Lungo una carriera durata dagli anni ‘30 fino al 27 agosto del 1973 – giorno della sua morte di poco successiva all’inaugurazione della sua ultima opera, il Teatro Regio di Torino – Carlo Mollino ha costruito la sua figura di progettista su una posizione alternativa al moderno o al passatismo puro: estetizzazione dei riferimenti, decorazione, eclettismo di natura quintessenzialmente torinese, espressività massima negli interni, come quello della sua abitazione personale, destinata a diventare un feticcio estetico degli anni recenti.
Ma anche una relazione immediata con la natura come interlocutore, come committente implicito dei progetti, come ispirazione per forme e materiali. Lo vediamo in tantissimi dei suoi interni, e dei suoi poi celeberrimi arredi: è lì che si concentra l’attenzione di Gio Ponti che fin dall’inizio dà spazio alla posizione peculiare di Mollino, anche in contributi critici, come quello di Carlo Levi su casa Miller.
Compaiono però anche le case, e la natura cui si riferiscono è inizialmente mare o collina (torinese, chiaramente) prima ancora della montagna che segnerà la carriera successiva dell’architetto. Il suo primo progetto su Domus compare nel novembre 1936 sul numero 107 ed è una casa, una residenza di mare a Forte dei Marmi; poi nel febbraio 1943, sul numero 182, arriva un concept, studiato proprio per Domus, per abitare la collina che contempla Torino, già completo di tutti gli elementi caratteristici della progettazione di Mollino.
Architettura e Natura, Casa nella pineta del Forte
La casa sorge nel folto della pineta: la luce doveva quindi ricavarsi sopratutto dall’alto, verso il cielo libero. Da un lato, a mezzogiorno, verso il mare, la casa si apre stabilendo il contatto tra la vita interna e la natura esterna più gioiosa, con un passaggio da un porticato. A sud invece, si apre direttamente, verso la pineta e gli Apuani.
I materiali sono normali, paesani. Travature in legno; tetto a coppi con tutt’attorno una corona, sufficientemente larga, di tegole di vetro che appunto danno l’illuminazione giusta ai sottostanti locali. Le finestre laterali perdono quindi importanza. Qualche trave in cemento armato e una non generosa applicazione di vetro cemento per illuminare la sala centrale di soggiorno, dimostrano che Mollino ha svolto un’idea con tutta obiettività, applicando materiali nuovi nella misura strettamente necessaria e conservando quelli normali dove questi potevano perfettamente servire.
Ne è nata una costruzione dove l’architettura riesce moderna per l’ottima funzionalità, per la particolare sensibilità con la quale sono visti i volumi e trattate le superfici (l’opus incertum è visto infatti in funzione di “superficie”) e dove l’intimità familiare e il raccoglimento dello studioso e artista che vi abiterà trovano un perfetto e chiarissimo ambiente.
La casa e l’ideale, Casa in collina
Quella che qui pubblichiamo è la lettera che accompagnava il progetto, lettera a un amico quindi, per spiegare, con tutta la spontaneità che una lettera a un amico permette, l’idea dalla quale l’architetto era mosso per progettare la sua casa e il risultato che da tale idea s’era formato. La pubblichiamo convinti che più di qualsiasi altro commento, possa servire di chiarimento ai nostri lettori.
Carissimo, ho spedito giovedì scorso sette tavole e quattro prospettive della “casa per me in collina” studiata per Domus. Ti devo confessare però per prima cosa che, personalmente, prescindendo dalla quotidiana omerica lotta silenziosa con mio padre al quale voglio un bene grandissimo, non desidero affatto cambiare l’ambiente nel quale vivo e lavoro: l’ufficio è la copia fedele di un banco commerciale olandese; la casa una prodigiosa sovrapposizione dei modi di vivere e pensare dall’umbertino al tardo floreale con insieme tutte le ramificazioni che l’assenza totale di preoccupazioni di gusto può generare. Se rimanessi solo non cambierei una seggiola; l’ambiente è il più neutro che io posso desiderare: non mi disturba, non mi eccita a sbagli, ma mi lascia libero di essere solo con la fantasia, chiamiamola il mio paesaggio interiore per dar tono al discorso.
Solo rimane percettibile quel senso continuamente rinnovantesi di lieve nausea necessario a impedire l’accettazione, l’adagiamento. Così, dovessi, avessi necessità, di costruirmi una casa per me partirei dal principio di non disturbare, e di lasciarmi libero il muovere e l’evolgersi dello spirito, pur concedendo al mio gusto attuale il meno possibile, conscio che la sfera platonica dell’opera raggiunta finisce pur sempre di coincidere col fatto attuale del gusto.
