La storia dei prodotti Brionvega,è il racconto delle alterne vicende di un’industria a dimensione familiare, che ha saputo esprimere una visione talmente straordinaria da rimanere ancora oggi incomparabile, basterebbe da sola a rappresentare la vicenda del design italiano del dopoguerra. La famiglia Brion ha lavorato insieme a grandi progettisti per disegnare un’intera generazione di oggetti elettronici: la forza del design ha dimostrato quanto la tecnologia da sola non fosse sufficiente a creare prodotti significativi.
Oggi, al pari di altre importanti realtà industriali italiane legate allo spirito illuminato di grandi famiglie di imprenditori, come Olivetti o Zanussi, Brionvega ha subito lo stesso destino di cambiamenti societari: nel giro di dieci anni il marchio Briovega ha conosciuto tre passaggi di proprietà. Il televisore sopravvissuto come tipologia consolidata alla proliferazione di oggetti elettronici, si trova ormai a competere sul terreno della produzione con l’estremo oriente dove i costi industriali sono più competitivi, ma l’asse nella manica rimane il pedigree del progetto.
Brionvega è oggi la prima industria elettronica nella storia ad aver rieditato prodotti di oltre vent’anni fa. Malgrado i circuiti elettronici siano stati rinnovati, è la forza della loro identità che rende plausibile questo tipo di operazione venata di nostalgia: un po’ come se Apple decidesse di rimettere in vendita i suoi primi personal. La storia dell’azienda coincide originalmente con quella della famiglia Brion: Giuseppe, il fondatore, la moglie Rina e il figlio Ennio, che ha diretto la Brionvega fino alla sua acquisizione da parte del gruppo Seleco, nel 1992, poi rilevato a sua volta dalle Industrie Formenti nel 1998. Dopo un’esperienza lavorativa alla Phonola e alla RadioMarelli, Giuseppe Brion fonda nel 1945 una società per la produzione di componenti radiofoniche, la BPM: poi denominata Vega BP Radio quando, per contrastare la spietata concorrenza americana e tedesca, la produzione si estese ai prodotti finiti, nel 1950.
Intanto, dopo due anni di trasmissioni sperimentali, il 3 gennaio 1954 la RAI (Radio Televisione Italiana) inizia a trasmettere ufficialmente su tutto il territorio nazionale. Con l’avvento della televisione Brion spicca il grande salto. Ne intuisce subito il potenziale e, quando la Rai gli propone una collaborazione per pubblicizzare i propri servizi, compra l’azienda di televisori Homelight, cambia il nome in Radio Vega Televisione e nel 1954 presenta il primo apparecchio tv completamente costruito e realizzato in Italia. Brion si dimostra fin dall’inizio imprenditore illuminato e attento, puntando oltre che sulla tecnologia dell’impianto tecnico anche sul design del contenitore, per favorire l’integrazione domestica del televisore e farne un oggetto di consumo, piuttosto che un apparecchio tecnico. Nasce così la collaborazione con i principali designer dell’epoca: primi fra tutti Rodolfo Bonetto, Franco Albini e Franca Helg, autori, rispettivamente, dei televisori Cristallo 23” (1959) e del bellissimo Orion 23” (1961), la cui leggerezza sospesa contrasta con la gravità monolitica dei rivali tedeschi e statunitensi.
Con gli anni Sessanta l’azienda continua a crescere: il nome varia prima in Brion Vega e poi nel 1963 nel definitivo Brionvega, e, soprattutto, la scelta di investire nel design come caratteristica d’eccellenza passa da esperimento intuitivo a punto di forza della strategia aziendale. Nel 1962 a Marco Zanuso si unisce il tedesco Richard Sapper. Firmano insieme alcuni dei capolavori Brionvega: i televisori Doney 14” nel 1962, l’Algol 11” nel 1964, il Black ST201 nel 1969 che accompagnano la loro radio TS502; seguono l’impianto stereo dei fratelli Castiglioni del 1966, il radioregistratore RR 130 di Bellini del 1970. Con il Doney 14”, la Brionvega assurge già all’olimpo del disegno industriale internazionale, quello dei riconoscimenti ufficiali e dell’establishment museale ma anche dell’innovazione e della ricerca tecnologica. Il Doney è infatti il primo apparecchio a transistor prodotto in Europa, uno “gnomo dell’elettronica” che sovverte i canoni estetici e funzionali del televisore nel mondo. Piccolo, maneggevole, colorato, facilmente trasportabile, si adatta a qualsiasi ambiente: dal mini appartamento alla casa signorile.
