Beatrice Zamponi: In cosa si differenzia la sua ricerca in bianco e nero da quella a colori?
Daido Moriyama: Il monocromo rappresenta le viscere del mio lavoro, la parte più interna e drammatica, il contatto con quello che non riesco a spiegare e comunicare diversamente. Attraverso il colore sento invece di restare in superficie e di sfiorare il reale, accettandone anche la bellezza e non solo la tensione. Ho sempre volutamente cercato dei colori dozzinali e pop per la loro capacità di rappresentare il quotidiano, l’effimero, la parte senza spessore della città eppure visivamente sensuale e affascinante.
Beatrice Zamponi: La sua fotografia totalmente istintiva sembra dare forma a immagini e visioni interiori. In questo senso è stata paragonata alla poesia haiku. Lei cosa ne pensa?
Daido Moriyama: Il mio lavoro in strada è cogliere l’attimo, questo è anche il principio fondante della poesia haiku, quindi in questo senso c’è un legame. Quando scatto lo faccio attraverso una sensibilità animale, immediata, ma automaticamente i ricordi e le esperienze si sovrappongono al mio agire e questo condiziona il risultato in maniera imprevedibile. La propietà sorprendente della fotografia è che unisce il déjà vu al jamais vu e successivamente il sentire del fotografo al sentire dello spettatore in una sovrapposizione di emozioni continue.
Beatrice Zamponi: Un altro legame con la poesia haiku riguarda il tema del viaggio, che è stato il leitmotiv della sua vita. È anche noto che nella sua giovinezza lei sia stato affascinato dal romanzo cult della beat generation On the road di Jack Kerouac. Che cosa rappresenta dunque per lei?
Daido Moriyama: Qualcosa che ha sempre fatto parte di me. Da bambino a causa del lavoro di mio padre ci spostavamo spesso, la mia vita ha assunto fin da subito delle caratteristiche nomadiche. Il Giappone l’ho girato in lungo e in largo e anche buona parte del mondo. Il viaggio non è mai stato una meta, quanto uno stato mentale costante. Fu proprio questo approccio a farmi appassionare a Kerouac, avevamo lo stesso sentire, la stessa profonda libertà; inoltre aveva la straordinaria capacità di riuscire a trasmettere attraverso la macchina per scrivere delle immagini fotografiche.
Beatrice Zamponi: Il luogo elettivo del suo vagabondare però è sempre stata la città e, in particolare, le strade di Tokyo. Perché?
Daido Moriyama: La città racchiude tutto: la commedia, la tragedia, l’elegia, l’erotismo. È lo scenario ideale, il luogo dove s’intrecciano i desideri delle persone. È rimasta e rimarrà sempre il mio elemento naturale. Con il passare degli anni cambiano le persone, gli abiti, gli scenari, ma è solo un’apparenza; la linfa che la anima è sempre la stessa. Questo è anche il motivo per cui la mia fotografia, in un certo senso, sembra sempre ripetersi.
Beatrice Zamponi: Si dice che i diversi cani randagi che ha ritratto nel corso del tempo siano in realtà dei suoi autoritratti. È così?
Daido Moriyama: I cani vedono in bianco e nero e le mie foto sono prevalentemente monocromatiche. Ma non è l’unica prospettiva che sento mia, a volte quando mi trovo in un vicolo mi rendo conto di guardarmi intorno come fossi un insetto. In ogni caso il mio animale preferito rimane il lupo, intimamente posso dire di sentirmi un lupo. Quando sono in mezzo alla gente agisco come un cacciatore, sono in continua ricerca e tensione.
Beatrice Zamponi: “Ogni cerimonia del tè può essere definita come un incontro unico, perché se anche lo stesso ospite e i medesimi invitati dovessero riunirsi più e più volte, pure la natura irripetibile dell’incontro di oggi ne fa un’esperienza che accade una sola volta nella vita”. Sono parole di Yamanoue Soji discepolo del famoso maestro del tè Sen no Rikyu e sembrano descrivere metaforicamente la sua filosofia. Le sembra un parallelo appropriato?
Daido Moriyama: L’unicità del momento e della singola esperienza sono certamente alla base del mio lavoro. Non c’è attimo uguale a un altro seppure vi si ripeta lo stesso gesto. La fotografia mi permette di descrivere l’unicità di ciò che sto vivendo, di ciò che sento in quello specifico momento. In questo senso, l’esperienza non ha fine, è inesauribile.
Beatrice Zamponi: Con il suo lavoro lei ha introdotto in Giappone una modalità narrativa rivoluzionaria vicina al diario. La fotografia diventa uno strumento per raccontare il più intimo e banale quotidiano, ciò che ha senso per il singolo. Questo linguaggio è ancora la base di molta della fotografia contemporanea, perché secondo lei?
Daido Moriyama: Io fotografo cose che tutti hanno la possibilità d’incontrare, questa familiarità rende il mio lavoro vicino alla gente. Sebbene frutto dell’esperienza personale, in uno stesso scatto possono coesistere infinite e diverse realtà.
Beatrice Zamponi: Come è cambiata oggi la sua pratica fotografica?
Daido Moriyama: Di diverso c’è solo la macchina fotografica. Scatto con una digitale di piccolo formato e di bassa qualità. Mi piace evidenziare proprio la scarsa risoluzione di molta della fotografia più diffusa oggi. Quando cammino mi muovo verso le persone e le persone verso di me, quindi uso la macchina in formato orizzontale, è il più automatico. Recentemente però sto lavorando a una nuova serie in formato verticale; in questo caso la foto ha una genesi diversissima molto più ragionata.
Beatrice Zamponi: Quale pensa sarà il futuro della fotografia? Lei che è conosciuto per aver prodotto alcune tra le più sofisticate stampe manuali, crede che la tecnologia analogica verrà completamente dimenticata?
Daido Moriyama: Sopravviverà perché ci sono ancora persone che credono fermamente nel tramandare questo sapere e apprezzo molto il loro impegno. Non ne faccio però un problema personale: c’è stata una stagione analogica per la mia fotografia e ora lavoro in digitale. Fino a che esisterà la macchina fotografica, io continuerò a scattare. Il resto per me non ha importanza.
Daido Moriyama in Color
fino al 10 gennaio 2016
Galleria Carla Sozzani, Milano
6 marzo – 8 maggio 2016
Fondazione Fotografia Modena