Design e ansia da prestazione

Il progetto per un dragamine ha riacceso nella comunità olandese la vecchia controversia tra funzionalisti puri e progressisti, e ha generato un utile dibattito sulle potenzialità del design e sui requisiti di una formazione appropriata.


Questo articolo è stato pubblicato su Domus 970, giugno 2013


Sparate a caso sul mondo del design e il successo è assicurato. Il teorico olandese Timo de Rijk ha gustato il dolce sapore del successo dopo aver pubblicato sul giornale NRC Handelsblad (nel febbraio 2013) un articolo in cui fustigava il progetto di un neolaureato della Design Academy di Eindhoven, e con l’occasione fustigava anche una parte significativa del mondo del design olandese. 
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In apertura: il dragamine Mine Kafon con il cui progetto Massoud Hassani si è laureato con lode alla Design Academy di Eindhoven lo scorso anno, fa parte della collezione di design del MoMA. Ancora in fase sperimentale, apre nuove prospettive sulla gestione di un problema serio in ex zone di guerra. Qui sopra: Per il Salone del Mobile 2012, lo studio mischer’traxler ha collaborato con Wait and See per esporre il proprio lavoro e il modo di pensare. Balanced era una ricerca su causa ed effetto. In mostra c’erano materiali di ispirazione, esperimenti e teorie, presentati accanto a prodotti finiti
La marea delle reazioni ha mosso le acque dell’antica controversia tra funzionalisti puri e chi crede che nel design ci sia ancora qualcosa da scoprire. Il dibattito in corso ha trovato spazio al congresso “What Design Can Do” di Amsterdam (16-17 maggio 2013) e molto probabilmente continuerà ad agitare la comunità del design olandese nel prossimo futuro. Quali sono le questioni di fondo in gioco?
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La rivalutazione del lavoro artigianale e la valorizzazione di difetti lasciati dal processo di lavorazione iniziate da Hella Jongerius nei primi anni Novanta, ha influenzato la produzione industriale. Oggi Jongerius lavora sulla percezione umana dei colori: ha sviluppato gamme di smalti prodotte da Royal Tichelaar Makkum (qui sopra, Coloured Vases, series 3) e nuove palette di colori per l’industria (Vitra). Photo © Gerrit Schreurs
De Rijk criticava Mine Kafon, il progetto con cui Massoud Hassani si è laureato con lode alla Design Academy di Eindhoven nel 2012. Subito dopo la presentazione della tesi, i media nazionali e internazionali si sono profusi in lodi e il MoMA di New York ha acquistato uno dei prototipi per la sua prestigiosa collezione di design. Ha bisogno di altre prove di qualità un progetto per essere ritenuto valido? Per De Rijk tutti questi attestati di stima non hanno senso perché, in fin dei conti, il dispositivo di sminamento non funziona. L’illusione di sicurezza che dà, se venisse impiegato in zona di guerra, non farebbe che provocare un gran numero di perdite. Che la qualità scultorea dell’oggetto abbia comunque suscitato grandi lodi indica un problema di cui, secondo l’autore, soffrono molti designer olandesi: non si cimentano con la realtà, ma principalmente con il mondo delle arti visive. Il professore associato alla Technical University di Delft conclude il suo verdetto schiacciante sostenendo che nella formazione olandese al design c’è qualcosa di fondamentalmente sbagliato, se consente a progetti di questo genere di superare ogni filtro di critica.
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Alicia Ongay-Perez, Inside Out, 2012, oggetti e videointerviste a parenti e amici. Questo progetto di laurea per la Design Academy Eindhoven ha indagato tutti gli aspetti di un progetto di design
Il succo di molte reazioni all’articolo è stato: finalmente qualcuno ha svelato il vuoto retorico che circonda tanti prodotti di design semplicemente sottoponendoli a una doverosa verifica con la realtà. Ovviamente, de Rijk ha ragione. Sappiamo con certezza—come con certezza lo sanno i designer—che oggi l’oggetto progettato da Hassani non soddisfa ancora tutti i requisiti tecnici e funzionali il Mine Kafon non sta ancora liberando l’Afghanistan e l’Iraq dalla minaccia mortale dei campi minati.
