In una puntata della serie animata South Park, andata in onda nel 2014, il simpaticissimo quanto spregevole Eric Cartman inganna il povero Butters, convincendolo che indossando un paio di occhiali di plastica trasparente e delle cuffie sarà in grado di immergersi nella realtà virtuale. Lo induce così a tenere dei comportamenti imbarazzanti nei corridoi, reali, della loro scuola elementare. Butters ci prende gusto e in un rush di follia stile Grand Theft Auto finisce per menare suo padre, guidare senza patente, fino a farsi accoltellare da una prostituta.
Inganno e immersività sono due temi ricorrenti nel mondo della VR. Inganno perchè mentre ci si immerge in una nuova realtà, il mondo reale è celato dal visore. Ma anche perché le cifre stratosferiche che sono state investite in quest’industria, hanno fatto sembrare per molti anni questi investimenti un costosissimo buco nell’acqua, una promessa di innovazione che tardava sempre più ad arrivare. “Nessuno ci capisce niente ma tutti vogliono entrarci” dicevano nel 2017 in Silicon Valley, la serie di culto per geeks e amanti del digitale, “qualsiasi idiota potrebbe entrare in una stanza, pronunciare le lettere V e R e verrà coperto di denaro”.
Tanto eravamo schermati dalle critiche nei confronti della VR da non accorgerci che nel frattempo qualcosa stava succedendo davvero, e che la sperimentazione artistica e narrativa, legata a questo nuovo medium immersivo, stava facendo passi da gigante. Negli ultimi 5 anni, grazie alla rapida implementazione delle camere 360, nel caso di film e documentari, e dei motori grafici, nel caso di videogiochi e animazioni 3D – cybersickness a parte – la VR si è avvicinata a diventare quello che da lungo tempo era stato promesso: un luogo dove tutto quello che può essere immaginato, diventa realtà, o meglio… diventa finzione.
E anche se concettualmente non si è andati tanto oltre la visione immaginifica del SimStim, quel meraviglioso oggetto immaginato da William Gibson ormai quasi quarant’anni fa, che è capace di calare chi lo indossa nell’esperienza sensoriale e percettiva di qualcun altro, è anche vero che nella pratica la dimensione del punto di vista soggettivo (POV) resta ancora tutta da esplorare. Opere come Goliath (2021), dove si esperisce la percezione del reale dallo sguardo soggettivo di una persona affetta da schizofrenia che rientra nella socialità grazie ai multiplayer, o Samsara (2021), un percorso karmico che attraverso la reincarnazione ci conduce nel corpo di varie specie umane e animali, hanno portato questa esplorazione ai massimi estremi. Nell’ambito artistico e cinematografico, il VR oggi si conferma un medium narrativo estremamente vario, in via di definizione, e dunque come si dice spesso, liminare.
Si dice, ma pochi hanno effettivamente esperito con il loro POV ciò che sta succedendo in questo ambito. Liz Rosenthal, curatrice stabile di Venice VR, in programma durante la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, e di Red Sea Immersive, la sezione VR del Festival Internazionale del Cinema del Mar Rosso appena tenutosi a Jeddah, da tempo si occupa di selezionare e presentare centinaia di opere VR all’anno, il che la rende una delle persone più adatte a raccontare le sorti di un medium in costante evoluzione, esposto ai rivolgimenti della creatività, della sperimentazione e, oggi più che mai, ai rivolgimenti del mercato.
Rosenthal, costantemente esposta al visore, racconta dell’enorme varietà di genere e formato delle attuali opere in VR, che “spaziano da esperienze per singoli spettatori a complesse installazioni in multiplayer, tra sontuosi set e attori, e performance ambientate in fantastici mondi VR partecipati”. La realtà virtuale, racconta Rosenthal, attinge da “diversi media esistenti, incorporando visioni cinematiche e aspetti partecipativi del teatro immersivo, con l’interattività dei videogiochi”, e per questo richiede la collaborazione di moltissime figure professionali, tra “animatori, UX designer, artisti visivi e dello spettacolo, musicisti e tecnici del suono, architetti e scenografi, registi e altro ancora”.
Ad oggi le opere curate in Venice VR 2021 e Red Sea Immersive provengono da tre diversi tipi di comunità. Ci sono quelle concepite da registi o artisti “spesso prodotte da un team creativo e di produzione che lavora con l’artista principale”, ci sono quelle che invece provengono dall’industria del gaming, che spesso si rivelano “ibridi tra gioco e narrazione”, mentre la grande novità degli ultimi due anni sono gli artisti che lavorano su VRChat, creando ambientazioni “condivisibili tramite plug-in e una serie di asset”, i cosiddetti VR Chat Worlds.
Se prima della pandemia, ci si orientava verso esperienze di “localizzazione” e “luoghi culturali, attrazioni turistiche, spazi commerciali e festival” si attrezzavano con stazioni VR, negli ultimi due anni, “mentre l'appetito per tutto ciò che è virtuale cresceva” e ci ritrovavamo chiusi in casa insieme ai nostri schermi, sviluppatori e creatori hanno “risposto alla crisi in modo ingegnoso” puntando tutto sulle API di rendering interattivo di ambienti 3D – come WebGL – e a game engine open source – come nel caso di Unity – che permettono agli utenti di esperire ambienti VR direttamente da browser, senza dover necessariamente indossare il visore. Tra le opere da lei presentate, consultabili nella nostra galleria di immagini, Pandora X (2020) ne è forse l’esempio più azzeccato, una performance partecipativa virtuale esperibile su VRChat, in cui durante il lock down “un cast di attori professionisti si esibivano dal vivo dalle loro case negli Stati Uniti, nelle vesti dei loro avatar” guidando gli utenti in una serie di sfide, alla ricerca del vaso di Pandora, dove è rimasta rinchiusa la Speranza.
Venice VR si sta già interessando anche al Metaverso, ma in toni critici. Liz Rosenthal racconta come anche lei ha potuto notare la voracità con cui l’industria ha cercato di accaparrarsi questa nuova fetta di mercato, mentre i commentatori “si becchettavano su cosa fosse, buttando in mezzo XR, social media, giochi multiplayer e media in streaming” e spesso confondendo le acque. Proprio come in Silicon Valley, oggi la storia si ripete: “nessuno ci capisce niente, ma tutti vogliono entrarci”. Tra le attuali proposte di Metaverso, Rosenthal preferisce di gran lunga trascorrere il suo tempo in VRChat, un luogo di incontro da cui la logica degli investimenti in NFT, terreni, avatar skin, e quant’altro per ora è rimasta fuori, mentre “la creatività e l’inventiva – data dall’affollatisisma presenza di artiste, creativi e sviluppatori – è stupefacente”.
È proprio su VRChat che con Venice VR ha organizzato una versione virtuale del festival e da quest’anno anche una nuova sezione, la “VRChat Worlds Gallery, una selezione di 34 eccezionali mondi generati dagli utenti, che vanno da sontuose e sostanziose ambientazioni fantascientifiche e di avventura, a opere d’arte complete e visualizzatori musicali immersivi”. Otto di questi mondi sono stati poi portati anche a Red Sea Immersive. Liz ci invita a visitarli e a supportare questa giovane comunità di creativi.