“Non tutte le biennali sono uguali”, mette in guardia il sito di Le Biennali Invisibili. Questo progetto ne è la dimostrazione. Le Biennali Invisibili è un progetto di Animali Domestici (Alicia Lazzaroni e Antonio Bernacchi), Tijn van de Wijdeven ed Eduardo Cassina, curato da Alfons Hug e commissionato dal Goethe-Zentrum Baku.
A primo impatto, l’homepage rimanda al caos di un parco giochi virtuale: senza tregua fluttuano nel cyber spazio una torta, una bottiglia di champagne, un trapano... Undici oggetti tramite i quali si ha accesso alle Biennali Invisibili. “Invisibili” come lo erano Le Città Invisibili di Italo Calvino (1972), romanzo a cui il progetto fa esplicito riferimento. Dal celebre scrittore italiano Le Biennali Invisibili eredita uno stile narrativo e descrittivo improntato alla finzione e alla pseudo-realtà, quali espedienti per stravolgere e ricostruire l’approccio curatoriale e il concept alla base di ogni biennale. Ma perché “invisibili”? Il progetto esplora undici biennali immaginarie accomunate, nelle loro significative differenze, da atmosfere oniriche, visionarie eppure strettamente legate al mondo passato, presente - forse futuro - delle manifestazioni artistiche biennali. Il progetto si compone di una serie di eventi e “stanze” virtuali che richiamano e riflettono criticamente su convenzioni e ossature proprie delle celebrazioni e manifestazioni artistiche, nonché sui tratti che storicamente le caratterizzano. In questo senso, ogni biennale richiama direttamente una ben definita e distinta tipologia di evento.
Ogni biennale è introdotta da un testo ad opera degli autori Animali Domestici, Tijn van de Wijdeven ed Eduardo Cassina, e accompagnata da un intervento critico redatto da un ospite sempre diverso. L’impronta umoristica e satirica risuona nella scelta dei nomi: troviamo "Bottavia - la biennale curata da un robot”, con la partecipazione di Merve Bedir, in conversazione con Bager Akbay; "Canonice - la triennale conservativa”, con la partecipazione dell’artista ed educatrice Sabina Shikhilinskaya; “Eccessa - la biennale for-profit", con Nora Akawi ed Eduardo Rega; e ancora "Generica - la biennale che non cambia mai” con l’artista Marco Montiel-Soto e "Puerilia - la biennale dei e per i bambini”, accompagnata da un testo di Araks Sahakyan. Ogni manifestazione ha luogo in stanze virtuali appositamente “allestite” sulla scia del tema affrontato dalla biennale di riferimento. Girovagando da una stanza all’altra, si passa allora dall’ordinata e fredda discrezione del tavolo bianco circolare di "Referenda - la biennale democratica”, al tunnel colorato ricoperto di tag che ospita "Novichelovekan - la biennale con facce nuove”, per contemplare le opere realizzate da “i Picasso di domani”.
Per esplorare questi universi paralleli, abbiamo rivolto alcune domande ad Animali Domestici, Eduardo Cassina e Tijn van de Wijdeven, autori del progetto.
Qual è il ruolo dello storytelling e della finzione nel progetto, e qual è la relazione tra i testi de Le Biennali Invisibili e Le città invisibili di Italo Calvino?
“Le Biennali Invisibili nasce come un progetto ibrido influenzato da varie discipline e vicino al campo del design critico e speculativo, inteso nell’accezione che ha avuto nell’ambito londinese negli ultimi due decenni, relazionata al lavoro di Dunne & Raby. In questo senso, il progetto utilizza tecniche di “fiction” come metodo per la costruzione di scenari alternativi. Lo storytelling diventa allora un meccanismo cruciale, in quanto le sue sfumature definiscono con precisione il livello di plausibilità degli scenari stessi.
Dal capolavoro di Calvino il progetto si appropria in maniera strumentale di strutture, stili, immagini, atmosfere e non solo.
