In principio fu probabilmente Vivian Maier. Dopo il suo caso, ormai celebre, appassionati, studiosi e soprattutto editori sono andati sempre più spesso alla ricerca delle nuove declinazioni di questa storia di successo o hanno comunque cominciato a rispolverare archivi più o meno facilmente raggiungibili. Una moda? Sicuramente una forte tendenza, non nuova ma di certo in crescita negli ultimi anni. Non è tanto il recupero del vernacolare o la rimessa in circolo di quell’incontrollabile calderone visuale rappresentato da internet, non parliamo degli alfieri della fotografia senza macchina fotografica come Joachim Schmidt, Erik Kessels o Thomas Mailander, ma nemmeno dei teorici dell’iconosfera come Joan Fontcuberta. E, paradossalmente, non si tratta nemmeno — o non solo — di una più comprensibile operazione commerciale ma — anche — di qualcosa di più sottile e profondo, forse legata proprio all’incontrollabile fluidità che attraversa ormai qualsiasi campo della produzione culturale di matrice iconografica. I casi più emblematici sono probabilmente la riedizione del leggendario Bilderatlas Mnemonsine di Aby Warburg, in sostanza un antenato analogico di un motore di ricerca per immagini, e Day Sleepers, dove l’artista Sam Contis ha ricontestualizzato alcune tra le immagini meno note di Dorothea Lange in un’inedita narrativa priva di date e didascalie, proponendo così una nuova e più contemporanea lettura di un classico della fotografia. Ma altri esempi — ne abbiamo selezionato cinque nella foto gallery, tutti in declinazione americana — inducono a sospettare quanto un passato in parte consolatorio e in parte provocatorio possa offrire oggi rifugio da quella “furia delle immagini” (per tornare a Fontcuberta) che è alla fine specchio di un presente inquieto e inafferrabile.