Nel 2014, a vent’anni dalla proclamazione della sua democrazia, Cape Town è World Design Capital. Però lo sapevano in pochissimi fuori dal Sudafrica prima di questo febbraio, quando si è tenuta la fiera annuale di Design Indaba, per altro solo temporalmente coincidente con le prime manifestazioni legate a CTWDC2014. In concomitanza, c’è stato anche Guild Design, terzo vertice del design a cavallo tra febbraio e marzo, a sua volta sconnesso dall’expo di Indaba. Cioè tre operazioni, probabilmente molto costose, comunicativamente efficientissime (almeno a livello nazionale), con un panel di ospiti e seminari da fare invidia alla dispersività milanese, che anziché farsi portatrici all’esterno di un messaggio corale (probabilmente alla resa dei conti inesistente) hanno raccontato in questi giorni le loro tre identità del design sudafricano, a loro volta multiple e complesse.
Come il design italiano, svedese, tedesco, inglese, americano, ecc.., anche il design africano ha interpreti ed espressioni varie e molteplici, che vanno dall’artigianato locale rivisitato (un craft 2.0 con un occhio alla tradizione e l’altro al nostro continente), all’emulazione di un linguaggio apolide e diffuso (che parla la lingua dei teschi, dello shabby sverniciato, dell’estetica olandese), alle forme di autoproduzione (nel modello designer/impresa che qui abbonda tra i ricchi bianchi sudafricani che aprono e chiudono monomarca del brand con cui si autodisegnano sedie, librerie, fioriere, tavoli), ai progetti digitali dei maker, ai progetti di arte/design venduti localmente a facoltosi clienti, in attesa che una gallerista straniera punti il dito e ne faccia un talento. Accanto a queste espressioni, tutte legittime e alcune di grande qualità – che però inevitabilmente soddisfano poco per chi viene da fuori la famosa domanda di poche righe fa – c’è un design intelligente, utile, alternativo e originale non solo “made in Africa”, ma “made for Africa”, ovvero quello che parte da urgenze, bisogni, domande locali e li trasforma in risposte di portata globale.