Ecco, una Penelope del proprio lavoro che intesse il suo passato col presente, lo rilegge e gli dà nuova forma. S’intrecciano nella narrazione dei video i fantasmi delle storie che la Jonas ha trovato in Nova Scotia, dove sono stati girati. I fantasmi, dice, sono ovunque. Dunque passato e memoria che ci chiamano, figure evanescenti ma mai spaventose.
I fantasmi sono bambini e ragazzi vestiti di bianco, ad evocare l’iconografia del fantasma col lenzuolo, con i quali per molti sabati si è incontrata a New York in un laboratorio creato apposta per questo lavoro e dove di nuovo sono state girate altre immagini che compongono questa narrazione plurima. La presenza dei bambini svela non solo il femminile ma soprattutto incarna contemporaneamente la coscienza collettiva e la speranza. Già perché se la bellissima mostra del curatore ha un difetto è proprio questo è dura, seria, sorprendente a tratti, ma un po’ senza speranza.
Il padiglione ha il pregio di fare un discorso politico in modo poetico, “il personale è politico” del femminismo storico, prende qui una forma aperta che parla a tutti, investendoci della responsabilità verso la terra, gli animali, i nostri figli, e la forma della visione.
La grazia e compiutezza di questo padiglione è stata condivisa dalla giuria della Biennale che alla professoressa emerita dell’MIT Program in Art, Culture and Technology (ACT) ha conferito una menzione speciale.
fino al 22 novembre 2015
Joan Jonas
They Come to Us without a Word
Presentata dal MIT List Visual Arts Center
Commissario e Co-curatore: Paul C. Ha, Direttore del MIT List Visual Arts Center
Co-curatore: Ute Meta Bauer, Direttrice del NTU Centre for Contemporary Art Singapore, Nanyang Technological University
Padiglione degli Stati Uniti
Giardini della Biennale, Venezia
20, 21, 22 luglio ore 21
performance
They Come to Us without a Word II
Teatro Piccolo Arsenale