Per la 58. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia il Padiglione Italia, su progetto del curatore designato per questa edizione, Milovan Farronato, si trasforma in un labirinto. Intitolata appunto “Né altra né questa: la sfida al labirinto”, la mostra è allestita all’interno di una struttura narrativa non lineare dove s’incontrano le opere dei tre artisti invitati: Enrico David, Chiara Fumai e Liliana Moro. A stabilire il percorso da seguire sarà il visitatore stesso attraverso le proprie scelte e i propri ripensamenti.
Intervista a Milovan Farronato, curatore del Padiglione Italia
Intervista al curatore del Padiglione Italia alla 58. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, che ha invitato Enrico David, Chiara Fumai e Liliana Moro a esporre le proprie opere in un paesaggio metafisico.
View Article details
- Angela Maderna
- 09 maggio 2019
- Venezia
Angela Maderna: Partiamo dalle basi: cosa vedremo a Venezia nel Padiglione Italia?
Milovan Farronato: Una moltitudine di opere, in una selezione ampia e generosa, dei tre artisti che ho invitato – Enrico David, Chiara Fumai e Liliana Moro – all’interno di una struttura, un display molto speciale che potrebbe sembrare anche un piccolo borgo medievale o un paesaggio metafisico. Di fatto, si tratta di un labirinto, che impone di fare delle scelte rispetto al percorso da seguire. Il visitatore dovrà costantemente prendere delle decisioni, non radicali e non complicate, però dovrà scegliere la strada da seguire, vedendo anche in lontananza delle belle e talvolta struggenti opere che lo inviteranno a prendere direzioni diverse. Naturalmente, c’è sempre la possibilità di tornare sui propri passi per osservare ciò che non è stato visto in precedenza, questo ritorno, poi, crea una successione diversa delle opere, che potrebbe aprire a nuove letture e connessioni.
Foto Giulia Di Lenarda
Foto Giulia Di Lenarda
Foto Giulia Di Lenarda
Foto Giulia Di Lenarda
Foto Giulia Di Lenarda
Foto Giulia Di Lenarda
Foto Giulia Di Lenarda
Foto Giulia Di Lenarda
Foto Giulia Di Lenarda
Foto Giulia Di Lenarda
Foto Giulia Di Lenarda
Foto Giulia Di Lenarda
Foto Giulia Di Lenarda
Foto Giulia Di Lenarda
Foto Giulia Di Lenarda
Foto Giulia Di Lenarda
Foto Giulia Di Lenarda
Foto Giulia Di Lenarda
Foto Giulia Di Lenarda
Foto Giulia Di Lenarda
Foto Giulia Di Lenarda
Foto Giulia Di Lenarda
Foto Giulia Di Lenarda
Foto Giulia Di Lenarda
Foto Giulia Di Lenarda
Il titolo del tuo progetto espositivo è “Né altra né questa: la sfida al labirinto” parlare di sfida e di labirinto mi pare implichi di per sé il fatto che al visitatore sia richiesto uno sforzo, è così?
Non credo che sia uno sforzo. Anche se certo l’idea di sfida implica quella di prendere una posizione attiva. Decidere da che parte andare talvolta può implicare una frustrazione, ma appunto è contemplata la possibilità di tornare sui propri passi e regredire non significa peggiorare. La sfida al labirinto, in realtà, è un testo nel 1962 di Italo Calvino che, insieme con altri, mi ha ispirato e che citiamo come omaggio diretto nel sottotitolo della mostra (tra l’altro nel catalogo edito da Humboldt Books verrà tradotto per la prima volta in inglese).
Essendo incline nel corso della mia carriera a promuovere mostre, manifestazioni, eventi che hanno sempre avuto una natura partecipativa e performativa, personalmente a sorprendermi è stato il fatto che, in questa occasione, ho ideato una mostra di opere fisse, dove cioè non c’è nulla di performante, se non il ruolo dell’osservatore. È l’osservatore che attiva il labirinto ed è la presenza performativa che, altrimenti, mancherebbe. Il labirinto è costruito in modo tale che, durante il passaggio in un punto, si abbia anche la possibilità di vedere qualcosa d’altro che accade o si trova altrove.
