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The work of Miyake Issey
Saldamente ancorato alla posizione guerrigliera secondo la quale “un pezzo di stoffa” non è pura e semplice “moda”, Issey Miyake raccoglie 45 anni della sua carriera in una grande mostra a Tokyo.
Ha detto lo scultore basco Eduardo Chillida che tutte le cose serie e importanti si assomigliano perché possiedono elementi dalle variazioni infinite e mai identici a se stessi. Considerando in questa prospettiva il corpo umano, il complesso compito di vestirlo ha dato origine a un’ampia cultura che si è sempre più rapidamente evoluta nell’ultimo secolo.
Oggi si è creata un’ambivalenza paradossale tra il concetto di abbigliamento e quello di moda, e c’è da chiedersi quale sia l’importanza della semplice pezza di stoffa un tempo indossata sul corpo. Secondo critici come Bernard Rudofsky, la funzione principale della cultura dell’abito non riguarda la protezione, la modestia o l’ornamento, ma lo stimolo del desiderio visivo. Mentre molti degli attori dell’industria della moda hanno l’ossessione di alimentare delle tendenze, altri come il progettista d’abbigliamento giapponese Issey Miyake rimangono saldamente ancorati alla visione del futuro e alla posizione guerrigliera secondo la quale “un pezzo di stoffa” non è pura e semplice “moda”.
“Miyake Issey Exhibition: The work of Miyake Issey”, la mostra al National Art Center di Tokyo, è la più esauriente mai allestita sull’opera del designer. L’esposizione percorre 45 anni della sua carriera, a partire dagli anni Settanta fino alle sue creazioni più recenti. Nato nel 1938 nella provincia di Hiroshima, Miyake appartiene alla generazione che ha ricostruito il Giappone nel dopoguerra. Per questo la sua concezione della creatività è fondata sulla sperimentazione, sulla fabbricazione, sull’inventiva e soprattutto sul lavoro di gruppo e sulla collaborazione.
Secondo le sue stesse parole Miyake vede il design come un “gesto di scoperta” e considera se stesso un uomo che fa cose, nella tradizione giapponese del mono-tsukuri (“fare cose”). Per quasi mezzo secolo di esperienza, dalla fondazione del suo studio di progettazione nel 1970, ha lavorato con vari personaggi del mondo della creatività, come Isamu Noguchi, Irving Penn e Ikko Tanaka. Consapevole del suo ruolo di punta nel mondo del design, ha dedicato i suoi sforzi più recenti alla creazione di un museo del design del Giappone che possa passare il testimone ai designer delle generazioni più giovani.
Inaugurato nel 2007, lo stesso anno della scomparsa del suo progettista Kisho Kurokawa, il National Art Center di Tokyo è una delle maggiori istituzioni nazionali del suo genere. Per l’allestimento e la grafica della mostra Miyake ha voluto agire anche questa volta in collaborazione, come in altri progetti precedenti, con il celebre artista e designer giapponese Tokujin Yoshioka e con il grafico Taku Satoh. Lungo tre spazi principali (A, B e C) il visitatore vive atmosfere e scale proporzionali diverse secondo i materiali, le forme e le tecnologie che hanno segnato l’evoluzione dell’opera di Issey Miyake.
Apre la mostra la sezione A, organizzata in un lungo corridoio bianco in cui sono esposti i primissimi lavori di Miyake degli anni Settanta. In questi primi anni di affermazione lo studio di Miyake si concentrava sull’idea di libertà dedicandosi alla scoperta dell’essenza dell’avvolgere la tridimensionalità del corpo con una realtà bidimensionale come un tessuto. Secondo Miyake c’è un dialogo reciproco tra corpo e stoffa, e anche lo spazio tra i due è per lui oggetto della progettazione. Secondo Yoshioka, responsabile del progetto spaziale delle prime due sezioni, il corpo umano ne è il protagonista. Perciò ha attentamente progettato dei manichini accumulando sezioni trasversali di un prototipo di corpo umano, realizzato in cartone per questa sezione della mostra e in materiale acrilico per quella seguente.
La sezione successiva è concepita come uno spazio dalla luce diffusa, in cui i manichini di acrilico progettati da Yoshioka si dissolvono, mettendo in rilievo alcune delle qualità materiali cui Miyake era interessato nell’arco degli anni Ottanta. Fu in quel periodo che lo studio iniziò a privilegiare la sperimentazione sul corpo come entità da valorizzare e progettare attraverso l’abito. Qui alcune delle opere esposte si presentano come manifesti ideologici di quel periodo, come i capi di FRP (plastica caricata con fibra) simili a corsetti, fatti per essere indossati da corpi finti e presentati invece come oggetti autorappresentativi. Miyake, da alchimista dei materiali e da matematico delle geometrie, è partito da qui per creare un dialogo tra valori orientali e occidentali, con le sue fluenti curve combinate con materiali e tecnologie produttive tradizionali.
L’immagine di Issey Miyake come costruttore si consolida nell’ultima e più ampia sezione C. Qui Satoh ha realizzato con spirito festoso un progetto per l’ampia gamma di temi e variazioni che il designer ha affrontato fino a oggi. Miyake attribuisce qui la prolificità della sua attività creativa alla sua concezione del lavoro di gruppo, grazie alla quale le sue idee sono in grado di diffondere la loro fecondazione all’infinito. In questa sezione si vede in azione l’arte di trasformare una pezza di tessuto bidimensionale in qualcosa di tridimensionale, che celebra la piegatura del tessuto come uno dei tratti più caratteristici della produzione d’abbigliamento di Miyake. Creata nel 1993, Pleats Please fu la prima collezione a concretizzare queste sperimentazioni, e più tardi altre, come A-Poc del 1998, iniziarono ad aprirsi a una maggior consapevolezza dei problemi dell’ambiente, eliminando in pratica ogni spreco di materiale nell’ambito del processo produttivo. Abbiamo visto più di recente che altre creazioni, come le lampade 132 5.Issey Miyake oppure In-Ei Issey Miyake, si sono sviluppate come prodotti della ricerca multidisciplinare all’interno del Reality Lab di Miyake, nel quadro di un’intensa sperimentazione sui materiali e di una spiccata attenzione al fattore umano.
Due sono gli aspetti interessanti da prendere in considerazione a proposito di questa mostra. Uno è ovviamente la rivisitazione retrospettiva dell’evoluzione e dell’importanza dell’opera di questo “costruttore di oggetti”, come si definisce lo stesso Miyake. L’altro consiste negli insegnamenti che un uomo di tanta esperienza cerca di trasmettere ai visitatori attraverso suggerimenti minimi. Quanto al primo osserviamo le sue creazioni in un percorso strettamente darwiniano, in cui emergono progressivamente nuove e più forti specie di abiti, attraverso l’ibridazione e l’adattamento alle condizioni del momento storico e della cultura in cui sono iscritti, secondo i vantaggi delle tradizioni e delle tecnologie disponibili. Quanto al secondo si legga per esempio la prefazione di Miyake che apre il catalogo della mostra, che inizia con queste parole: “La partenza spesso si accompagna a certe attese e a certe ansie”. Anche il fatto che il suo nome, nel titolo della mostra, sia indicato nella forma giapponese, con il cognome che precede il nome, dice forse qualcosa di un uomo che progetta anche il minimo particolare. Miyake Issey forse inizia a riconciliare le sue convinzioni con le sue origini, o forse semplicemente si appresta alla creazione del suo prossimo “pezzo di stoffa”.