Kienholz usa oggetti già consunti e scartati per creare scene di ordinario abominio: spazi domestici, interni, di bar, di postriboli, di giostre e di altri luoghi d’intrattenimento in cui si svolge una vita quotidiana fatta di solitudine, soprusi e violenza; una violenza viscerale, che disintegra ogni possibile stabilità. Nulla, in siffatta società, può durare. Il caos impera sovrano. Gli individui affondano nel vuoto emotivo. I corpi sono oggetto di una sessualità triviale e distruttiva che li sfrutta e li smembra. Una sorta di “sessualizzazione” ha investito il mondo intero. Le cose stesse, brutte e rotte, esprimono sofferenza e disperazione.
L’artista evidenzia così l’insalubre e l’osceno che si nascondono sotto un perbenismo di facciata. È chiaro che in un mondo del genere l’unica certezza è il perpetrarsi di soprusi e violenza. Le sue opere sono altrettanti commenti sui temi delle convenzioni sociali, della cittadinanza, della famiglia, della moralità, del maschile e del femminile, dello spazio domestico, del piacere. In The Bronze Pinball Machine with Woman Affixed Also (1980), per esempio, un innesto di gambe di donna in un flipper, il corpo femminile è ridotto a un oggetto di puro intrattenimento sessuale. L’opera Jody, Jody, Jody (1994) s’ispira a un fatto di cronaca ed evoca un grave episodio di abuso sui minori.
The Caddy Court (1986–87), un insieme mobile costituito da un furgone inserito tra la parte anteriore e quella posteriore di una Cadillac. Al suo interno è collocata una rappresentazione dei giudici della Suprema Corte americana le cui teste sono state sostituite da musi infìdi di bestie impagliate: cani e lupi.
Numerosi assemblaggi inglobano o simulano monitor, dai quali si proiettano verso l’esterno oggetti indecenti o animali ululanti: l’invasività del mezzo televisivo, la colonizzazione dell’immaginario, la stupidità dell’informazione sono corresponsabili di frustrazione e malinconia, che generano mostri.
Il suo stesso sistematico ricorso a materiali usati, sottraendo allo scarto definitivo ciò che pareva aver concluso il proprio ciclo vitale ed economico, porta con sé non solo un senso di perdita, di abbandono, ma di rinascita, ed è atto poetico per eccellenza.
Ma è il rimosso più brutale a concludere la mostra, con l’imponente installazione Five Car Stud, ora acquisita dalla Fondazione Prada. Ci troviamo tra gli alberi, in un luogo isolato, al cospetto di una scena d’inaudita violenza. Un gruppo di uomini bianchi ha aggredito e sta evirando un uomo afroamericano; sconvolti spettatori, oltre a noi, una donna e un bambino.
Violenza interraziale e odio per le coppie miste erano maggioritari negli USA in quel momento e Five Car Stud, ne costituisce una denuncia inequivocabile. A proposito di quest’opera Kienholz parlò del “peso di essere un americano”. Non è un caso che, presentata nel 1972 alla quinta Documenta di Kassel curata di Harald Szeemann, l’opera abbia avuto un buon riscontro di critica in Europa; non altrettanto negli Stati Uniti. A più di quarant’anni dalla sua creazione Five Car Stud, come altre opere di Kienholz, continua a sconvolgere.
fino al 31 dicembre 2016
Kienholz: Five Car Stud
Fondazione Prada, Milano
Curatore: Germano Celant