Già quando alla Tokyo World Design Conference del 1960 firmava il Manifesto Metabolista, di fatto proiettando il Giappone sul fronte più radicale del discorso architettonico internazionale, oltre il perimetro del brutalismo e del futuro High Tech, Fumihiko Maki occupava una posizione peculiare, che avrebbe occupato per il resto di una lunga vita. Radicali i suoi colleghi firmatari del manifesto, Kiyonori Kikutake e Kisho Kurokawa – in seguito autore della Nakagin Capsule Tower – attento lui alle forme di aggregazione e di insediamento che venivano dall’architettura tradizionale. Allievo di Kenzo Tange, dopo un periodo americano presso Skidmore, Owings and Merrill Maki avrebbe poi fondato nel 1965 lo studio Maki & Associates, col quale avrebbe incarnato decennio dopo decennio lo sguardo dell’architettura giapponese rispetto a temi e tendenze globali; globale sarebbe diventata anche la dimensione del suo lavoro, tra i molti edifici pubblici e privati in Giappone e quelli iconici in altri continenti come il ricostruito Four World Trade Center a New York, completato nel 2013. Docente per anni, nel 1993 ha poi vinto il premio Pritzker, secondo giapponese dopo il suo maestro.
C’è un progetto, nella storia di Maki, sviluppato in tre fasi lungo tre decenni a partire dal 1962, che meglio di altri è capace di tratteggiarne l’evoluzione di linguaggio e ispirazione nel fare architettura, arrivando a quella combinazione di innovazione tecnologica e principi progettuali locali – come un equilibrio tra solida opacità e trasparenza in qualche modo critico rispetto all’International Style – che fin dagli anni ’60 era andato arricchendosi nella pratica dell’architetto. Domus aveva pubblicato questo progetto, Hillside Terrace, all’indomani del suo completamento, sul numero 896 del febbraio 1993.
Hillside Terrace, Tokyo
Hillside Tenace è un complesso edilizio che sorge in un’area suburbana di Tokyo con una storia lunga 25 anni. Nel 1967 lo studio di Fumihiko Maki è stato incaricato di progettare la prima fase di un insediamento che, a tappe, è stato completato di recente. Si tratta dunque di un’importante testimonianza degli sviluppi non solo del lavoro dell’architetto, ma anche della concezione urbana e architettonica generale sviluppata in questo quarto di secolo.
Le sei fasi di progettazione mostrano anche, nella loro pur grande diversità, alcuni temi ricorrenti, come quello del rapporto di continuità tra spazi interni ed esterni o della definizione del fronte strada. L’approccio in parte “occidentale” di Maki è una sintesi tra il moderno e la tradizione giapponese nella specificità del luogo. Presentiamo gli edifici dell’ultima fase e dunque anche il quadro definitivo di Hillside Terrace.
Di fronte alla tentazione di commettere ogni sorta di eccesso architettonico, molti architetti giapponesi della fine degli anni Ottanta si sono affrettati a cedere. Durante l’espansione economica i progetti edilizi venivano concepiti in fretta e realizzati altrettanto in fretta. Costruttori con le tasche piene di denaro ma con scarsa cognizione dell’architettura facevano a gara per innalzare le strutture più vistose. Grandi aziende varavano programmi ambiziosi e spesso vacui.
Gli architetti parevano fin troppo felici di partecipare a quest’abbuffata edilizia. I permissivi anni Ottanta ricordavano in qualche aspetto gli anni Sessanta, benché allora il potenziale della bricconeria architettonica non fosse presumibilmente così alto. Frequente era la denuncia di interventi urbani su vasta scala che dimostravano scarsa considerazione per l’individualità della persona umana.
Hillside Terrace nel suo complesso abbraccia un arco di tempo pari a un quarto di secolo. Iniziata negli anni Sessanta, è stata completata solo nel 1992. Nel corso della realizzazione di Hillside Terrace il Giappone ha attraversato i periodi di frenesia architettonica che abbiamo citato, ma guardando il progetto non lo si direbbe.
