Questo va da sé: le rivoluzioni o gli aggiornamenti tecnologici non scalzano tout-court quello che c’è stato prima. Non l’ha fatto la fotografia con la pittura, non l’ha fatto il cinema con il teatro, non l’ha fatto il forno a microonde con quello tradizionale. Ma quello che, tra le altre cose, sicuramente le trasformazioni impongono, è che il mezzo precedente per sopravvivere debba trovare una sua specificità, una peculiarità forte e non sostituibile.
Perciò mi pare che il movimento dei maker che sta arrivando in Italia, per il fatto che arriva proprio su questa tradizione italiana, ha delle responsabilità da una parte e delle buone opportunità dall’altra, a patto di conoscere e valorizzare il terreno su cui va a germinare. L’Italia ha una storia diversa, diversi inventori, un modello d’impresa e di crescita a sé, un’industria creativa peculiare e un immaginario duro su cui testare la resistenza di un fenomeno spontaneo e diffuso come quello dei maker. Lo stesso, viceversa, vale e fa bene anche ai nuovi artigiani (siano analogici o digitali, lavorino al tornio, con le mani o seduti a un pc) che non possono permettersi di perdere o ignorare la potenza della rete, qualunque siano le loro ambizioni.
In questo senso – vorrei tranquillizzare persone come mia madre – i maker sono portatori di buone notizie.
La prima è che, oltre al bisogno e alla bellezza del ritorno al “saper fare” (e come vogliamo utilizzare se no tutto questo tempo libero che ci è dato dalla disoccupazione e che un tempo era appannaggio solo dei pensionati?) in molti casi i maker producono delle cose davvero intelligenti, alternative, sostenibili, economiche, innovative che tengono alta la bandiera del nostro made in Italy. Arduino stessa ne è l’esempio più emblematico e lo è, al di là delle battute, il lavoro importantissimo che Massimo Banzi sta facendo in giro per il mondo esportando queste conoscenze, compreso arrivare a parlarne su Raitre, e provare a spiegarlo a persone come Obama ma anche come mia madre, compreso portare a Roma 40.000 persone in un solo week-end di fiera…
Evviva la Maker Faire allora. Ma, soprattutto, evviva se persone come Massimo Banzi o il co-curatore Riccardo Luna (da poco nominato Digital Champion del governo Renzi), come Enrico Bassi, il fondatore del primo Fablab italiano che sta aiutando altri studi laboratori ad aprirsi in vario modo a questo modello (ultimo in ordine di tempo Opendot, inugurato lo scorso 25 settembre a Milano), come Zoe Romano e Costantino Bongiorno di Wemake (che recentemente hanno presentato in anteprima italiana e sottotitolato il bellissimo documentario sul movimento dei maker), e come tanti altri che hanno appunto “aperto” le proprie competenze a noialtri restii e un po’ sospesi nei nostri piccoli mondi antichi.
Evviva se riusciranno davvero a trasferire anche ai nostri figli quegli strumenti che, non solo la generazione di mia madre, ma pure metà della nostra, si è un po’ persa, dialogando insieme per insegnare loro a costruirsi – se non hanno voglia di cercarle, non le trovano come vorrebbero o non hanno i mezzi per acquisirle da fuori – soluzioni da sé, valorizzando anche la differenza (di massa) del loro sé, pur senza essere geni o rivoluzionari.

Eclisse: l’arte dell’invisibile rivoluziona il design d’interni
Leader nella produzione di controtelai per porte scorrevoli a scomparsa, Eclisse ridefinisce il concetto di spazio abitativo. Attraverso soluzioni come Syntesis Line, l’azienda trasforma le porte in elementi di design continuo.