Un vento nuovo

Danh Vo allestisce un insieme preciso di oggetti nel Padiglione Danese alla Biennale di Venezia portando una serie di manufatti di varia natura a respirare un vento nuovo.

Danh Vo, Danish Pavilion, Biennale 2015
Su Danh Vo vedi anche il progetto di Hector Módica, Carlos Ledezma, Lourdes Del Rio per la casa dell’artista a Città del Messico e il testo di Francesco Garutti pubblicati su Domus 991, maggio 2015.

 

I reperti scelti da Danh Vo sono meravigliosamente equivocabili. Estratti dal suolo, spolverati e trasportati; su di loro soffia il vento di un tempo altro. L’aria e il sole di un luogo che forse non hanno mai conosciuto.

Gli oggetti, i manufatti, le opere e i fossili raccolti e riallestiti nel padiglione, allineati innanzi a nuovi occhi costituiscono frammenti di cultura materiale, tecnologia, natura sui quali basarsi per ricostruire pezzi di storia, il racconto di un’antica società possibile, ipotizzabile. Il reperto archeologico è poeticamente muto ai nostri occhi. Spetta a noi ricostruire la narrazione alla quale appartiene. Spetta a noi re-immaginarne e ritracciarne il viaggio, le calcificazioni, gli strati, le ferite e le sue trasformazioni.

Danh Vo, Danish Pavilion, Biennale 2015
In apertura: Danh Vo, Ο Θεός μαύρο, 2015. Frammento di sarcofago greco in marmo cristallino proveniente da Roma, fine del II sec. a.C.: Vergine dell’Annunciazione scolpita in legno di pioppo con tracce policrome, Italia, Scuola di Nino Pisano, 1350 c.. Sui muri: seta tinta colore RAL3020 con reagenti chimici, cocciniglia (Dactylopius coccus) fissato con allume e mordente sconosciuto. Qui sopra: 03.01.1752, 2015, Nove piatti in ceramica cinese smaltata, depositi marini, conchiglie. 24 × 37 cm. “Nanking Cargo” è il nome dato dalla Casa d’aste Christie agli oggetti recuperati dal un vascello del diciottesimo secolo della Dutch East India Company affondato alla partenza da Canton. Panca con cuscino, disegnata da Finn Juhl nel 1953. Palissandro (Dalbergia nigra) e angoli in ottone, cuscino giallo pieghevole. 40 × 182 × 45 cm ciascuno.
L’architettura del padiglione disegnato da Carl Brummer (1930-32) e Peter Koch (1959-60) è ripulita, spogliata dall’artista vietnamita, di ogni superfetazione che dagli anni ’60 in poi aveva rivestito le forme moderne dell’edificio. I serramenti in teak birmano, i battiscopa in pietra calcarea sono riportati alla luce e liberati dalla pittura bianca che li aveva ricoperti di Biennale in Biennale. Alcune finestre quadrate nella parte alta dell’edificio tornano a essere l’unico modo per dare luce allo spazio a doppia altezza; due porte – aperte negli anni e mai utilizzate – sono state richiuse per restituire integrità al fianco della facciata di mattoni. Un’altra finestra, al piano terra, è di nuovo accessibile e inquadra, dopo anni, una piccola pianta di limone che ha le radici nel terreno dei Giardini. L’impianto elettrico è smantellato. Il padiglione sarà illuminato solo da luce naturale – com’era stato immaginato in origine – e nelle serate d’autunno sarà invaso dalla penombra.
Danh Vo, <i>Lick Me Lick Me</i>, 2015. Danish Pavilion, Biennale 2015
Danh Vo, Lick Me Lick Me, 2015. Torso di Apollo in marmo greco cristallino bianco, laboratorio romano, I-II sec. a.C.; legno; viti. 21 × 32.1 × 48.5 cm. Titolo ricavato dalle frasi del demone nel film L'esorcista (1973)
Non si tratta di feticismo architettonico, l’intenzione di Vo è di ricostituire uno spazio – scheletro e materiali – nel quale poter osservare i propri oggetti reagire. Senza il disturbo di altre tracce. È il progetto di uno spazio propizio dove poter silenziosamente guardare gli oggetti raccolti mescolarsi, senza toccarsi; incontrarsi, senza essere forzatamente in relazione. Nell’opera dell’artista nato in Vietnam, ma cresciuto in Danimarca e ora stabilitosi a Città del Messico – la sua vita è in costante migrazione quanto i pezzi che compongono il suo lavoro – oggetti acquistati in asta, opere antiche rintracciate durante viaggi ed esplorazioni, sono riallestiti e ricombinati nello spazio. I pezzi raccontano storie nelle quali culture e religioni si sciolgono, assorbono, affrontano.
Danh Vo, Judas table, Danish Pavilion, Biennale 2015
Danh Vo, Judas, tavolo disegnato da Finn Juhl in 1949. Palissandro (Dalbergia nigra) con trenta monete d'argento incassate. 73 × 200 × 140 cm. Realizzato dall'ebanista Niels Vodder, Danimarca
Il tavolo Judas disegnato nel 1949 da Finn Juhl è un raffinato pezzo di modernità nordica. Intarsiate, tra le venature del palissandro brasiliano usato dal designer danese, trenta monete d’argento. Ed è così che l’immagine evangelica della borsa di denari di Giuda, evocata qui da Vo attraverso il pezzo di Juhl, intreccia la sua storia con alcuni rami nodosi raccolti a Città del Messico – quercia e ligustro – al termine di alcuni dei quali, sul taglio, è applicata la faccia cesellata di un angelo. Sul tavolo lucidato, accanto ai rami, una bottiglia di tequila prodotta artigianalmente, firmata e intitolata “Lick me. Lick me”. Quattro parole, sono quelle di un demone nell’“Esorcista” di William Firedkin (1973). Modernità, cristianesimo, l’odore antico di bruciato delle foglie d’agave dell’alcool disegnano e definiscono uno spazio nel quale pezzi in apparenza molto lontani sembrano raccontare l’uno dell’altro.
Danh Vo, Untitled, 2015, Danish Pavilion, Biennale 2015
Danh Vo, Senza titolo, 2015. Ligustro (Ligustrum lucidum), quercia (Quercus lepidobalanus). Legno trovato a Città del Messico
Nella sala a doppia altezza una scultura della Vergine dell’Annunciazione (1350) lignea – pioppo quasi fossile, un brandello di natura in trasformazione attribuita alla scuola di Nicola Pisano – è installata usando come base un altro manufatto, una parte di un sarcofago romano, intagliato in marmo greco. Legno e pietra si confondono sullo sfondo rosso di un prezioso panno di seta che, antico e seccamente moderno insieme, ridisegna lo spazio della stanza.