Una delle qualità spesso attribuite a Fumihiko Maki è la dignità. È una persona gentile e disponibile, ed è pieno di attenzioni non semplicemente per le persone ma anche per i luoghi.
In tutta la sua varietà formale è infatti interamente caratterizzato dal ritegno nella scala, nei materiali e nel progetto. Il ritegno che caratterizza Hillside Terrace non è frutto di rigido ascetismo o di una camicia di forza mentale. L’architetto, si direbbe, non ha fatto che attenersi alla correttezza. Una delle qualità spesso attribuite a Fumihiko Maki è la dignità. È una persona gentile e disponibile, ed è pieno di attenzioni non semplicemente per le persone ma anche per i luoghi. Un lungo periodo di soggiorno all’estero ha fatto di Maki un cosmopolita, ma bisogna sottolineare che, diversamente da molti altri architetti attualmente ai primi posti sulla scena professionale giapponese, è nato e cresciuto nella capitale giapponese.
È ben conscio delle configurazioni formali e delle tradizioni di Tokyo, quando ne sopravvivono. (Ciò non significa che sia un conservatore convinto che tutta la città possa essere ricostruita intorno a questi frammenti superstiti). Poche cose paiono offenderlo più degli edifici che contraddicono lo spirito della sua città natale. Progetti come Nani Nani di Philippe Starck - una scultura tinta di verde più che un’architettura - che turbano il contesto delle parti più antiche di Tokyo, suscitano le sue ire. Nel 1988, quando gli venne domandato che cosa pensava del boom edilizio di Tokyo, Maki rispose: “È un’occasione che capita forse una volta ogni trecento anni. Va considerata per quello che è: un momento raro nella vita di una città. Non durerà per sempre. Dobbiamo fare le cose per bene, ma la gente non possiede una prospettiva storica».
Forse, ora che la “bolla di sapone” economica è scoppiata e la frenesia edilizia si è ridimensionata, Maki troverà più architetti disposti a condividere la sua impostazione gradualista e la sua prospettiva storica. I caratteri di Hillside Terrace ovviamente non sono stati determinati unicamente dall’architetto. I committenti, una famiglia che aveva vissuto per molte generazioni sulla proprietà, sono stati ammirevolmente pazienti e disposti a realizzare il progetto in fasi lente senza alcun rapido rientro economico del loro investimento. Il fatto notevole è che nonostante questo ritegno, sia da parte dell’architetto sia da parte dei committenti, Hillside Terrace ha avuto un profondo impatto sull’ambiente circostante.
Nel corso degli ultimi due decenni il centro di gravità di Tokyo si è spostato a occidente. Tale spostamento era caratterizzato non solo dallo sviluppo dell’enorme quartiere di uffici a ovest della stazione di Shinjuku, ma dalla crescita di Shibuya, un altro importante nodo del sistema dei trasporti, come importante centro del tempo libero, del commercio e degli affari. Mentre il quartiere di Shinjuku è divenuto in larga misura una zona dedicata al terziario, Shibuya si è trasformato in un’area di attività meno strutturata ma intensa. Shibuya si è sviluppato in una zona bassa attraversata da un corso d’acqua, mentre sulle colline intorno sorgono vari quartieri residenziali d’élite. Uno di questi quartieri, collegato a Shibuya da una ferrovia extraurbana, è Daikanyama.
Negli anni Sessanta era ancora un tranquillo sobborgo suddiviso in vaste proprietà e si ammette comunemente che Hillside Terrace abbia iniziato e dato il passo alla trasformazione di Daikanyama in un’area plurifunzionale alla moda. Il sito si trovava fino a poco tempo fa in un’area indicata come “quartiere esclusivamente residenziale di categoria 1”, cioè il tipo più restrittivo di zona residenziale. Ciò significa che gli edifici non devono essere alti più di dieci metri. Hillside Terrace quindi raggiunge per lo più l’altezza di soli tre piani, ma è divenuta un punto focale del territorio grazie alla sua grande visibilità. Estendendosi per più di duecento metri lungo la Yamate Avenue, Hillside Terrace ottiene il massimo risultato dalla sua massa relativamente limitata.
