Mai come oggi, in un contesto internazionale nel quale varie forme di fascismo e neonazismo si acuiscono nuovamente, la personale dal titolo “With Out” di Fabio Mauri alla galleria Hauser & Wirth di New York, suona come un prezioso promemoria sui destini del presente. La grande mostra curata da Olivier Renaud-Clément esplora la carriera cinquantennale dell’artista italiano (Roma, 1926-2009) e la sua intensa analisi critica sui meccanismi di creazione dei linguaggi visivi che decretarono tra la Prima e la Seconda guerra mondiale l’ascesa di Nazismo e Fascismo e il peso conseguente che l’Olocausto ha impresso nella formazione del mondo contemporaneo.
Per chiunque si sia affacciato, dagli anni Settanta in poi, nelle varie biennali e grandi mostre internazionali, il segno artistico di Fabio Mauri è sempre stato presente e riconoscibile grazie anche alla sua abilità di esprimere attraverso l’impiego trasversale di vari medium (dal disegno alla pittura, dal cinema all’installazione, dalle opere teatrali all’approfondimento teorico) il ponderoso carico della storia con un linguaggio asciuttissimo ma insieme poetico e dal fortissimo impatto comunicativo.
L’estetica dei regimi totalitari, gli strumenti di manipolazione di massa, che proprio partendo da premesse artistiche ed estetiche pronunciarono il loro orrendo messaggio, sono stati ripetutamente oggetti di studio da parte di Mauri, come nel caso della famosa mostra sull’Arte Degenerata voluta da Joseph Goebbels nel 1937 per insolentire l’arte d’avanguardia e mostrare l’inferiorità delle razze, ricordato dall’artista nel suo lavoro del 1985 Entartete Kunst (Degenerate Art), esposto da Hauser & Wirth.
Ciò che colpisce e che accomuna l’insieme delle molte opere adunate per “With Out” è il rigore formale; quella matrice concettuale che permea tutta la produzione di Mauri e che permette ad ogni singolo evento innescato dall’artista, sia esso concluso in un’opera oppure nell’articolazione di un film o di una performance, di comunicare con grande efficacia l’intima natura della sua indagine; una domanda continuamente reiterata attorno alla condizione che rese (e che rende) l’individuo un fascista, e all’ideologia si cristallizza in concetti, forme ed espressioni condivisi dalle masse. È assai interessante notare come Fabio Mauri abbia praticato nella sua costante riduzione semiotica una personale rivisitazione di tutti i più importanti dispositivi artistici del Novecento: ne sono un esempio i monocromi, gli assemblage, i ready-made ma anche le sculture e disegni che costantemente rimandano ai tropi del modernismo, sempre al servizio però della sua ricerca sociale, politica, facendo assumere a ogni “oggetto” modernista un peso drammatico.
Mauri è sempre stato attratto dalla potenza delle lettere, delle parole, degli slogan: ne sono testimoni i molti lavori esposti che contemplano la scrittura, un sentiero di parole che si dipana in immagini scritte o in immagine-lettera. C’è in questo particolare tema una precisa valutazione storica che l’artista ha costantemente ripreso dal linguaggio della filosofia, e come questo linguaggio si sia decostruito attraverso le avanguardie a partire dal Dada, per poi tracimarsi nei motti e negli slogan della propaganda.
La frammentazione, la decostruzione è un’altra linea direttrice che il visitatore può seguire lungo la carriera di Mauri, a iniziare dalla sua Europa bombardata (1978). In queste e altre opere si manifestano i frammenti del ventennio, con la poetica di oggetti apparentemente innocui ma pregni di significati catastrofici, che sembrano costantemente riaffiorare nella banalità del quotidiano dove i ricordi e i significati sembrano confondersi e la loro testimonianza materiale del ventennio fascista dissolversi.
La cornice “white cube” della patinata galleria newyorkese offre la possibilità di confrontarsi con un corpo potente di opere dal precipitato critico e dalla lezione formale immortale; a questo proposito, proprio l’artista dichiarò nello stesso anno della sua morte: “ho sempre fatto arte d’avanguardia ma alla fine, l’arte italiana è classica”.
Per completare la retrospettiva dal respiro museale, la galleria ha pensato ad un programma con alcune delle più importanti performance di Mauri a partire da Europa bombardata (1978), L’Espressionista (1982) – che verrà messa in scena tutti i sabati all’interno degli spazi della mostra – e l’Ebrea, (1971) uno dei più noti e sconvolgenti lavori di Mauri, che verrà rimesso in scena il 9 febbraio.
- Titolo mostra:
- Fabio Mauri – With Out
- Date di apertura:
- 25 gennaio – 7 aprile 2018
- Sede:
- Hauser & Wirth
- Indirizzo:
- 548 West 22nd Street, New York
- Curatore:
- Olivier Renaud-Clément