Il motto con cui la comunità dei Lowrider si è presentata originariamente sulle strade della Los Angeles del dopoguerra era “Low and Slow” (basso e lento), ed esprimeva letteralmente in due parole la chiave di una cultura che andava gentilmente controcorrente. Abbassare l’assetto delle proprie auto, e istoriare le carrozzerie con abili e coloratissimi disegni, era infatti uno dei modi in cui i messicani americani dei barrios che componevano il tessuto urbano della parte est della città, esprimevano la loro identità. Come forma di autodeterminazione, e quindi di affermazione sociale e politica, da un lato riproponevano, in forma nuovamente popolare, motivi e valori quasi folklorici, ereditati dalla terra d’origine, e dall’altra abbracciavano, mutuandoli e mutandoli, quelli di un paese, gli Stati Uniti, in cui era a volte difficile poter esprimere il diritto di sentirsi davvero a casa propria.
In settant’anni di storia questa comunità si è evoluta, anche per merito delle innovazioni tecniche introdotte man mano nell’industria automobilistica —aggirando leggi troppo costrittive—, e conta oggi decine di migliaia di seguaci nella sola Los Angeles, per non parlare di quelli nel resto degli States e dei nuovi adepti in tutto il mondo (primo tra tutti, nemmeno a dirlo, il Giappone).
Ed è sintomatico che a raccontare la loro storia sia oggi una fotografa: nel suo primo libro, Cruise Night (Damiani, 2021), Kristin Bedford ha raccolto cinque anni di lavoro realizzato a stretto contatto con la comunità Lowrider di Los Angeles: un lavoro lento e appassionato che adotta lo stesso punto di vista dei soggetti ritratti, e che ha portato la sua autrice a diventare in qualche modo parte di questa cultura.
Qual è stato il percorso, personale o professionale, che ti ha portato ai lowriders?
Alla base di tutti i miei progetti c'è un interesse per la giustizia sociale e come le comunità esprimono i loro diritti civili in una società che spesso li emargina. Il mio percorso verso il lowriding è venuto da un interesse per come la personalizzazione di un'auto significa avere una voce - politicamente, culturalmente e creativamente. Mentre il lowriding è un fenomeno mondiale, per i messicani americani di Los Angeles ha un significato unico. Per oltre settant'anni, questa comunità ha espresso la propria identità attraverso questa distinta cultura automobilistica. Volevo fotografare e capire come la trasformazione di un’auto fosse parte integrante dell'essere visti e ascoltati.
Trattandosi di una comunità basata su un interesse così specifico, si immagina che i lowrider da un lato possano snobbare chi non ne fa parte o non ne sa molto, e dall’altro che non vedano l’ora di mettersi in mostra davanti all’obbiettivo. Le tue foto hanno però un taglio contemporaneamente intimo e antropologico: come hai bilanciato la necessità di comprendere questa cultura e ottenere fiducia, e quella di esprimerti come un’autrice che vuole far sentire la propria voce?
Ho passato la maggior parte del mio tempo ad ascoltare e a conoscere i lowrider. La mia priorità è il contatto personale. Mostro la macchina fotografica in modo che la gente sappia perché sono lì, ma passo solo una frazione del tempo a fare fotografie. È stato attraverso affinità, fiducia e rispetto che la comunità lowrider mi ha accolto.
Quando decido di fotografare una comunità di persone, le tratto come vorrei essere trattata io stessa. Uso solo la luce disponibile, niente flash. Nessuna foto è stata messa in scena, nessuno ha posato e tutte le location sono reali. Uso un obiettivo fisso, il che significa che lo spqazio che si percepisce tra me e il soggetto è proprio quello che c’era realmente tra noi. Se vedete una fotografia fatta da dentro un’auto, esiste perché sono stata invitato a salire su quell’auto.
Sono l'opposto di un fotografo “drive–by”, che visita una comunità per qualche giorno, scatta le sue foto e poi ritorna da dov’è venuto. Trovo che questa tecnica non faccia che perpetuare sempre la stessa storia. Credo che capire davvero una comunità sia fondamentale per fare qualcosa di nuovo e onesto.
Nelle testimonianze orali delle persone che hai conosciuto si leggono desideri molto semplici ma anche—come sono spesso le cose semplici—molto profondi, come per esempio quello di tramandare la propria cultura alle future generazioni. In che modo pensi di poter contribuire?
Cruise Night è un libro profondamente personale, fatto di fotografie intime e non posate. Spero che i lettori percepiscano la bellezza e la profondità di cui sono stata testimone mentre realizzavo questo lavoro. Il lowriding è stato spesso vittima di stereotipi e frainteso come semplicistico o rozzo. A mio modo, sto offrendo uno sguardo su come ho vissuto questa grande tradizione americana.
