
Non è un caso dunque che proprio qui, nel piccolo e prezioso archivio di militanza siciliana, ispirato alla figura della rivoluzionaria Maria Occhipinti, che al grido di “Non si parte!” innescò la rivolta ragusana contro la chiamata alle armi del ’45, comincia la visione di “Propagandas”, mostra personale di Jonas Staal organizzata dalla Galleria Laveronica di Modica.
Sui tre piani dell’alta e sottile casetta di via Garibaldi, sono allestite alcune fotografie scattate nel Rojava, nuovi volti fra vecchi manifesti anarchici e documenti storici di un’iconografia rivoluzionaria e propagandista (appunto). Appesa alle pareti, la serie Anatomy for a Revolution: Rojava (2015) ricalca momenti dell’indipendenza del Rojava, regione curda al nord della Siria dichiarata autonoma nel 2011, e mostra alcuni squarci ed estetiche di vita quotidiana e di pubbliche assemblee, strumenti assunti dal confederalismo democratico, diventato simbolo della lotta contro l’ISIS.

Il punto di partenza è proprio questo: è possibile emancipare l’arte dalla propaganda?
Attraverso quattro casi-studio la mostra di Jonas Staal, il cui corpus principale si concentra nella sede della galleria Laveronica di Modica, si snoda attorno all’estetica architettonica, vista come modello di rappresentazione di un pensiero politico che, nel corso del tempo, ha conosciuto svolte spesso sorprendenti.
Il lavoro di Jonas Staal da tempo si struttura attorno alla relazione fra arte e politica e sintetizza nel concetto al plurale di “propagande” le sfumature che la parola può assumere in relazione alle diverse forme di potere che possono di volta in volta influenzare l’estetica della produzione culturale.
Durante le rivoluzioni, la cultura e l’arte necessariamente subiscono un processo di ridefinizione. Ma la questione ruota sempre attorno alla stessa dicotomia: come la politica può liberare l’arte dalla propaganda, e come l’arte può liberare la politica? Il Rojava è forse oggi il luogo in cui queste riflessioni stanno manifestando la loro massima espressione.
Da circa un paio d’anni l’artista e la sua organizzazione, il New World Summit, sono stati incaricati dal governo autonomo del Rojava di progettare e realizzare la costruzione di un’architettura permanente che ospiterà le attività del parlamento, per dar vita a una nuova agorà sulla quale il confederalismo democratico possa piantare le proprie radici


A suggellare la relazione fra architettura e ideologia, la peculiare “grotta” della galleria, ospita Closed Architecture (2011), il rendering di una prigione immaginata sul progetto di una tesi di laurea della parlamentare del Partito ultranazionalista Olandese Fleur Agema. Proprio lei, allora giovane studentessa, proponeva un modello di prigione a quattro fasi, volto a disciplinare i prigionieri e a trasformarli in membri produttivi della società.
L’architettura per Staal è anche il linguaggio che spesso riproduce fisicamente lo sviluppo delle economie globali e il loro risvolto socio-politico nella ricostruzione dei tessuti sociali delle Nazioni. Monument to Capital (2014-16) è la rappresentazione dei capitali dell’alta finanza attraverso i grattacieli più alti del mondo. Il video si ispira all’indice dei grattacieli di Barclays Capital e mostra, sotto forma di grafico, una correlazione inversamente proporzionale fra la costruzione dei futuri grattacieli più alti del mondo e il sorgere di una nuova crisi finanziaria globale.


fino al 13 giugno 2016
Jonas Staal – “Propagandas”
a cura di Matteo Lucchetti
Laveronica Arte Contemporanea, Modica
con la collaborazione di Sicilia Libertaria