Le ceramiche della pavimentazione del piccolo giardino sul retro del padiglione sono state commissionate da Vo a Oaxaca in Messico mescolando il disegno tradizionale azteco e la geometria moresca.

Su una piccola panca di Finn Juhl  – concepita per sostare, ma immaginata anche per essere base di oggetti e opere – Vo espone alcuni cuscini e nove piatti cinesi, incrostati dal calcare, saldati a formare un’unica figura minerale e marina. Nove piatti – Nankin Cargo, questo il nome del pezzo battuto da Christie’s e acquistato da Vo – recuperati nel 1985 dal relitto di una nave della Compagnia delle Indie Olandesi Occidentali che si accingeva a lasciare la costa cantonese. I pezzi di vasellame in terraglia – piatti decorati, ma in fondo umili – sono ormai concrezione di roccia, testimoni di un passato coloniale, e presentati in mostra sul legno duro di una panca moderna.

Danh Vo, Danish Pavilion, Ceramic tiles handmade in Oaxaca, Mexico in 2015
Danh Vo, Danish Pavilion, Piastrelle in ceramica realizzate a mano a Oaxaca, Mexico nel 2015 con motivo proveniente dalla ex Grande moschea di Cordoba costruita nel 784-86, oggi Cattedrale di Nostra Signora dell'Assunzione (dal 1236)
Quel vasellame è archeologia di una storia da provare a tracciare. Una storia di conquiste, colonie, scambi commerciali e pressioni culturali. Un altro ritaglio di spazio del padiglione dove, in un’atmosfera di apparente semplice domesticità, si fondono temi e questioni quali l’idea stessa di identità politica e nazionale, il dolore del distacco e il silenzio del tempo.
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Danh Vo, Do you know what she did, your cunting daughter? 2015. Danish Pavilion, Biennale 2015
Danh Vo, Do you know what she did, your cunting daughter? 2015. Cristo in legno di castagno policromo in stile fiammingo, realizzato in Portogallo c. fXV-XVI secolo; teak birmano; vetro; incisione di Phung Vo. 253 × 360 × 12 cm. 223.5 × 450 × 12 cm

fino al 22 novembre 2015
Danh Vo
Danish Pavilion
Giardini della Biennale, Venezia

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