Questo articolo è stato pubblicato sul numero 756 di Domus, nel gennaio 1994.
Edificio per abitazione nel centro storico di Basilea
Tra realtà e percezione c’è un divario non commensurabile, con il quale gli architetti Jacques Herzog e Pierre De Meuron di Basilea amano misurarsi indagandone le molteplici sfaccettature e riproponendole nella loro complessità. All’articolazione della realtà, che un edificio accoglie in sé, si sovrappone la dinamica della percezione, innescata da fattori non solo sensoriali, ma soprattutto culturali e di memoria. Il tempo stesso è chiamato a far parte del progetto ed entra nel processo di continuo cambiamento che coinvolge la città. In questa ottica l’architettura diviene strumento di comunicazione e veicolo di comprensione del contemporaneo. Variano, ovviamente, le strategie entro cui dare espressione a tale poetica.
Il lotto gotico lungo (23 metri) e stretto (6,30 metri), incuneato tra due costruzioni nel tessuto medievale di Basilea, costituiva nel 1984, anno del concorso per un edificio di abitazioni e negozio, un vincolo tipologico che lasciava pochi gradi di libertà. Tuttavia c’era un luogo in cui poter sperimentare, per assurdo, l’astrazione: la facciata. Il fronte doveva essere allineato al filo dell’isolato e accordarsi in altezza con le linee di gronda della casa di inizio Novecento e di quella degli anni Cinquanta immediatamente contigue: doveva, in poche parole, ricomporre un vuoto. Su questa superficie è stata allora ribaltata in alzato una porzione di strada, estrapolandone un elemento preciso – la griglia di protezione delle caditoie o delle vasche per gli alberi – e riproducendolo con identico disegno e materiale. Il ready-made in ghisa si offre al gioco delle interpretazioni: alza un sipario pesante ma non fisso tra interno e esterno, si apre e si chiude a libro sulla seconda facciata interamente in vetro (interrotta solo dalle solette dei sei livelli), scompagina e reimpagina il piano giostrando con la luce in situazioni di continua variazione.
La tensione compositiva ottenuta con l’impiego dell’oggetto fuori scala percorre anche il piano terra. Il lungo corridoio a doppia altezza è definito da tre episodi netti, trattati con materiali differenti e di pari forza: l’antico muro medievale, lasciato integro nella morbidezza della sua irregolarità e spruzzato semplicemente di cemento; il “muro” in vetro che, come contrappunto, si eleva in tutta la sua perfetta rigidità e, infine, il pavimento asfaltato, ancora vicino al mondo della strada.
Il corridoio conduce alle scale di sicurezza, posizionate sul retro della parcella e lasciate all’aperto per fungere anche da logge. I quattro appartamenti sono accessibili direttamente tramite ascensore. Si configurano in una netta separazione tra lo spazio privato, protetto verso la strada dalla cortina in ghisa, e la zona giorno, introdotta da una larga porta e raccolta intorno a un cavedio con un lato aperto: questo affaccia su un sistema di piccole corti a giardino che consentono agli alloggi di godere di uno scorcio di verde. Il cavedio ridisegna il profilo di un periscopio, essendo ogni piano sfalsato rispetto al precedente per rendere otticamente più distinguibili i diversi appartamenti. Le dimensioni forzatamente limitate del pozzo di luce e la sua chiusura/apertura tramite ampie vetrate invitano a un rimando immediato dello sguardo entro i locali posti sullo stesso livello, come per mantenere attivo il controllo spaziale dell’abitante sul proprio ambiente. Ma la facciata interna si trasforma quando le grandi tapparelle in legno sono abbassate, si ripropone in una nuova unità compositiva rinserrandosi in sé stessa ed echeggiando, sia pure con riferimenti totalmente diversi, la doppia anima del fronte su strada.