Non avendo mai veramente vissuto Amsterdam da turista, per me camminarci è un’esperienza strana. La bici dà alla capitale olandese una dimensione molto più liscia e stiracchiata, il ritmo di parchi e architettura diventa il motivo principale, mentre la varietà dei suoni e delle persone (nonché le sfumature che distinguono strada da strada e negozio da negozio) si perdono un po’. A piedi, sono proprio questi dettagli a determinare un’esperienza più lenta e riflessiva, diversamente esilarante, ed è per questo che il workshop di Marta Colpani, organizzato in occasione della sua residenza presso Peer Paper Platform, ha attirato la mia attenzione. Per qualche settimana, Colpani ha lavorato con un gruppo di 6 partecipanti con diversi background creativi (Elisa Fiore, Esther Brakenhoff, Dorin Budusan, Leslie Newhall, Liesbeth Wieggers e Annemarie Cilon) per costruire un ritratto collettivo di Amsterdam attraverso una sintesi delle esperienze individuali dei suoi spazi.
Ritratto urbano collettivo
Durante un workshop lungo un mese e mettendo insieme le esperienze individuali dei partecipanti, l’artista Marta Colpani ha dato vita a un ritratto inedito e collettivo di Amsterdam.
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- Nicola Bozzi
- 12 ottobre 2016
- Amsterdam
Parlando con lei, che pure ad Amsterdam vive da parecchi anni e qui ha messo su famiglia, l’identificazione con la città – uno spazio che si fa tuo solo col tempo e nonostante una serie di ostacoli culturali che un expat può mettere a fuoco solo nell’arco di anni – è vitale. Nel suo lavoro, l’artista affronta spesso lo spazio in maniera visiva, prediligendo però un’estetica leggera e associativa rispetto alla rappresentazione diretta. In There (where distances disappear) (2015) Colpani collega il nord dell’Olanda e la Pianura Padana tramite foto delle nebbie soprastanti, mentre in Het gemaakte land (2014) sceglie di raccontare il proprio Paese adottivo tramite i telai di alcune finestre, svuotati però del paesaggio all’interno.
Se la soggettività dello spazio urbano e il proprio rapporto con l’Olanda sono temi principi, disegno a matita e suono sono diventati i media per rappresentarli, entrambi intesi come registrazioni. In Lines (2015 – in corso) l’artista traccia infatti la propria esperienza di confini geografici (Italia/Slovenia, Olanda/Belgio, Olanda/Germania) usando il tratto come documento performativo, inscindibile dalla durata del gesto. Il risultato sono superfici più o meno astratte, un racconto sottile e privato che si interseca con il reportage solo occasionalmente, per esempio tramite il suono catturato sul posto.
Durante le quattro domeniche del workshop, lo spazio di Peer (a pochi minuti a piedi da piazza Dam e letteralmente di fianco al Red Light District) ha svolto il ruolo di perno strategico su cui convergere per raccontare il proprio percorso. Nello scantinato, ispirati anche da letteratura e dalla proiezione di film e corti a tema psicogeografico/urbanistico, Marta e gli altri partecipanti si sono confrontati di settimana in settimana, mettendo insieme materiale e interazioni umane raccolte per strada, facendo brainstorming e disegni collettivi. Le discussioni hanno riguardato non solo il tema della camminata, ma anche il formato per raccontare una “storia” collettiva, con una scala e un’estetica comune per esprimere il concetto di distanza e l’esperienza di percorrerla. Nel risultato – un patchwork di parole e frasi incontrate sul percorso, immagini, qualche oggetto – è evidente la supervisione di Colpani, che ha agito da editor e collante tra le visioni dei partecipanti, ma in alcuni casi emerge un punto di vista diverso (una foto presa di Google Street View, per esempio). Coesa attorno a un approccio indiretto, l’estetica finale del progetto presenta sia aspetti analitici che emozionali, un mix efficace per raccontare una città sfaccettata come Amsterdam.
In un contesto mediatico in cui la psicogeografia è spesso delegata a piattaforme digitali e social network compulsivi, la rigorosa periodicità e la frizione creativa implicita in un lavoro di gruppo rappresentano forse gli aspetti più interessanti del progetto della Colpani, che vede nel workshop come medium una probabile direzione per la propria attività artistica futura. Il difficile equilibrio tra armonia estetica e impulso individuale è infatti completamente assente nei flussi ininterrotti di foto, check-in, recensioni e racconti che abbondano sui social media, la cui inevitabile conseguenza è la fusione delle prospettive singole in rumore bianco e lo stordimento da feed per il fruitore. Coesa attorno all’approccio indiretto che contraddistingue il lavoro di Marta, invece, la narrazione collettiva messa in scena da Peer ha saputo riconnettersi a correnti artistiche moderne (Richard Long, ma anche Janet Cardiff, oltre ovviamente al Situazionismo) senza cedere alla seduzione mediatica.
© riproduzione riservata
Marta Colpani – Distance as time, distance as sound, distance as words
Peer Paper Platform
Amsterdam