerca attorno alla leggerezza strutturale proponendo D1, uno spazio in divenire dominato da forme ellittiche in metallo. Claudio Lazzarini e Carl Pickering con La vie en rose declinano una dimensione spaziale scandita da lastre su cui è applicata una speciale vernice fotovoltaica indicando una possibile traiettoria per un abitare autosufficiente dal punto di vista energetico.
Carlo Ratti con il suo studio disegna Lift-Bit, un paesaggio di arredi in movimento che sfruttano la tecnologia per adattarsi a continui mutamenti funzionali.
Elisabetta Terragni immagina nella sua In prospettiva, un avamposto della riflessione lasciando il fruitore libero di scegliere le coordinate del proprio pensare e abitare il mondo.
Marta Laudani e Marco Romanelli con L’assenza della presenza propongono uno spazio scenografico in cui mettere in scena un teatro del quotidiano fatto di isole raccolte e ben delimitate da tendaggi in cui vivere le varie azioni da quelle più intime a quelle più familiari.
Manolo De Giorgi invita al movimento con Circolare Circolare dove lo spazio si definisce come flusso integrato di funzioni ed emozioni attraverso l’intersecarsi di linee energetiche. Un’ampia rassegna di interni capace di restituire una dimensione dell’abitare contemporaneo che ben si accorda con il tema della XXI Triennale 21st Century. Design after design.