Il progetto artistico di Alessandro Roma (Milano, 1977) nasce nel novembre 2020 quando, selezionato per esporre al Premio Faenza che si tiene ogni anno al MIC (Museo Internazionale di Ceramica), gli viene comunicato che la mostra si svolgerà solamente su canali virtuali, a causa delle restrizioni dovute alla pandemia che costringono i musei a rimanere chiusi. L’artista rifiuta di far confluire gli esiti del suo lavoro nell’ennesimo evento online e decide di cercare una soluzione alternativa alla situazione di immobilismo generale. Quel rifiuto diventa, insomma, il punto di partenza per una nuova strada.
Profondamente ricettivo, Sala di Attesa è vorace nell’accogliere voci desiderose di aprire una via verso un presente da ricostruire
Le due grandi sculture di Alessandro Roma vengono quindi allestite in uno spazio espositivo fuori dai canali tradizionali, ovvero al Clandestino di Faenza (dagli anni ’80 punto di riferimento nazionale per la musica alternativa e cineclub), che durante tutto il periodo è rimasto aperto per l’asporto grazie al ristorante che si trova al suo interno. Parallelamente a questa operazione, viene creata Sala di Attesa, una fanzine plurale ed eterogenea che riunisce in sé la forte esigenza, da parte degli artisti, di condividere e creare assieme, anche in un momento in cui ogni rapporto ravvicinato e ogni occasione di confronto vengono impediti a causa delle circostanze.
“Sala di Attesa è nato come reazione alla sordità di alcune istituzioni culturali e nel suo trovare un altro spazio fisico di azione è diventato un luogo di resistenza contro l’attesa passiva”, racconta l’artista a Domus. “Profondamente ricettivo, Sala di Attesa è vorace nell’accogliere voci desiderose di aprire una via verso un presente da ricostruire”. Con questa azione, Alessandro Roma prende quindi una posizione netta nei confronti del funzionamento del sistema artistico in questo particolare momento storico, ribadendo la necessità primaria alla base di un lavoro artistico, quella di nascere e vivere all’interno di una rete di relazioni.
La comunità che si è formata attorno a Sala di Attesa ha partecipato alla creazione della fanzine attraverso contenuti che parlano linguaggi disparati: dalla parola scritta, come i pensieri della curatrice Irene Biolchini elaborati in aereo durante i suoi viaggi tra l’Italia e Malta, o la terapista Irene Dal Pozzo, che ha scritto la poesia La mia mano blu, un invito a concentrarsi sul respiro per infondere “coraggio alle radici umide” di ognuno di noi. E a proposito di mondo vegetale, l’erborista Alice Martini ha scritto il “semenzaio”, un elenco poetico delle proprietà intrinseche di ogni seme, considerati “maestri di sintesi e di attesa”.
Ancora diversa è la proposta della danzatrice Paola Ponti, con il suo “allenamento” della percezione, che ci insegna a raccogliere e accogliere ogni sensazione che il nostro corpo produce. Ci sono poi gli artisti visivi, come Marco Cerone, che per Sala di Attesa ha realizzato una serie di stampe – bocche di coccodrillo e suole di scarpe – che ‘addentano’ la realtà, mentre il fotografo Luca Nostri ha immortalato le colline romagnole come “ritratti lirici”. Andrea Salvatori ha realizzato a mano 50 acquarelli raffiguranti una natura morta con le patate. Infine, il tema dell’attesa torna nei disegni di Alessandro Roma, ideatore dell’iniziativa, che riflette su questa condizione così attualmente pervasiva tramite disegni e scritti.
Le copie di questo compendio variopinto e polifonico si trovano in distribuzione al Clandestino. Sala di Attesa, come sottolineano gli autori, non vuole essere uno dei tanti “progetti artistici” in circolazione, bensì l’incipit per una nuova idea di comunità. Un traguardo che pare al momento un’utopia, e in quanto tale rafforza l’accezione di “resistenza culturale” su cui si fonda l’intero progetto.