I lowrider hanno sostenuto pienamente la realizzazione di Cruise Night. Il 12 giugno 2021, la comunità di Los Angeles sta preparando una festa su larga scala per l'uscita del libro, che comprenderà anche una “cruise night”. All'evento ci saranno centinaia di auto lowrider e molte delle persone che compaiono libro. Juan Ramirez, presidente di Just Memories CC e co–fondatore della Los Angeles Lowrider Community ha detto: "Kristin Bedford apprezza la sensibilità della nostra cultura e Cruise Night è un’incredibile rappresentazione del lowriding. Siamo sempre stati stereotipizzati, ma “guidando” con noi Kristin ha capito cosa siamo veramente e cosa facciamo. Si è guadagnata il rispetto della comunità lowrider non solo facendo un libro ma vivendo con noi. Le saremo sempre grati per essere stata una dei pochi a capirci".
Ecco una citazione di uno dei più famosi lowrider del mondo, Oscar Ruelas, co–fondatore del Dukes Car Club: "Faccio lowriding da oltre 50 anni. Non ho mai incontrato una fotografa così sincera come Kristin Bedford. È molto rispettata dai lowrider di tutto il mondo, e questo significa molto nella nostra cultura chicana. Credo che nessuno ci abbia dato credito e si sia preso il tempo per capire la nostra storia come ha fatto lei. Non diamo credito a chiunque, ma di lei sapevamo che potevamo fidarci e che ci avrebbe ascoltato. Con il suo libro sta facendo qualcosa di utile per la comunità lowrider".
Quando ci si chiede se qualcosa è appropriato è meglio rivolgersi direttamente alle persone nelle foto. Sono loro gli esperti.
Molti dei tuoi soggetti sono donne. Pensi che, almeno in parte, lo spazio che ti hanno concesso nelle loro vite nasca dal riconoscersi nel fatto che tu sia, come loro, una donna che si approccia a un “tema” generalmente ritenuto di pertinenza maschile?
Per tutta la mia carriera mi sono considerata semplicemente una fotografa. Durante questo progetto mi sono resa conto per la prima volta di essere una “fotografa donna”. Quando ho visto che le foto di donne lowrider che avevo fatto erano rispettose, serene e naturali, ho realizzato che a farle era stata una donna che entrava in relazione con altre donne. Ho anche riflettuto sul perché non avessi mai visto prima immagini come queste e ho capito con chiarezza che la narrazione visiva del lowriding, e di tutti i tipi di culture legate ai motori, è stata interamente plasmata dagli uomini. L’immaginario dominato dagli uomini di solito ritrae le donne come accessori sessuali che posano in costume da bagno o in lingerie accanto a un’auto. Forse c’è voluta una fotografa donna per rompere questo schema e offrire una nuova prospettiva a questa storia.
La cultura del lowriding ha una lunga storia e nel tuo lavoro hai potuto raccontarne solo gli aspetti più contemporanei (radicati però in una tradizione ben codificata). Come hai visto cambiare in questi anni il paesaggio urbano, ambiente naturale di questa comunità? E, nella logica dicotomica tesa tra integrazione e gentrificazione, com’è cambiato il rapporto dei lowrider con la città?
Il rapporto dei lowrider con il loro ambiente non è cambiato drasticamente durante i cinque anni di realizzazione di questo lavoro. Un evento degno di nota è stato però sicuramente la demolizione del Sixth Street Bridge nel gennaio 2016, che per decenni ha avuto un forte significato nella comunità lowriding. Era infatti il ponte che collegava i quartieri dei lowrider al centro di Los Angeles, e attraversarlo aveva un grande significato politico, culturale e personale. C’è stato un vero senso di perdita quando è stato abbattuto.
Come molte altre comunità legate da una passione che affonda le sue radici nel passato, quella dei lowrider ha molto a che fare con la preservazione di identità e valori, in questo caso al contempo etici ed estetici, per cui spesso bisogna lottare. Pensi che riusciranno a mantenere viva e intatta la loro culturain un momento di così estrema fluidità sociale, da un lato, ma che dall’altro deve comunque fare i conti, negli Stati Uniti come in tanti altri luoghi del mondo, con la questione della discriminazione etnica. E, nel caso, come?
Ci sono decine di migliaia di lowrider solo nella contea di Los Angeles, senza quindi prendere nemmeno in considerazione il resto della California e il sud-ovest degli Stati Uniti, dove i numeri sono grandissimi. Questo è un movimento epico. Il lowriding è stato molto prolifico negli ultimi settant'anni, e continua a crescere. Non c'è alcuna possibilità che questa cultura sparisca.