Braniff International Airways e la rivoluzione del design, tra aerei colorati e divise di Emilio Pucci

Dall’archivio Domus, il progetto di identità visuale che negli anni ‘60 aveva trasformato una linea aerea statunitense nel riferimento estetico di un’epoca.

Al nome Braniff si associa forse una delle storie più “americane” – nell'accezione novecentesca del termine – nel mondo dei trasporti, dell’aviazione e di un pianeta che si fa sempre più piccolo: americana nelle origini, radicate nell’Oklahoma, e americana nell’epica imprenditoriale, coi fratelli Braniff che si lanciano in una prima società – negli stessi anni della nascita di Domus – che cresce linearmente accompagnando gli Stati Uniti nei decenni della loro espansione globale (sarà in funzione fino al 1982), incarnando molti tratti del loro stile di vita e del loro immaginario visuale.Con gli anni ‘60 però arriva una svolta in questa linearità: non basta esprimere neutralmente il linguaggio di una società, bisogna proporne attivamente uno nuovo, per restare ai vertici dell’immaginario collettivo (e conseguentemente del mercato): la pubblicitaria Mary Wells decreta “the end of the plain plane” e l’adozione di una nuova immagine per la Braniff International sviluppata con l’architetto Alexander Girard, e gli stilisti Emilio Pucci e Beth Levine. Il colore è il fondamento di questa nuova identità, e attraverso la strategia del colore Braniff genera una piccola rivoluzione nel design che la consacra ad icona, passando da vettore aereo a soggetto di riferimento per il design grafico di un’industria in sviluppo. Domus raccontava questa rivoluzione nell’ottobre del 1966, sul numero 443.

Domus 443, ottobre 1966

Gli aerei colorati disegnati da Girard per la Braniff International

La Braniff International americana (sede nel Texas, viaggi in Sud-America) è la prima e l’unica compagnia di navigazione aerea che abbia gli aerei colorati, di fuori e di dentro; e non tutti dello stesso colore, ma di sette colori diversi: cosicché ora ogni aereo colorato, e non grigio-argento, – ognuno di questi giganteschi “oggetti” colorati, subito riconoscibile nel formicolio metallico del campo e ancor prima riconoscibile nel cielo – significa “Braniff”.

E non solo gli aerei sono colorati, ma tutti gli automezzi accessori – camionette, jeeps, furgoni, etc. – e le divise degli uomini di servizio e quelle delle hostesses. (Per le hostesses le uniformi sono state disegnate da Emilio Pucci, e sono anch’esse di colori diversi una dall’altra, e con un bellissimo “casco” sferico trasparente, contro il vento). Inventore ed autore di questo redesign è Alexander Girard, la cui mano e mente si riconoscono in ogni particolare.

Domus 443, ottobre 1966

I colori sono sempre stati un mezzo espressivo dominante, in Girard: e i suoi colori prediletti sono i colori allegri dell’arte popolare, i teneri colori del folklore – colori da festa, che nessuno ha mai pensato di applicare al mondo ufficiale, blu-grigio-argento, della aeronautica civile. E che nessuno ha mai usato in una “scala” così coraggiosa. Le prove di colore, per gli aerei, sono state fatte dipingendo un vecchio apparecchio, e facendolo volare: i colori primari sono apparsi poco visibili, nel cielo e a distanza; questi colori composti, colori non violenti, gentili, sono risultati invece visibilissimi, nel cielo come sul campo.

Domus 443, ottobre 1966

Un uovo di Colombo, una idea elementare e potente. L’effetto pubblicitario per la Braniff è stato grande. Questa compagnia, una delle più vecchie compagnie americane, senza avere apportato sostanziali modifiche né agli itinerari né ai servizi, è passata all’ordine del giorno. Si è fatta riconoscere. E questo suo rinnovamento visuale – che dagli aerei e dalle uniformi si è esteso alla grafica e agli allestimenti delle sedi e delle sale d’attesa – si fonda su una idea, giusta: quella di rimettere in valore l’aspetto di “divertimento” del viaggio: nella apparizione “colorata” dell’aereo, nella sorpresa degli interni dell’aereo, anche essi colorati, e in modo sempre diverso e imprevedibile; ed anche nelle “passenger lounges” stesse, le sale d’attesa, che già anticipano il viaggio, ambienti coloratissimi, sorprendenti e preziosi, già staccati dal contesto e dal carattere della città “di partenza”, e pieni di immagini, oggetti e simboli dei paesi “di arrivo”.

Domus 443, ottobre 1966

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