Messico, dove la storia diventa arte

Oggi 4 ottobre, il Messico celebra la sua nascita. Da questa terra di contrasti, un’arte potente è esplosa nel ‘900. Rivera, Orozco e Kahlo, i “muralisti”, raccontano un popolo in cerca di riscatto tra colori, passioni e storia.

Nell’anno 1824, il 4 di Ottobre, mentre l’Europa, ancora stordita dal fragore napoleonico, si affannava tra restaurazioni e moti di libertà, cercando di ricomporre l'ordine infranto, sulle lontane terre del Messico nasceva una nuova repubblica.

Terra di contrasti violenti, di passioni ardenti, culla di civiltà millenarie, testimone della conquista brutale e delle rivoluzioni sanguinose. Un crogiolo di razze, di culture, di dei antichi e nuovi, dove il culto di Quetzalcoatl si mescolava al sangue di Cristo.

Quetzalcoatl, una delle principali divinità della Mesoamerica

L’arte messicana, figlia di questa storia tumultuosa, non poteva che riflettere tale complessità. Non v’è traccia dell’ordine apollineo, della compostezza classica. L’arte precolombiana, con la sua forza tellurica e i suoi dei sanguinari, si ibrida con l’esuberanza mistica del cattolicesimo e il fasto iberico. Ne scaturisce un’arte sincretica, meticcia, che ribolle sotto la crosta della nuova repubblica.

E l’esplosione giunge nel Novecento, con i muralisti. Diego Rivera, colossale come i suoi affreschi, con la sua figura da antico tlatoani, ci racconta la verità del Messico: indigeni sfruttati, rivoluzionari sognatori, una società lacerata. I suoi colori, accesi e violenti come la terra che li ha generati, ci mostrano la storia di un popolo in cerca di riscatto. Pensiamo a Sogno di una domenica pomeriggio nel parco di Alameda, dove Rivera condensa la storia del Messico in un’unica, grandiosa immagine, o a Pre America Ispanica, opera che narra la sua terra e le sue origini.

Diego Rivera, America Preispanica, 1950

José Clemente Orozco, con il suo espressionismo che graffia l’anima, scava nelle viscere dell’uomo, mostrando senza compiacimento la corruzione e il dolore. La sua non è pittura, ma una denuncia implacabile contro ogni forma di oppressione. Guardiamo La trincea, opera che grida il dolore della guerra civile, o Prometeo, dove il mito greco si fonde con la sofferenza umana.

L’arte messicana, figlia di questa storia tumultuosa, non poteva che riflettere tale complessità.

Ma l’arte messicana non è solo un manifesto politico. Frida Kahlo, con la sua pittura-diario, ci racconta la storia intima di un’artista impavida. Frida è il segno della potenza femminile contemporanea, figlia di un Messico dolente, la sua pittura squarcia il velo delle apparenze borghesi. Niente grazia, niente armonia: il suo corpo martoriato, le spine che le trafiggono la carne, quel cervo ferito che è lei stessa, sono lì, palpitanti, davanti ai nostri occhi sgomenti.

Frida Kahlo, El Venado Herido (Il cervo ferito), 1946

Eppure, in questo espressionismo selvaggio, in questa anatomia sfigurata dal dolore, c'è una forza potente, come nei mosaici ravennati, dove l’oro smaterializza le forme, così il suo sangue dipinto si fa simbolo, metafora di una vitalità che la sofferenza non può spegnere.

E poi Rufino Tamayo, con il suo surrealismo intriso di magia e di colori onirici, David Alfaro Siqueiros e la sua pittura dinamica, precorritrice dei tempi. E ancora la scultura, l’architettura, la letteratura. L’arte messicana del Novecento è un’esplosione di colori e di passioni, speranza potente e inconfondibile.

Immagine di apertura: Diego Rivera, Sogno di un pomeriggio di domenica a Alameda Park, dettaglio, 1948

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