Tutte le vite della Villa Malaparte a Capri

Tra un capolavoro di Jean-Luc Godard e la sfilata d’anniversario di Jacquemus che si proclama suo erede, sulla villa di Adalberto Libera a Capri non smettono di stratificarsi significati e fascinazioni, che Domus ha esplorato negli anni.

“Ho deciso di creare il mio brand dopo aver visto Le Mépris (Il disprezzo) di Jean-Luc Godard, ispirato dalla bellezza e dalla modernità della sua visione”. Così Simon Porte Jacquemus alla vigilia della sfilata “La Casa”, con cui corona i 15 anni del suo brand su uno dei tetti più celebri del mondo, quello di Villa Malaparte a Capri. È un episodio in più nella tendenza a scegliere architetture famose per presentare collezioni di moda, ma si porta dietro una stratificazione culturale profonda. Fin dalla sua concezione questa casa è un catalizzatore potentissimo di fascinazioni e di diversi significati, perché parte da uno scambio estremamente intimo tra gli spazi, il luogo, e la personalità di chi li ha cercati, l’intellettuale Curzio Malaparte in dialogo col razionalista Adalberto Libera: è la famosa “casa come me”, la “casa di riti e rituali” raccontata da John Hejduk a Domus nel 2012. Ed è in questo luogo più psicologico che fisico che nasce l’esplorazione di Godard.
“Identificare il vero e il bello con il battito del reale, partire dal confronto tra la nevrosi individuale e una realtà sociale oppressiva per arrivare a un cinema che è arma di liberazione psicologica e politica”. Già negli anni ’70 il critico Giovanni Grazzini parlava così di come il maestro della Nouvelle Vague francese facesse cinema. Dirompente in innovatività rispetto alla “scuola” che lo aveva preceduto, con la rottura di qualsiasi struttura narrativa compiuta e lo sfondamento della quarta parete (il lato del pubblico, della camera, verso cui gli attori si rivolgono), il cinema di Godard doveva molto allo spazio che lo generava: pensiamo alle sale del Louvre attraversate di corsa dai protagonisti di Bande à part, o a Brigitte Bardot sovrapposta proprio alle mattonelle della Villa Malaparte. Da questa icona epocale creata con la fotografia de Le mépris, Piero Golia partiva per concludere la sua rubrica su Domus, nel numero 1030 del dicembre 2018.

Domus 1030, dicembre 2018

Ogni luogo da sogno è circondato da storie e leggende

Anche quest’anno è arrivato alla fine. Le giornate passano veloci fra problemi, idee e necessarie soluzioni, senza che il tempo sia una nozione reale nella quotidianità, così la fine arriva sempre prima di quanto la si aspetti.

Pare che il tempo non passi mai in questa California dove l’estate sembra essere perenne, eppure i mesi trascorrono senza che uno se ne accorga e tutt’a un tratto ti rendi conto che un altro anno è finito, e anche questa rubrica è arrivata al gran finale. Avrei voluto parlare di questa serie TV che ho appena iniziato a guardare su Hulu. Si chiama The First, con Sean Penn che guida una spedizione interplanetaria su Marte. Un po’ come un esercizio di stile, chiudere il cerchio con The first (“Il primo”). Le serie TV sembrano essere diventate il nuovo cinema e questa, visto l’inizio, si preannuncia bellissima.

Eppure, anche se il primo uomo su Marte può sembrare fantastico, ho pensato che per il gran finale ci voleva qualcosa di più monumentale in senso cinematografico, un ultimo contributo che deve andare al cuore di questa rivista che parla soprattutto di architettura e di questa rubrica che, anche se a volte ho finto di dimenticarlo, parla di cinema. Ci vuole dunque una scelta consona, un grande finale spettacolare, il mio Canto del cigno, anzi il canto soffocato dell’oca, considerando il tono monotono della mia voce.

