“Ceramics” è una prima sezione di un percorso più ampio dedicato all’utilizzo della ceramica come medium artistico contemporaneo. ICA_Milano lo ha sviluppato attraverso due mostre distinte, una personale e una collettiva. La prima, a piano terra, nell’enorme sala sulla destra, è “Equivalenze” (Equivalence), progetto più recente di Julian Stair (Gran Bretagna, 1955) che indaga la funzionalità degli oggetti quotidiani in rapporto al formato dell’installazione site-specific, rilegge il linguaggio tradizionale della ceramica, celebrandone gli aspetti sociali e culturali.
Al primo piano, in un’altra singola stanza, la collettiva “Verso Nuovi Canoni (Towards New Canons) – Ceramics and Contemporary Art in Great Britain” raccoglie i progetti di di sei artisti appartenenti a generazioni differenti: Sam Bakewell (Gran Bretagna, 1983), Lubna Chowdhary (Tanzania, 1964), Tommaso Corvi-Mora (Italia, 1969), Bethan Lloyd Worthington (Gran Bretagna, 1982), Matthew Raw (Gran Bretagna, 1984) e Matthew Warner (Gran Bretagna, 1989).
I sei artisti approfondiscono pratiche e strutturano manipolazioni della ceramica in maniera radicalmente differente. Bakewell sperimenta con impasti di porcellana Parian evocando utopici paesaggi urbani mentre Corvi-Mora, come curatore e come artista, riflette su tematiche delicate e attuali come migrazioni e razzismo. Chowdhary crea oggetti ibridi che costruiscono narrazioni volte a riflettere su possibili architetture di un futuro sconosciuto. Le opere “portali” di Lloyd Worthington ci trasportano in una dimensione spirituale che trascende la fisicità materiale. Infine, Raw sfida l’autorità delle architetture di potere inglesi mentre Warner concentra la sua ricerca sulla perfezione artigianale della ceramica stessa. In un’intervista con il curatore-artista ci siamo addentrati nelle strutture di queste due esposizioni.
Cominciando da principio, chi è Julian Stair?
Tommaso Corvi-Mora: Ha 64 anni, è molto noto nel suo campo, è un coetaneo di Edmund de Waal, con il quale ha anche condiviso lo studio, per 10 anni. Frequenta una scuola arte, all’inizio sviluppa sculture geometriche astratte, delle specie di Frank Stella ridimensionali, molto preso integra pratica di ceramista che dà vita a forme funzionali, in un contesto artistico. Lui si considera un artist potter, quindi un vasaio che confeziona oggetti che hanno una risonanza più ampia, potrebbero essere usati, ma che vanno al di là delle loro funzioni. Le proporzioni di questa nuova serie sono letteralmente da giganti.
Ha sempre utilizzato la ceramica, ma dagli anni Novanta ha iniziato a costruire anche questa serie di ground, di supporti, dispositivi d’esposizione, che adesso sono di legno cerato e marmorizzato – anche se all’inizio erano di ceramica – sulle quali lui struttura composizioni di vasi, teiere e tazze, di molteplici forme diverse. E la sua idea è quella di porre attenzione dello spettatore su oggetti che sono d’uso, ma con una storia antichissima, come la creta che ha risonanze bibliche, ancestrali e che è fondamentale nella cultura di ogni popolo da sempre. È un lavoro legato allo studio pottery e a quella specifica tradizione. Dal punto di vista formale lui formula un linguaggio suo, ma sempre legato alla potenzialità di un utilizzo quotidiano.
Quale rapporto definisce il titolo della personale?
“Equivalenze” è il titolo che definisce il rapporto tra l’analogia che lega una forma alla sua riproduzione nella realtà, secondo, però, una diversa scala. Lui ha realizzato queste versioni ingigantite delle sue forme tipiche, perché un certo tipo di tazza con un manico stondato, o una brocca con determinate sfaccettature, oppure un particolare bicchiere o una tazza da tè rappresentano un suo personale alfabeto. Una sua inflessione. A lui interessava esaminare nuovamente queste silhouette in dialogo con questo scarto dimensionale che le porta a diventare come forme astratte.
Quale progetto ha concepito per ICA_Milano?
