Si è appena conclusa a Linz la nuova edizione di Ars Electronica. Questa edizione, svoltasi in tempi di pandemia, ha indagato le parole chiave per affrontare le sfide culturali del presente attraverso pratiche di condivisione della complessità che il momento ci mette davanti. In the Kepler’s Gardens è il titolo scelto. Si tratta di un viaggio attraverso ecosistemi collegati in rete in cui le persone di tutto il mondo stanno lavorando per sviluppare e plasmare il nostro futuro. Una molteplicità di comunità che hanno già iniziato a pensare non solo ai problemi attuali, ma a lavorare su soluzioni concrete per il futuro. Luoghi, talk, mostre e istituzioni diventano piattaforme dove scienziati, artisti, designer e attivisti collaborano nella sperimentazione di nuove alleanze e forme di cooperazione. Kepler’s Gardens è anche il nome della nuova sede di Ars Electronica, ma è soprattutto il principio organizzativo del festival, che non si accontenta di immergersi nella rete e sparire lì, ma che mira a riemergere e manifestarsi in tanti luoghi del mondo. Partendo da Linz e lavorando con i partner di una vasta rete internazionale, Ars Electronica ha dato vita all’idea dei giardini kepleriani intesi come cluster concettuali che possono manifestarsi in qualsiasi punto analogico o virtuale del mondo e sono l’epicentro di un rigoglioso giardino/paesaggio che può fiorire anche nelle steppe più aride.
Autonomia, Democrazia, Ecologia, Tecnologia, Umanità, Incertezza sono le parole chiave per addentrarsi in una fitta maglia di questioni non più procrastinabili. Oltre 120 realtà in tutto il mondo sono state coinvolte in una sorta di entusiasmante laboratorio sperimentale, quasi un prototipo di rete incentrato principalmente su nuove forme e possibilità di fusione e coesistenza tra prossimità analogica e digitale, reale e virtuale. L’obiettivo principale di Ars Electronica è mediare e interconnettere arte, tecnologia e società incoraggiando nuove forme di networking tra le comunità su scala locale e globale. Una cooperazione transnazionale sempre più essenziale per il nostro mondo complesso. Ecco che la scelta di premiare il progetto Be Water by Hong Kongers, un sostegno agli sforzi delle proteste pro-democrazia dei cittadini di Hong Kong, diviene emblematica dello spirito di questa edizione. È la prima volta che il Prix Ars Electronica assegna un Golden Nica nella categoria Comunità digitali a un movimento di cittadini anonimi per il suo attivismo digitale innovativo e creativo. Il progetto, coordinato da Eric Siu e Joel Kwong allude alla capacità del movimento di essere mobile come l’acqua per potersi adattare a qualsiasi situazione in qualsiasi momento. Gli Hong Kongers stanno usando i media digitali per organizzare, documentare ed eludere l’oppressiva sorveglianza del governo cinese, sottolineando allo stesso tempo l’importante ruolo degli artisti nel loro impegno per una società aperta. Anche i temi ambientali sono al centro di questa edizione ne è un esempio Photosynthetic Me del gruppo italiano composto da Vanessa V (concept e design), Andrea Macchia (immagini), Vincenzo Guarnieri (scientific design). Un esperimento basato sull’idea di diventare come una pianta. Un progetto che mixa design, scienza, tecnologia e distopia. Le qualità fotosintetiche di una specie di lumaca, la Elysia chlorotica hanno generato la simulazione di un processo evolutivo in cui si cerca di attivare un sistema fotosintetico capace di rendere autosufficienti dal punto di vista alimentare e energetico. L’installazione che dà forma al progetto esplora i limiti tra scienza, finzione, arte e vita mostrando una documentazione video e testuale di questo processo evolutivo. Ecco che emergono interrogativi sui quali soffermarsi: E se potessimo scambiare geni con altre specie, diventando come foglie? Tutto questo è naturale? Possiamo evolvere nella nostra imperfezione?Interessante sul versante ecologico è anche Prisma Garden, progetto espositivo curato da Mona Liem che mette in mostra cinque creativi indonesiani le cui opere descrivono la loro inquietudine e speranza riguardo alla situazione attuale. In the Name of the Leaf di Angki Purbandono sottolinea come la diversità dei caratteri umani può riflettersi sulle foglie, un progetto analogico sviluppato mentre è stato in una prigione indonesiana per questioni legate al consumo di cannabis. Purbarndono ha usato l’arte come pratica di emancipazione creando il Prison Art Program. Rubi Roesli è un architetto il cui lavoro riflette sullo stato attuale degli spazi urbani auspicando una dimensione urbana aperta e in divenire dove la presenza della natura sia libera di esprimersi.
Anche Naufal Abshar proietta la sua speranza per il ritorno della natura nella giungla di cemento della città attraverso i suoi dipinti. Motionbeast, collettivo impegnato su sperimentazioni grafico-visive ha sviluppato un viaggio virtuale in una vasta e bellissima piantagione di tè a Giava, raccontando la storia di una delle risorse naturali più conosciute dell’Indonesia e il suo incredibile viaggio dalla montagna ai tavolini da caffè in ogni angolo del mondo. Infine, Notanlab hanno presentato in una coinvolgente installazione interattiva la ricchezza della flora indonesiana. Tornando all’idea del giardino che, nella sua etimologia appare come recinto e paradiso, questa edizione di Ars Electronica ci spinge a considerare il pianeta e noi stessi come soggetti di cui avere cura attraverso una spinta alla conoscenza sia essa digitale o analogica purchè tutto tenda verso un sempre più necessario cambiamento.