Domus 1030, dicembre 2018

Ossessivo come sono, per una scelta del genere avrei potuto metterci anni, però stavolta quasi per miracolo mi viene facilissimo scegliere, l’incontro di una pietra miliare dell’architettura con una pietra miliare del cinema, l’edificio più bello di tutti, Casa Malaparte a Capri, ripresa da uno dei grandi maestri del cinema, Jean-Luc Godard. Quella casa che ho sempre e solo visto dal mare, perché è impossibile entrarci dentro, ma che ho sempre sognato di esplorare.

Prima che la ricerca d’immagini via Google potesse risolvere le curiosità di chiunque può accedere a Internet, c’erano le biblioteche per gli accademici e poi, per quelli più pigri come me, c’erano invece i film.
Proprio in questa ricerca d’immagini e testimonianze nella speranza di scoprire gli interni di questo capolavoro dell’architettura m’imbattei per la prima volta nel film Il disprezzo (Le Mépris). All’epoca, al film in se stesso non diedi troppa importanza, lo guardai diverse volte, avanzando rapidamente le scene, soffermandomi unicamente sulle parti che mostravano Casa Malaparte con una bellissima e giovanissima Brigitte Bardot che si aggira tra le stanze della villa o prende il sole sulla terrazza a strapiombo sul mare.

Le fantastiche inquadrature di orizzonti infiniti, di scalinate impossibili e di spigoli geometrici ritraggono l’edificio in tutto il suo splendore, integrandone la moderna razionalità con l’ambiente naturale.

Domus 1030, dicembre 2018

Costruita sui faraglioni di Capri, inaccessibile, occorre conquistarla, con questa enorme scala che diventa terrazza irripetibile sul mare. Concepita da Adalberto Libera per Curzio Malaparte (pseudonimo di Kurt Erich Suckert, autore di La Pelle), la villa nasce dal conflitto tra queste due personalità quasi opposte, fino al punto che Malaparte rigetta il progetto di Libera e si costruisce la casa da solo con l’aiuto di un muratore locale chiamato Adolfo Amitrano. Come a dire, un capolavoro razionalista rivisto in chiave surrealista.

Ogni luogo da sogno è circondato da storie e leggende, e questa villa non è da meno. Ai litigi tra committente e architetto, si aggiungono i trasporti a dorso di mulo durante la sua costruzione, i celebri ospiti, le serate di Gurdjieff, la donazione da parte di un Malaparte arrabbiato della villa a beneficio della Cina socialista, e le infinite battaglie legali con cui la sua discendenza si è riuscita a riprendere questo capolavoro dell’architettura dal valore inestimabile. Vicende da film, appunto.
Ed ecco allora che, finalmente, mi riguardo il film, dall’inizio, questa volta senza più avanzare velocemente. Scopro un film che parla d’individualità, che costruisce narrative impossibili un po’ come le impossibili geometrie della villa. C’è tutta la magia del cinema di Godard e quella bellezza che ti cattura.

Interno di Villa Malaparte a Capri. Domus 605, aprile 1980

C’è qualcosa di assolutamente magico in questo film, dove la narrativa intrecciata di storie e situazioni non lineari riesce a prendere vita dall’universo individuale dei personaggi. Quello che colpisce sono proprio loro, i personaggi, con le loro individualità e le loro personalità che s’infiltrano nelle immagini, con Godard che le manipola costruendo quelle che poi diventano storie vere e proprie. Un esempio di quel cinema fatto di personaggi ben fatti che oramai non esiste più.
Il film non ve lo racconto perché, se non l’avete già visto, vale la pena che lo guardiate, con l’attenzione che un vero capolavoro merita.
Per quanto riguarda me, invece, rimetto qui il mio mandato e vi saluto, con questo Canto dell’oca, con questa testimonianza all’eternità del cinema che omaggia la bellezza dell’architettura. Un anno che si prospettava lunghissimo è passato, eppure rimane il desiderio di continuare a raccontarvi storie.

Domus 605, aprile 1980

Piero Golia, nato a Napoli nel 1974, è un artista concettuale italiano. È anche regista di un metafilm, Killer Shrimps, del 2004.

Immagine di apertura: Villa Malaparte a Capri. Foto Sean Munson da Flickr