Per questa mostra ha concepito nuovi lavori, tutti realizzati sul tornio, per cui sono modellati come i loro rispettivi modelli più piccoli. E sono cotti in un forno gigantesco, che può contenerli uno alla volta. Lui lavora la base su tornio come pezzo unico, impiegando 10-12 kg di creta, e poi lo rifinisce a colombino. Però è incredibile, perché hanno superfici e spigoli, ad esempio, perfetti, lineari, sui quali però si riesce ancora a leggere la mano dell’uomo, attraverso piccole aree talvolta leggermente increspate. Specialmente qui, in questo spazio, perché con la luce radente l’occhio percepisce prima le imperfezioni, al di sotto dello smalto bianco, della ceramica. Tecnicamente questi enormi contenitori si potrebbero utilizzare, anche perché sono di gres e sono stati cotti due volte, come da tradizione. Inoltre, sono così bianchi, perché a lui interessa maggiormente la forma, rispetto alla decorazione. La sua cultura visiva di riferimento è minimale e concettuale. Lui ha compiuto molte ricerche sulle crete antiche, studiando i rossi, i marroni, i neri, i grigi, però qui ama concentrarsi sulla loro purezza.
Quali codici e referenze si possono leggere attraverso questo progetto?
Il salto di scala non attraversa tutto il suo lavoro, ma una sorta di ritorno concettuale. Ad esempio, in passato lui ha concepito una serie, dal titolo Quietus, si trattava di alcune urne funerarie. Certe erano tanto grandi che avrebbero potuto contenere una salma, posta in verticale, dando vita ad un oggetto d’uso che ti segue per sempre. Lui in quell’occasione ha lavorato su grande formato, ma per la mostra all’ICA ha realizzato una vera e propria traslazione tra forme d’uso quotidiane e astratte.
Uno dei principali punti di riferimento per chi pratica lo studio pottery è stato scritto da Bernard Leach, The Pottery’s Book nel 1940. Per generazioni, è stato il Vangelo di moltissime persone che hanno deciso di perseguire un percorso differente rispetto a quello accademico. Studenti laureati che si trasferivano nella campagna inglese e aprivano il loro tornio, la loro bottega. Producendo ciotole che vendevano a poco presso, una pratica molto hippie.
E invece, al primo piano, l’architettura miniata di Bakewell quali stilemi, quali nuovi canoni evidenzia?
Lui impernia la propria pratica su due concetti principali, dai quali si discosta raramente. Uno è quello relativo allo scarto e poi ci sono queste forme minimale. I punti di partenza sono questi volumi colorati che si chiamano Leavings. Porzioni che rimangono dopo la lavorazione di un processo. Questa serie restituisce l’idea di una pratica formata da tante stazioni, da catene di metodologie da applicare. Lui parte dall’utilizzo di una particolare ceramica, chiamata Parian, che Wedgewood aveva già inventato e usato tantissimo. L’idea è che abbia il nitore del marmo di Paros. È molto affascinante perché i pigmenti di queste miniature sono impastati tutti con metalli e non sono smaltati.
Quindi, tecnicamente…
Il grigio, ad esempio, è titanio. Perché la caratteristica del Parian è la auto-vetrificazione: il colore è contenuto nell’impasto della creta che, se lasciata ferma, si fissa e non può più modificare la propria forma. Non sembra quasi ceramica, anche perché l’artista cartavetra ogni superficie. Le polveri che ne derivano vengono, a loro volta, messe da parte e poi vetrificate, creando queste minuscole basi solcate da alcuni mucchietti, posizionati al di sopra. Diventando una vera e propria scultura in sé. Nel suo approccio c’è l’applicazione studiata al volume del vuoto nello spazio, infatti, in questo momento si trova in residenza, e sta lavorando al Victoria & Albert Museum, studiando direttamente nelle vetrine di ceramiche antichissime.
- Titoli delle mostre:
- Equivalenze. New Work by Julian Stair | Verso nuovi canoni. Ceramics and Contemporary Art in Great Britain
- Date di apertura:
- Dal 21 Giugno al 15 Settembre 2019
- Curate da:
- Tommaso Corvi-Mora
- Sede:
- ICA Milano
- Indirizzo:
- Via Orobia 26, 20139 Milano