La differenza con i “dinosauri valvolari” in voga in quegli anni è lampante, così come l’aderenza delle sue forme tondeggianti, (realizzate mediante formatura sottovuoto con una scocca in plexiglass trasparente) ai canoni del dirompente design pop anni Sessanta e alle sperimentazioni sulla nuove tecnologie delle materie plastiche introdotte in Italia dal boom economico. Due anni dopo, nel 1964, entra in produzione l’Algol: un televisore lillipuziano con schermo da 11 pollici, destinato a divenire immediatamente oggetto di culto del design italiano (ancora oggi è esposto al MoMa di NY e al Museum für Kunst und Gewerbe di Amburgo). La forma armonica e razionale, le dimensioni, la dinamica maniglia estraibile e lo schermo inclinato lo rendono sintesi perfetta dell’oggetto nomade, un simbolo da beat generation. Algol modifica anche la collocazione tipica del televisore: può infatti essere posato sul pavimento, immagine per cui Zanuso lo paragonerà a un cagnolino che guarda in su verso il suo padrone.
In questi anni poche aziende riescono a reggere il passo della Brionvega: ci prova la Keracolor, che con il televisore sferico disegnato da Arthur Bracegirdle nel 1969 si riallaccia al filone del design futuristico della nave da crociera inglese QE2, del negozio di Mary Quant in New Bond Street o della Globe Chair di Eero Aarnio del 1965. Il segreto del successo della Brionvega è però nella straordinaria capacità della famiglia Brion di coniugare il migliore design italiano con le più innovative tecnologie elettroniche. “Era molto bello lavorare per Brion – ricorda Achille Castiglioni – perché si formava un gruppo progettante, dove praticamente la parte tecnica della produzione, la parte cioè anche del committente, era molto vicina a quella del progettista. Era una progettazione di gruppo, il meglio che si può ottenere in questi casi, perché c’è un rapporto in cui la stessa situazione porta a migliorare il progetto. La qualità del progetto migliora sempre quando le difficoltà sono maggiori”. Dopo il mitico radio cubo incernierato TS502 del 1964, la coppia Zanuso-Sapper progetta il televisore Black ST 201, messo in produzione nel 1969. Con il Black per la prima volta si preferiscono le dimensioni ridotte a caratteristiche quali la trasportabilità e la versatilità.
È il primo televisore, infatti, che fa della componente dimensionale (non a caso sarà poi punto di forza della spietata concorrenza giapponese a partire dagli anni Ottanta) l’elemento prioritario per una perfetta integrazione domestica. Il Black rivendica la sua identità e autonomia di oggetto domestico attraverso una volumetria compatta, che poco o nulla concede all’ornamento ma trae dalla purezza della geometria la sua forza rappresentativa. È un concentrato di astrazione, un oggetto surreale, la cui immagine appare e scompare: tramite la calotta nera, trasparente e riflettente, il televisore acquista la valenza di oggetto d’arredo.