Talvolta come ispirazione indiretta ma, in svariati casi, anche attraverso una vera e propria parafrasi di estratti dal testo originale, che tramite sostituzione di termini e tecniche di taglia/incolla, acquisiscono nuovi significati. Questo processo, però, non cancella del tutto i contenuti originali, generando incontri fortuiti e dettagli inaspettati che arricchiscono la narrativa aggiungendo maggiori sfaccettature. L’appropriazione e trasformazione formale dei testi è ispirata da esperimenti come i celebri Esercizi di stile di Raymond Queneau, non a caso apprezzato e tradotto da Calvino, che fece parte del gruppo Oulipo fondato da Queneau stesso”.
Nell’attuale contesto contemporaneo e nell’alterata modalità di fruizione dell’arte In Real Life e online i concetti di invisibilità e l’ipervisibilità si sono riscoperti indissolubilmente interrelati. Cosa il virtuale offre a Le Biennali Invisibili, e di cosa le priva?
“La virtualità influenza vari aspetti de Le Biennali Invisibili, essendo un progetto intenzionalmente eterogeneo e ambiguo, in cui i confini tra reale e finzione e tra invisibile e non, vengono manipolati, deviati, o sfumati all’occorrenza. Innanzitutto dà la possibilità di dosare liberamente la percezione delle realtà costruite dalle storie; infatti, tranne in pochi casi come Canonice, Novichelovekan, Insegna, o Generica, lo spazio virtuale non rappresenta gli spazi espositivi propri delle biennali, ma spazi organizzativi, complementari o connessi indirettamente ad esse, per promuovere la proiezione individuale e indipendente di differenti immaginari, senza darne una formalizzazione univoca.
La virtualità priva ovviamente di moltissime qualità proprie invece di un’esposizione fisica (gli incontri fortuiti, le voci sulle feste a cui partecipare, il materiale grafico, il personale che popola gli spazi espositivi, i rituali di accesso, etc.), ma per questo tipo di esplorazione l’effetto di “inganno” percettivo tra finzione e realtà potrebbe essere generato da un prototipo accurato, generalmente identificato come “make believe” nel campo del design fiction. D’altra parte, però, il virtuale ha anche dato la possibilità di utilizzare tecniche di accumulazione e manipolazione di oggetti e spazi preesistenti, trovati nel web tramite piattaforme di condivisione in creative commons, riducendo sostanzialmente potenziali limitazioni di risorse. Ha inoltre aiutato a generare un progetto con autori e partecipanti, diffuso tra vari fusi orari, culture e nazioni; totalmente a-localizzato e perciò - probabilmente - maggiormente adeguato a dialogare con l’opera ispiratrice di Calvino”.
È corretto annoverare tra le intenzioni del progetto l’elaborazione di una satira critica del passato e presente delle biennali, con l’obbiettivo di fornire spunti di riflessione-azione per il futuro delle stesse?
“Assolutamente, il design critico e speculativo fa uso della satira per amplificare la risonanza del messaggio, ma anche per dare maggiore libertà alla costruzione critica. La ricerca della sottile linea dell’ironia, senza esagerare scadendo nel banale, è relazionata alla distinzione tra reale e fittizio e più specificamente, riferendosi al noto Futures Cone, o “cono dei futuri possibili”, al confine tra plausibile e non. Infatti, si potrebbe dire che svariate di queste biennali siano già esistite in parte in eventi anteriori, senza essere state identificate come tali. Parallelamente, il lato ironico dà anche la possibilità di lanciare proposte al limite dell’assurdo e di valutarne le implicazioni a posteriori, senza la necessità di mantenere rilevanza disciplinare o di rimanere politically correct, aumentando paradossalmente il valore propositivo dell’intero processo critico”.
- Titolo:
- Le Biennali Invisibili
- Autori:
- Animali Domestici (Alicia Lazzaroni e Antonio Bernacchi), Tijn van de Wijdeven ed Eduardo Cassina
- A cura di:
- Alfons Hug
- Commissionato da:
- Goethe-Zentrum Baku