Rinascimento

Nelle mastodontiche sculture aliene di Villar Rojas, in mostra a Torino, la rovina convive con l’asteroide, l’archeologia con l’apocalisse e una conchiglia con una SIM card.

“Rinascimento” è un’esposizione attraversata da un crescente, misterioso senso di freddo. E non perché l’artista – il giovane argentino Adrián Villar Rojas – abbia deciso di spegnere caldaia e luminaria, lasciando guardasala e visitatori intirizzirsi nel verno torinese con in faccia l’espressione degli esseri dimenticati, come quegli uccelli delle spiagge artiche a cui non restano che le cannucce pelate delle ultime penne.
Adrián Villar Rojas
Vista della mostra “Rinascimento” di Adrián Villar Rojas alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino
C’è in questa mostra il segno di un denudamento e progressivo assideramento che investe, soprattutto, quei filamenti di sugna – tutto l’affabile e canicolare caravanserraglio di obbligate informazioni di servizio o promozionali: affissioni, insegne, comunicato stampa – che ogni mostra, va da sé, si porta addosso. Stinta nella sua segnaletica visiva, la cera della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo appare scolorare in un inusuale pallore, come le labbra sbiancate dal gelo: si va così smarrendosi, lungo pareti abbigliate del solo intonaco, alla ricerca della biglietteria o di una toilette, con la testa incassata nella groppa, le mani nelle tasche del paltò o conficcate sotto le ascelle, gli occhi strizzati per affilare la vista – ad assisterla solo radi fiotti di luce fioca, spillata dalle aperture del soffitto nelle ore deputate. Questo trattamento esfoliante operato da Villar Rojas dentro e fuori il museo – la cui cotica in pietra di Lecce è stata raspata e lustrata e ricondotta, nella veste, ai muri originali drizzati nel 2002 dell’architetto Claudio Silvestrin – è tutt’altro che epidermica pratica cosmetica.
Adrián Villar Rojas
Vista della mostra “Rinascimento” di Adrián Villar Rojas alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino
La cifra del déshabillé contraddistingue quelli che, nel crepuscolo dell’ingresso, si riconoscono essere grumi di indumenti sparsi ovunque nello spazio. Tanto li si osserva, e con tanta attenzione, che si finisce per trovarli familiari. Una pelliccia di volpe rossobruna languisce a terra accanto a un paio di scarpe con tacco a punta – ed ecco affiorare mal distinta una figura femminile, pingue, altolocata. Una cintura in ecopelle s’avvoltola attorno a un elegante orologio da polso – e si ficca nella mente l’immagine di un uomo dalle ossa sottili e il naso aquilino. Qui una pezza di tweed e un collarino di pizzo; là una fusciacca in lana cotta e un ombrello. Coaguli d’identità scrollate di dosso, circonfuse d’impenetrabile riserbo, che formeranno un giorno oggetto di studio per gli archeologi.
Adrián Villar Rojas
Vista della mostra “Rinascimento” di Adrián Villar Rojas alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino
“È un po’ come togliersi il cappello sul pianerottolo o appendere la giacca nel vestibolo”, spiega una giovane guardasala dritta sulla vita e ansiosa di farsi fare il terzo grado sul significato di quelle spoglie di chicchessia e d’ogni discendenza ed estrazione. “L’artista vuole che il visitatore giunga al cuore della mostra nudo”, chiosa a voce bassa, invitando a volgere gli occhi verso, mamma mia, una distesa inconcepibile di un centinaio di madornali pietre vulcaniche, marmi e legni fossili, scuri e circospetti, che Villar Rojas ha ricuperato in un deposito a Istanbul per concertarli nella disadorna sede della Fondazione Sandretto. Orfani d’ogni paesaggio, su questi enormi macigni grava una immobilità e un’apparente immutabilità che fanno pensare a un tempo fermato, remoto.
Adrián Villar Rojas
Vista della mostra “Rinascimento” di Adrián Villar Rojas alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino
Si resta a guadarli con tonto stupore e occorre avvicinarsi molto prima di scoprire che, sopra ogni pietra, marmo o legno, alberga la carcassa di un animale da piuma, o un cespo di verza avvizzita, o una ciocca di alghe aggrovigliate, o un pomodoro marcito, o una spugna di mare, o un melone o una zucca guasti e putrescenti; come pure, adagiate su questi giacigli incontinenti – alcuni buttano schiuma e maleolenti liquami – stanno inservibili cianfrusaglie (comperate dall’artista al Balon di Torino, lo storico mercato dei cenci): una spilla di perle, un paio di corna di cervo, una scintillante caraffa smeraldina. Depositate come resti di un naufragio sugli scogli, queste fradice nature morte trasudano tutta la contingenza del proprio tempo. Un tempo consunto, smangiato, privato d’ogni grandezza.
Adrián Villar Rojas
Vista della mostra “Rinascimento” di Adrián Villar Rojas alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino
“Questo carciofo era grosso e verde”, confida ai visitatori la ciarliera guardasala, accomodandosi sopra una grossa pietra olivastra e brandendo quello che, pochi giorni addietro, si sarebbe presentato in tutt’altro stato, come un turgido cardoncello pronto per il pinzimonio. “Ora, vedete, è scuro e appassito”, sentenzia senza pietà. “Un simile spettacolo da day after è una costante nel lavoro dell’artista”. A chi le chiede le ragioni del nome – “Rinascimento” – risponde: “Il titolo inizialmente doveva rifarsi a dei versi satanici. Ma un giorno, durante l’allestimento della mostra, una assistente di Adrián, vedendo germogliare una piantina da una pietra, ha detto: sembra il Rinascimento…”. Ho letto, per la verità, di altre spiegazioni a riguardo, ma questa pare essere senza dubbio la più suggestiva. 
Adrián Villar Rojas
Vista della mostra “Rinascimento” di Adrián Villar Rojas alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino
C’è una fotografia in cui Adrián Villar Rojas posa, a figura intera e con aria compunta, al centro della Fondazione Sandretto. Tutt’attorno, la distesa lunare di pietre antidiluviane, pavesate d’ogni forma di vita mangiaufo, si sfoca e dilegua come un ricordo sommerso. Indossa una T-shirt di Star Wars (risuona nelle orecchie l’incipit di ogni film della saga, con la sua eco cupa e liquida: “A long time ago, in a galaxy far, far away…”), e finisce che questo particolare, del tutto insignificante se non perché bulinato in una scena dal sapore primordiale, appunti l’attenzione su un aspetto che detta legge nella poetica dell’artista: il disormeggio dell’opera e il suo vacillare in una dimensione temporale sclerotica, ritardata o trafelata, traboccante dal suo alveo e come avida di metamorfosi.
Adrián Villar Rojas
Vista della mostra “Rinascimento” di Adrián Villar Rojas alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino
Riarso da una febbre da ultimo atto, il lavoro di Villar Rojas dilapida il tempo della propria sostanza, rivelandone lo scricchiolio – le sue mastodontiche sculture aliene, fatte per lo più di fango e argilla, sono spesso crepate e sbregate. La rovina convive con l’asteroide, l’archeologia con l’apocalisse, una conchiglia con una SIM card; mentre una bestia preistorica viene elevata al rango di statua, e Kurt Cobain a quello di fossile. Così in “Rinascimento”, si spalanca un abisso fra la lunga fermentazione della roccia e le stagioni a fior di pelle di un cavalluccio marino. E pur tuttavia, essi subiscono lo stesso destino. Anche la pietra si sciupa in un’abulica, sfiancante erosione, mentre sul cavolo verza proliferano parassiti stellari. Dell’uno come dell’altra, alla fine, non resterà che un lontano tepore.
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Adrián Villar Rojas
Vista della mostra “Rinascimento” di Adrián Villar Rojas alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino

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