Ma è indispensabile che lo faccia? Un progetto in questa fase iniziale di sviluppo, prima di essere presentato al pubblico, deve davvero soddisfare tutti i requisiti? La crociata di De Rijk non può rimanere senza risposta. Dopo tutto, emette una sentenza adottando un unico parametro—l’utilità immediata—e trascurando altri criteri di giudizio del progetto più validi. Benché De Rijk ammetta di non essere sordo ai valori culturali, nel suo ragionamento esiste solo un’unica realtà, di fronte alla quale il design deve mettersi alla prova: quella del mercato, la quale richiede che i designer risolvano i problemi (o l’illusione dei problemi) con prodotti ben funzionanti.
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Mischer’traxler, The idea of a tree, 2008. Il dispositivo funziona a energia solare: si attiva all’alba. Dopo il tramonto, si possono raccogliere gli oggetti finiti
Ma quali prodotti potrebbero sopravvivere a quest’esame? Se venisse sottoposto troppo presto a un simile criterio monodimensionale, non finirebbe forse nel cestino qualunque prodotto innovativo? I primi progetti di designer olandesi come Jurgen Bey, Hella Jongerius, Piet Hein Eek, Bertjan Pot, Maarten Baas, Christien Meindertsma e molti altri non avrebbero mai visto la luce, e non avremmo mai conosciuto il loro più vasto significato sociale. Al momento dell’ideazione, la seduta fatta con un tronco d’albero (Bey), il servizio di porcellana difettoso (Jongerius) e i mobili di materiali di scarto (Piet Hein Eek) suscitavano immagini che colpivano la fantasia e che funzionavano benissimo sui media e nei musei. A distanza di anni ritroviamo quegli stessi designer in prima fila nel cambiamento dell’idea di consumo, di globalizzazione, di localismo, di produzione industriale in serie contrapposta alla produzione artigianale.
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Alicia Ongay-Perez, Inside Out, 2012, oggetti e videointerviste a parenti e amici. Questo progetto di laurea per la Design Academy Eindhoven ha indagato tutti gli aspetti di un progetto di design
Ciò che veniva riconosciuto e apprezzato sommessamente sui giornali e nei musei negli anni Novanta oggi è diventato qualcosa di comunemente accettato. Raramente gli innovatori del progetto si trovano tra i designer che rispondono direttamente alla domanda del mercato, al di là dell’utilità e dell’importanza dei loro prodotti, perché il mercato è per definizione conservatore. Raramente gli innovatori si trovano tra i designer per i quali la funzionalità momentanea è l’obiettivo del processo progettuale. Il che è altrettanto vero per l’attuale nozione comune di “importanza sociale”,
che va sostanzialmente d’accordo con il vecchio slogan della funzionalità del risolvere i problemi.
Se, come si dovrebbe, si crede nell’intuito del designer per i segnali (ancora inconsci) di un’epoca, non si dovrebbero porre confini alla sua immaginazione vincolando troppo strettamente il suo territorio.
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Makkink & Bey, EarChair per Prooff, 2009. Oltre a essere sedute confortevoli, queste poltrone possono creare spazi parzialmente chiusi per riunioni. Jurgen Bey indaga il concetto di funzionalità sin dai suoi primi lavori degli anni Novanta
Il design e il mondo hanno bisogno di designer che abbiano il coraggio di guardare oltre i limiti della professione e di ciò che il mercato e la società in apparenza chiedono. Così facendo, essi danno senso ai numerosi significati, tradizionali e nuovi, che sono connessi al termine ‘funzione’: perché la parola ha tanti sensi quanti sono gli sviluppi culturali, le esigenze sociali, le soluzioni pragmatiche e le innovazioni tecniche.