È l’osservatore che attiva il labirinto ed è la presenza performativa che, altrimenti, mancherebbe.
Quindi la stratificazione dei significati può anche non essere colta nella sua totalità e senza frustrazione?
Il labirinto è un display, una metafora; non è il tema di una mostra: il tema sono le opere degli artisti che stanno dentro a questa struttura narrativa frammentaria e non lineare. Il labirinto come spazio in sé permette di fare dilatare il tempo. Quando si entra in un labirinto lo scopo è quello di uscirne, tuttavia la sua esistenza paradossale porta, quando si arriva a tornare sui propri passi o a sbattere simbolicamente contro lo stesso muro, a scordarsi del motivo per cui si è entrati, in quel momento il tempo improvvisamente si dilata. Questa è l’esperienza che vorrei offrire allo spettatore.
Gli artisti che hai invitato, Enrico David, Chiara Fumai e Liliana Moro, sono molto diversi tra loro, sia per la loro poetica sia per il risultato estetico-formale che contraddistingue le loro opere. Come convivono? Anche per loro è stato un po’ uno sforzo il fatto di trovarsi insieme in un labirinto?
Il labirinto l’abbiamo creato insieme, l’ho disegnato io insieme agli artisti e poi mi sono avvalso del valido supporto di Valerio Di Lucente di Studio Julia. Per creare rimandi tra le opere, per esempio, abbiamo ideato delle aperture, la struttura del labirinto ci ha permesso di creare spazi idonei ad accogliere le opere selezionate. Questo discorso vale per Enrico David e Liliana Moro, con Chiara Fumai il riferimento è più astrale, ma il suo lavoro inedito che presentiamo, This last line cannot be translated (2017), in gergo più colloquiale lei lo definiva la sua grotta, luogo da sempre associato al labirinto. Come si racconta nell’Eneide, nell’antro della Sibilla Cumana era dipinto il labirinto di Cnosso, così nel momento in cui ho ideato questo progetto espositivo ho pensato che quel lavoro di Chiara doveva essere presente, perché è esso stesso un’espressione del labirinto. Nel suo caso quindi la metafora ha una valenza concettuale molto forte, mentre per gli altri due artisti il labirinto rappresenta un valido display per poter presentare le opere.
Le mostre degli ultimi anni nel Padiglione Italia hanno progressivamente alzato il livello qualitativo della proposta, diminuendo al contempo il numero degli artisti invitati. I padiglioni di Paesi che in Biennale hanno una storia espositiva meno travagliata, però, in genere presentano un solo artista rappresentate. Per l’Italia questo non accade, secondo te perché?
Sinceramente non lo so, personalmente, leggendo Calvino, pensando al labirinto, alla complessità come a una ricchezza, alle strade che s’incrociano e così via, non ho voluto formulare una proposta con un’unica via dominante; volevo avere più voci. Sono poi diventate tre e secondo me sono una configurazione perfetta, perché si richiamano. Nonostante le differenze estetiche, hanno un legame esistenziale e poetico; di conseguenza oltre a stare bene insieme, si rafforzano. Ho voluto presentare questi tre artisti seguendo tre approcci diversi. A Liliana Moro è dedicata una riscoperta integrale del suo lavoro, scegliendo opere eseguite nel corso di tutta la sua carriera. Ho chiesto, invece, a Enrico David di realizzare nuovi interventi perché credo fosse importante dargli lo spazio per nuovi progetti. Mi sembrava importante, invece, presentare Chiara Fumai, che sarebbe stata l’artista più giovane, principalmente attraverso un grande lavoro, che si manifesta all’interno del padiglione in vari momenti e attorno al quale ci saranno una serie di altre opere.
- Né altra né questa: la sfida al labirinto
- 11 maggio - 24 novembre 2019
- Milovan Farronato
- Padiglione Italia - 58. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia