Il mondo magico di Cecilia Alemani

Curatrice del Padiglione Italia alla Biennale Arte 2017, Cecilia Alemani racconta la genesi del progetto espositivo che presenta le opere di Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi e Adelita Husni-Bey.

Adelita Husni-Bey, La Seduta, 2017 Installation view at Padiglione Italia, Biennale Arte 2017. Photo Roberto Marossi
Con un titolo preso a prestito da un importante saggio dell’antropologo napoletano Ernesto de Martino pubblicato nell’immediato dopoguerra, ha inaugurato alla 57. Esposizione Internazionale d’Arte 2017 di Venezia “Il mondo magico”, il Padiglione Italia curato da Cecilia Alemani.
I tre artisti invitati – Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi e Adelita Husni-Bey – che, a dispetto di molte differenze stilistiche, condividono una fascinazione per il potere trasformativo dell’immaginazione e un interesse nei confronti del magico, hanno realizzato tre ambiziosi progetti allestitivi che sembrano definire un nuovo corso per il Padiglione italiano. Ne abbiamo parlato con la curatrice. 

Domusweb: Come s’inserisce questo progetto all’interno del tema più ampio indicato dalla curatrice Christine Macel, come hai scelto gli artisti e come si relazionano tra loro?

Cecilia Alemani: La risposta onesta alla domanda sulla relazione con il tema della curatrice è che in realtà non c’è stata relazione. Christine Macel ha annunciato il suo progetto curatoriale a novembre 2016, mentre il mio progetto era già stato confermato sei mesi prima. È una coincidenza fortuita che ci siano dei richiami tra le due mostre, anche se credo che condividiamo un desiderio comune di tornare alla centralità dell’artista, e, come mostra Christine, a tutto ciò che lo circonda, lo studio, le letture, le influenze. Per me è stato molto importante concentrarmi esclusivamente sul lavoro di tre artisti e dare loro tutti gli strumenti necessari perché potessero fare un progetto davvero ambizioso in termini di scala ma anche con più tempo e più risorse rispetto agli anni passati. Abbiamo iniziato a lavorare esattamente un anno fa, e ciò è stato voluto fortemente dal Ministero e soprattutto dalla Direzione Generale, con il direttore generale e commissario del Padiglione Italia Federica Galloni che ha insistito perché la nomina del curatore avvenisse almeno un anno prima. Questo ha fatto una grande differenza perché non solo abbiamo avuto più tempo per trovare risorse aggiuntive, ma anche gli artisti hanno avuto più tempo per preparare dei progetti così profondi.

 

Domusweb: Come nasce il tuo interesse curatoriale su questo tema?

Cecilia Alemani: È un tema che mi ha sempre interessata. A Ernesto de Martino sono arrivata in uno strano modo, per via francese, perché stavo facendo, una quindicina di anni fa, la mia tesi su George Bataille e al tempo non c’era tanta letteratura su di lui in italiano, quindi stavo leggendo molta letteratura critica in francese, tra cui il filosofo Georges Didi-Huberman che ha scritto tantissimo di Bataille, ma ha anche scritto di de Martino, e ho trovato questa cosa molto curiosa perché anche Didi-Huberman si era interessato di vari rituali magici come quello della tarantola e del malocchio di cui parla de Martino nei suoi libri, come Sud e magia, e mi ero incuriosita.

Domusweb: Mi ricordi il tema della tua tesi?

Cecilia Alemani: Era su George Bataille e sulla rivista Documents, che diresse per due anni a Parigi, dal 1929 al 1930. Mentre era direttore di questa rivista radicale che mischiava arte, antropologia e cultura contemporanea, Bataille aveva formulato il suo concetto di informe… ma questo è un altro discorso. Ho voluto riscoprire questa teoria del magico di de Martino, perché mi affascinava in particolar modo la sua lettura del magico non come fuga nell’irrazionale o una conoscenza di secondo grado, folcloristica: la sua tesi è che il magico – sia nelle popolazioni antiche che studia all’inizio della sua carriera, sia nelle popolazioni a lui coeve dell’Italia degli anni ’50 e ’60 nel meridione d’Italia – è uno strumento con cui l’uomo può riaffermare la propria presenza nel mondo in un momento di crisi esistenziale o di crisi globale, come succede adesso nella società contemporanea. Mi ha affascinato molto questa lettura positiva e anche pragmatica del ricorso al magico e ho voluto rintracciarlo e rileggerlo nel lavoro di tre artisti la cui opera penso sia ricca di riferimenti al magico. Magico inteso anche come apertura all’immaginazione, alla poesia, e alla fantasia. Per esempio per Giorgio Andreotta Calò la lettura dei libri di de Martino è stata un riferimento molto importante, mentre per Roberto Cuoghi ci sono dei riferimenti interessanti dal mio punto di vista, ma non è necessariamente una citazione didattica di de Martino, anche se forse il suo è il lavoro più magico, più metamorfico che c’è nel padiglione.

 

Domusweb: A proposito della riscoperta di questo testo: trovi che nella nostra contemporaneità quelle teorie degli anni ’50 e ’60 siano un percorso possibile?

Cecilia Alemani: Penso che sia una cosa diversa. De Martino negli anni ’50-’60 studiava proprio i rituali magici concreti del malocchio, delle fattucchiere... Ovviamente non penso esistano incantesimi, streghe o folletti, però volevo appropriarmi di questo approccio per descrivere il mondo che ci circonda. Mi piace pensare che, per descrivere e affrontare il mondo che ci circonda, non si debba necessariamente ricorrere agli strumenti del documentario per esempio, mezzo che era ben visibile all’ultima Biennale di Venezia. Trovo che questo sia un approccio freddo e razionale che non lascia spazio alla creatività dell’artista: penso invece che si possa arrivare allo stesso risultato partendo da premesse diverse che lascino spazio anche alla creatività. Adelita Husni-Bey è l’artista che lo dimostra meglio, perché il suo lavoro, che è forse sulla carta il meno magico dei tre, usa la fantasia della fiaba e dell’immaginazione per ricostruire la realtà e per raccontare una storia diversa, parallela, rispondendo a dei fatti quotidiani. Il video al Padiglione, per esempio, è scaturito delle proteste dei nativi americani di Standing Rock, partendo quindi da un fatto politico molto preciso ma lasciando spazio all’utopia e alla fantasia nelle voci di giovani americani che condividono le proprie paure e desideri.

Domusweb: E come l’hai incontrata?

Cecilia Alemani: La prima volta l’ho vista, direi nel 2010–2011, in una mostra che mi sembra fosse ad Anversa o a Utrecht. È un’artista italiana ma ha avuto anche una formazione all’estero, ha studiato prima alla Goldsmiths University di Londra poi alla ISP di New York e credo che sia anche più conosciuta all’estero che in Italia. È entrata a far parte del giro delle varie mostre internazionali con il suo lavoro perché tratta spesso di tematiche socialmente impegnate e ha un appeal molto fresco per un pubblico internazionale. Poi ho mostrato un suo video sulla High Line a New York, dove viviamo entrambe e dove ci siamo conosciute. È la più giovane dei tre, forse però è anche quella che ha un linguaggio più cosmopolita.

 

Domusweb: Avevi già lavorato con gli altri artisti?

Cecilia Alemani: Giorgio l’ho conosciuto bene quando è venuto a New York per il premio New York nel 2009–2010, poi ha fatto anche lui un progetto sulla High Line. Roberto lo conosco da decenni personalmente, abbiamo fatto una piccola cosa per un collezionista insieme anni fa, ma non avevo mai lavorato a una mostra con lui. Penso che sia uno degli artisti italiani più bravi degli ultimi decenni.

Domusweb: La sua è una riflessione importante sul concetto di icona.

Cecilia Alemani: Sì, il concetto di icona, il concetto di effige, il concetto di figurazione è anche l’impossibilità di rappresentare il Cristo storico, il Cristo uomo, come ci dimostrano 2000 anni di storia dell’arte. Questa impossibilità è portata a un livello ancora più estremo nella prima navata del padiglione in cui Cuoghi ha installato addirittura una fabbrica di statue di Cristo. Queste sculture sono fatte di materiale organico e da un lato generano la vita sulla loro pelle perché producono muffe e batteri ma dall’altro decadono perché perdono l’acqua che le compone. Sono un esempio perfetto di quel ciclo di vita e morte, di generazione e decadimento che l’artista sta cercando di fermare, di bloccare, ma ancora non c’è riuscito. Questo processo sperimentale è per Cuoghi un modo nuovo di fare scultura, in cui il caso, la natura o se vuoi anche il magico intervengono e fanno sì che non si possa controllare il risultato finale. Per questo si chiama l’Imitazione di Cristo, perché è una moltitudine, una molteplicità di Cristo ma nessuno è quello vero o forse sono tutti quello vero.

Domusweb: Come puoi inquadrare il lavoro di Giorgio Andreotta Calò?

Cecilia Alemani: Giorgio è un artista che lavora da tanti anni sul paesaggio che lo circonda, sul paesaggio industriale, sul paesaggio lagunare di Venezia o di Amsterdam, l’altra città dove ha vissuto. Per me invitare Giorgio è stato importante perché una delle premesse del padiglione era proprio quella di riscoprire l’architettura di questo bellissimo edificio, che negli anni passati ho trovato che fosse celata completamente o da muri o da celle. Io stessa non avevo mai notato quanto fosse bello il padiglione. Lui tra l’altro aveva lavorato in questi spazi come assistente di Kabakov nel 2001, quando Kabakov fece un’installazione qui durante la biennale di Szeemann. Fin dall’inizio avevamo parlato dell’idea di un’opera, di un progetto che non celasse lo spazio ma anzi lo esaltasse. Questo suo lavoro è l’apoteosi dello spazio stesso con un’installazione che riflette, duplica e moltiplica all’infinito lo spazio dell’Arsenale.

Domusweb: Com’è stato questo tuo ritorno in Italia?

Cecilia Alemani: Devo dire che è stato tutto molto tranquillo e professionale. All’inizio temevo la burocrazia e la confusione, in realtà è stato molto facile perché ho lavorato sia con il ministero che commissiona il Padiglione, sia con la Biennale che lo realizza, e devo dire che sono stati dei partner fantastici. C’è sempre questo mito che la Biennale è caotica, però ogni anno la Biennale inaugura sempre senza ritardi ed è una mostra molto professionale. E relativamente al Padiglione Italia penso che ci fosse da entrambe le parti la voglia di dare una svolta, di riportarlo al livello degli altri padiglioni nazionali. Quindi c’era molto entusiasmo e desiderio che questo padiglione fosse un successo.

Domusweb: Prevedi che ci saranno, nel tuo percorso, nuove iniziative in Italia?

Cecilia Alemani: Non so, la mia vita è a New York, ho un lavoro lì che mi piace tantissimo, ovviamente sono sempre affezionata all’Italia, se c’è la possibilità di lavorare qui mi piace, però è un po’ come con il Padiglione: gli artisti sono sì italiani, ma sono anche artisti globali quindi non mi piace mettere loro l’etichetta di italianità. Sono felice di aver fatto questo progetto ma anche contenta di tornare alla normalità newyorchese.

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