L’uso pratico è solo una delle tante facce del design. Il design risolve problemi fondamentali. Il design rappresenta il modo in cui si vuol vivere. Il design ha il potere di abbellire, facilitare e disciplinare il comportamento. Il design può puntare moralisticamente il dito, dar voce a una critica, essere molto divertente. Il design rispecchia il nostro essere qui e oggi, perché rappresenta la nostra epoca e il contesto sociale, culturale e tecnologico in cui nasce e funziona. Il design apre nuove prospettive sulla realtà. In questo senso non esiste più nessun ambiente ‘naturale’ per i prodotti di design, e certamente non esiste un ambiente naturale per i prototipi sperimentali che, quando rappresentano scenari futuri, possono avere un valore pressoché autonomo. Quindi è giustissimo affermare che il design oggi si presenta su palcoscenici che fino a poco fa erano riservati alle arti visive, palcoscenici che per natura sono più aperti a prospettive visionarie e a esperimenti su differenti  significati, e sono in grado di innescare immediatamente un dibattito.
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Massoud Hassani ha condotto esperimenti con militari specializzati per capire come migliorare alcuni elementi del suo dragamine
La molteplicità della professione si riflette anche nella formazione al progetto. I corsi di Disegno industriale tenuti da università e politecnici insegnano agli studenti a sviluppare i prodotti anonimi richiesti dal mercato in base a precisi requisiti. Le scuole di design, come la Design Academy di Eindhoven e i dipartimenti di design delle accademie d’arte come ArtEZ ad Arnhem, la Gerrit Rietveld Academie e il Sandberg Instituut di Amsterdam formano designer meno soggetti a vincoli e pronti invece ad allargare le frontiere, a credere nell’intuito, a lavorare di fantasia e a tuffarsi nell’incertezza del futuro. Un elogio del concetto di homo ludens. Gli studenti imparano a combinare insieme ricerche artistiche e accademiche, a confrontare il risultato con una realtà davvero stratificata e a tradurre il frutto di quel processo in un design innovativo. Tra gli ex allievi di questi istituti troviamo la maggior parte dei cosiddetti “autori di design” che sono diventati famosi nel mondo del design internazionale.
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Mischer’traxler, rocking bench
Il tono della discussione, così alto nella comunità del design olandese, prova quante lacune esistano attualmente in fatto di dibattito e di voci critiche. Proprio quando il riconoscimento di un museo conferisce maggior dignità alla professione, appare evidente che essa può prendersi sul serio solo in presenza di una corretta dose analitica, di una critica e di una formulazione teorica. Troppo a lungo il design è stato confinato nelle riviste patinate e nelle pagine di moda e tendenza dei quotidiani. Naturalmente è lodevole che teorici stimati gettino uno sguardo ravvicinato e critico su un progetto molto apprezzato per metterne a confronto le nobili intenzioni con i requisiti che un prodotto, in ultima analisi, deve soddisfare. Chi rivendica la funzionalità deve aspettarsi una verifica di fattibilità. Chi crea oggetti senza senso per il mercato deve essere pronto ai commenti duri, e chi compie un balzo in avanti verso il futuro o sfida i confini di una disciplina merita un atteggiamento critico, ma prima di tutto merita una mente aperta. Ogni progetto va giudicato secondo i criteri intrinsechi racchiusi nella sua funzionalità (potenziale), nel suo significato e nella sua espressività. Un bel compito attende i teorici del design: scoprire e analizzare le stratificazioni di senso contenute—esplicitamente o meno—nei progetti, e anticipare i possibili futuri sviluppi sociali e culturali dei progetti sperimentali e di indagine sociale. Giudicare (o lavorare!) secondo i criteri limitativi del ‘funziona’ oppure “è socialmente rilevante” significa precludersi la visione di questi significati. Louise Schouwenberg. Resposabile master di Design contestuale, DAE

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