L’accessibilità e la varietà dei suoi spazi aperti hanno costituito per i giapponesi una novità assoluta, e questa è stata considerata una caratteristica in qualche modo occidentale. L’unità abitativa tipo maisonnette, in seguito abbandonata a causa di un cambiamento dei regolamenti edilizi, costituì anch’essa una novità per il Giappone. Una pianta-modello studiata all’inizio prevedeva l’utilizzo di elementi simili in tutto il progetto, ma quando le condizioni al contorno del sito mutarono dopo la realizzazione della Fase 1, Maki non esitò ad abbandonare lo schema. La scarsa propensione a seguire pedissequamente una pianta-modello, sia pure elaborata da lui stesso, è coerente con il temperamento pragmatico di Maki.
Una delle condizioni mutate consisteva nell’incremento del volume del traffico automobilistico sulla strada. Ciò portò in fasi successive a edifici meno orientati verso la strada e più rivolti a spazi aperti creati all’interno del sito, mentre vari sistemi di finestratura vennero introdotti per proteggere gli spazi interni dall’intrusione visiva e dal rumore. La Fase 6, stadio finale del progetto, venne realizzata oltre la strada, in parte per consolidare delle funzioni non residenziali che si erano introdotte nelle costruzioni in fasi precedenti.
La nuova classificazione dell’area come “quartiere esclusivamente residenziale di categoria 2” ha eliminato la restrizione dell’altezza a dieci metri, ha elevato il FAR ed è stato così possibile sfruttare l’incremento del volume edificabile. L’architetto ha ritenuto tuttavia che fosse importante collegare le strutture della fase finale a quelle delle fasi precedenti mantenendo l’altezza di dieci metri dalla superficie della strada. A questo scopo ha introdotto un’inversione e sottolineato la quota dei dieci metri con una netta linea orizzontale.
Data la natura in larga misura non residenziale di questi edifici, Maki ha ritenuto necessario definire un’immagine pubblica più accentuata di quella progettata nelle fasi precedenti. Invece di articolare direttamente i singoli piani di ogni edificio, ha usato vari accorgimenti che suggeriscono una scala maggiore: per esempio le aperture a doppia altezza agli angoli dell’edificio F.
La composizione della Fase 6 gioca inoltre su due differenti assi. Uno è parallelo a quello delle fasi precedenti, mentre l’altro, lievemente angolato rispetto al primo, segue (come la facciata curva dell'Ambasciata danese dall’altra parte della strada) la svolta che la via compie in quel punto.
Mentre nelle prime fasi del progetto di Hillside Terrace erano previsti spazi pubblici esterni, nella Fase 6 ampi spazi pubblici lungo la strada sono previsti all’interno degli edifici. Questi spazi destinati al pubblico culminano in una galleria posta oltre lo spazio aperto al centro del sito. I singoli edifici, benché architettonicamente notevoli, non esauriscono il discorso di Hillside Terrace. L’architetto intende che questi spazi, nella loro aggregazione complessiva, prendano parte alla formazione di un topos all’interno della città chiamata Tokyo. A stretto rigore, quindi, dovranno passare molti anni prima di poter valutare pienamente i risultati raggiunti da Maki a Daikanyama. Intanto vasti progetti di ristrutturazione sono in atto nei dintorni, e nel centro di Tokyo si delinea la spinta a un uso più intensivo dei terreni.
Sarà sempre più difficile che le condizioni grazie alle quali non solo la Fase 6 ma tutta Hillside Terrace è stata progettata e costruita si ripresentino, ma non c’è dubbio che questo progetto abbia raggiunto un altissimo risultato di edilizia urbana, con cui i progetti giapponesi in futuro dovranno confrontarsi.