Lo si ammira quasi più da spento che da acceso. Viene ribattezzato “il cubo”, ed è inevitabile pensare che Steve Jobs ne sia stato influenzato per il suo ultimo computer da tavolo. Gli anni Settanta consacrano il successo della famiglia Brion, che riceve il Compasso d’Oro alla produzione. Il dato tecnico diviene sempre più vincolante, come osserva Sergio Asti, progettista di uno dei primi televisori a colori (il Pally del 1974): “Nel progetto di un televisore l’oggetto finito deve tenere conto del dato tecnico quale dato insopprimibile, certamente interpretabile, anche se possibilmente modificabile. Si tratta sempre di dare un valore qualitativo di ordine estetico ed espressivo all’oggetto, interpretando le necessità tecniche e commerciali con una convinzione (estetica) libera al massimo, seppure rigorosa, come si addice ad un apparecchio elettrodomestico, la cui presenza, nello spazio domestico non è unicamente vincolato dalla ‘funzione’. Lavorare per Brion è stata un’esperienza unica dove il progettare, il ‘fare’, direttamente in laboratorio, inventando, discutendo, modificando (in meglio) quanto mi veniva proposto, da buon artigiano come penso di essere”. Il TVC 3 Pally di Asti e, ancora di più l’intelligente prototipo da lui realizzato negli stessi anni, evidenziano la valenza scultorea dell’apparecchio, dimostrato dai tagli trasversali delle casse acustiche e l’allineamento superiore dei comandi: segni quasi pittorici nell’uniformità compatta della superficie della scocca. In direzione analoga si muove la ricerca di Mario Bellini, dagli anni Settanta a oggi figura di riferimento per il mondo Brionvega. A cominciare dal Triangular 26” (un prototipo del 1968) Bellini esplora le possibilità offerte dalla geometria per conferire carattere e dignità espositiva al televisore. Alla forma triangolare succedono il monoblocco dell’Aster 20” del 1968, le concavità del Sider e del Volans del 1969, le superfici cubiche del Monitor 1° 15” e del TVC Spot 15” del 1978: qui l’assolutezza del nero si combina all’eleganza del legno, in omaggio alle tendenze del tempo. Il rigore minimalista di questi prodotti tende a favorire l’integrazione versatile del televisore nell’arredo domestico, esaltandone, al tempo stesso, le qualità estetiche intrinseche.
La ricerca quasi astrattista degli anni Settanta cede il passo a qualche sperimentazione postmodern negli anni Ottanta. Brion commissiona a Ettore Sottsass il Memphis I, omaggio al gruppo storico, realizzato in soli 100 esemplari con un rivestimento in laminato plastico dalla texture psichedelica. L’euforia decorativa dura poco e si riafferma l’austerità high tech: con i televisori Coro Pansound del 1983 e Sintesi del 1988, firmati da Lucci e Orlandini (allievi di Zanuso). Il capolavoro di questi anni è però senza dubbio il Glass Cube, progettato nel 1992 da Bellini, autore anche del Best 15”(1990) e del Quadro 25” (1992). Il Glass Cube rivisita i principi progettuali del Black di Zanuso, ma mitiga la compattezza della scocca rivestendola con pannelli di vetro su cinque lati del cubo che contiene il televisore. Il Glass è un oggetto che si adatta a qualsiasi ambiente della casa, s’impone per la neutralità riflessa della superficie e non per inutili sensazionalismi, il che ne fa un nuovo emblema della filosofia Brionvega. Il Glass Cube segna però anche il passaggio della Brionvega alla Seleco, poi acquisita dal gruppo Formenti. Con l’ambizione di rinverdire i fasti degli antichi successi, Formenti ha curato tra il 2001 e il 2002 il rinnovamento tecnologico di modelli storici quali l’Algol, il Doney, il Glass Cube e la radio TS 522, riproposti nella stessa forma ma con un’elettronica aggiornata. “Non siamo la Sony – afferma Giovanni Formenti, amministratore delegato del gruppo – non inventiamo tecnologia ma la applichiamo. Brionvega è il nostro marchio di punta e, come la famiglia Brion, intendiamo investire sul design, per riconquistare una nicchia di mercato nel mercato globale”. Per questo la Formenti ha commissionato due nuovi televisori a Mario Bellini, per rappresentare la nuova produzione Brionvega rispettandone il DNA: il Doge, e il retroproiettore Teatro, di prossima presentazione.
In entrambi i progetti l’obiettivo è far rivivere quello spirito Brionvega per cui il televisore non invade lo spazio ma si fonde con esso: perché, come sostiene Bellini, “l’oggetto televisore tenderà a ridurre in futuro la sua massa a favore del sottile strato di immagini e suoni che saranno, come interfaccia di un grande sistema multimediale, sempre più al centro della nostra vita di scambi, informazioni, formazione e intrattenimento nell’ambito domestico. Disegnare e dare qualità a questo sistema di presenze interattive, accompagnandolo verso l’ineluttabile smaterializzazione finale, è la sfida del prossimo decennio”.Si ringraziano il Centro Studi Archivio della Comunicazione, Università di Parma, e Spazio 900 di Milano