L’ambiente è il più neutro che io posso desiderare: non mi disturba, non mi eccita a sbagli, ma mi lascia libero di essere solo con la fantasia, chiamiamola il mio paesaggio interiore per dar tono al discorso.
Carlo Mollino
Ma la faccenda è un’altra e cioè di non incidere il fatto poetico futuro necessariamente diverso dall’attuale, con la prepotenza d’un ambiente. Si può dire che il problema espressivo di una casa per sé di un architetto è appunto questo solo, e ancora: sono ovvie le necessità interne e alogiche, funzionalmente parlando, di una casa in altezza – in ogni piano sono io e solo e unità indipendente – all’ultimo piano – nella biblioteca – sono in Zeppelin addirittura – a parte il fatto che una casa razionale per altro verso e cioè adagiata a gradoni sul pendio della collina non mi avrebbe dato alcuna soddisfazione: in collina infognato nel verde mi avrebbe fatto pensare di essere un serpente mezzo morto, adagiato sulla pancia e mimetizzato per paura.
Visti i bisogni miei è venuta la preannunciata “casa a baule”, costosissima, incomoda secondo l’accezione comune, stretta; abitare nella torre (non d’avorio) è un fatto in fondo a noi abbastanza chiaro. Direi che è la casa che andrebbe bene a un simpatico insetto: una cavalletta verde per esempio. Ma perché continuo a dar ragioni? Mi avete chiesto la casa per me, no? Ebbene ho studiato con coscienza e serietà una costruibilissima e funzionante casa che io domani, potendolo, mi farei fare.
Per me la casa deve avere un carattere di chiuso, indipendente, ma anche di provvisorio. Ho bisogno di una conchiglia armonica – sta bene – ma non deve dare il senso di definitivo e di bloccato ad una posizione mentale – questo il contenuto da risolvere in fatto plastico. E poi che cosa interessa? È risolto il fatto plastico? Questo è l'importante. La sola cosa che deve preoccuparmi è il placare in espressione l'ossessione di queste forme che rimangono misteri finché non le hai chiuse finalmente come volessi tu – e come sentivi fosse doveroso e inevitabile.
Ma non vorrei essere frainteso: premesse le ragioni poetiche di questo baule in piedi rimane la convinzione in me di non aver fatto un progetto accademico – come era facilissimo fare. Questo progetto in sede di esecuzione non subirebbe varianti – quelle varianti che troppo si vedono in atto tra la purezza di un grafico compiaciuto e la necessità costruttiva. Questo ho tenuto sempre presente: l’architettura è già realtà indistruttibile nel grafico. Non credo necessario dilungarmi in note tecniche – l’ascensore è veloce. Un sistema d’innesto automatico rende contemporanea l’apertura della porta della cabina quando si apre la seconda porta della gabbia: un solo movimento. Le pareti sono formate dai mobili e armadi interamente – batterie di armadi salgono dal piano terreno fino al piano ultimo della biblioteca. Questa casa è uno scaffale che non deve stufare. I muri sono isolati con i più costosi ed efficienti isolanti termici e acustici. Qualche mobile è ammesso nel senso proprio della parola e cioè cofano su cavalletto.
Il riscaldamento è a piastre – il camino del primo piano è una cameretta abitabile e panoramica e il tipo di braciere e di cappa è il solito in uso in Val Gardena – solo che qui l’ambiente, piccolo apposta, del vano cappa braciere, rimano senza dispersione.
All’ultimo piano oltre agli scaffali a parete – chiusi (vedi prospettiva) della biblioteca – vi è un tavolo sagomato imperniato girevole attorno a un montante metallico portante dei piani di scaffale accessibili a mezzo di “pedali” o mensole. Io ho continuamente bisogno di certa “roba” sottomano, accessibile e in vista – tutti ne abbiamo bisogno di questo disordine organizzato. Al soffitto ci sono al lucernario le tradizionali tende dello studio del fotografo di una volta, pittore, ecc. Si riempiranno di polvere – me ne frego. Quello che vorrei che fosse chiaro è il mio desiderio di avere questa cabina vetrata. Oscurabile e occultabile coi noti mezzi. Non sempre si vuole avere la città e il panorama ai nostri piedi. Cabina con vetrata panoramica e non serra per bagno turco. I mezzi per refrigerare tale locale io li spenderò con serena generosità.