In nome del retaggio comune di un passato coloniale portoghese una serie di paesi africani, pur geograficamente distanti tra loro, sono stati assunti come ambito di un progetto culturale che ha visto coinvolti numerosi artisti sul piano della ricerca sul territorio.
I paesi in questione sono le cinque Repubbliche africane lusofone di Angola, Capo Verde, Guinea-Bissau, Mozambico e São Tomé e Príncipe; gli artisti sono Suleimane Biai + Filipa César, Filipe Branquinho + Tiago Correia-Paulo + Rui Terneiro, Monica de Miranda, Irineu Destourelles, Kiluanji Kia Henda, e Kwame Sousa + René Tavares; e il progetto è “Ilha de São Jorge”, un’operazione voluta e coordinata da Beyond Entropy Africa, agenzia di ricerca di architettura, urbanistica e di analisi culturale la cui attività tende a concentrarsi sull’Africa.
Beyond Entropy ha proposto agli artisti di realizzare nei rispettivi paesi di riferimento una serie di video riguardanti il significato di questo comune passato storico rispetto allo sviluppo urbano e architettonico della modernità e del presente.
Si tratta infatti di un’eredità che non va letta solo come modello stilistico, ma anche come modello sociale e amministrativo, imposto a questi paesi a costo di un forte strappo rispetto ai modi di vita e alla relazione con il territorio precedenti la colonizzazione. Questa eredità è stata di volta in volta contrastata, elaborata, assorbita, rifiutata; ma si è comunque fortemente radicata e ha influito sullo sviluppo dello stato-nazione moderno; è quindi fondamentale prenderla in considerazione per comprendere come, dopo la raggiunta indipendenza, il discorso postcoloniale sia stato elaborato; e come, tra rotture e continuità, si siano costruite le città di oggi, e quali nuove possibilità si prospettino per il futuro.
Le opere che la ricerca “Ilha de Sao Jorge” ha generato raccontano l’abitare in situazioni diverse: situazioni fortemente urbanizzate in cui convivono vitalità, fluidità, caos ed entropia; o situazioni in cui il rapporto con il contesto ambientale resta preponderante.
Per alcuni degli artisti il genere più consono per cogliere i cambiamenti possibili è la fantascienza: le due opere della serie Journey to The Centre of Capricorn di Filipe Branquinho, Tiago Correia-Paulo e Rui Tenreiro propongono una lettura poetica e surreale dell’architettura coloniale e contemporanea della città di Maputo in Mozambico.
Ancora a Luanda: le immagini di un hotel di stampo modernista situato nel centro città dominano il video di Monica de Miranda Hotel Globo. Scena dopo scena, anche Monica de Miranda racconta la storia della diaspora angolana.
Mentre con l’opera di grande poesia Mionga House, Kwame Sousa e René Tavares colgono frammenti di vita quotidiana degli abitanti della comunità autoctona del sud dell’Isola di São Tomé; qui le trasformazioni sono assai più lente che nelle città, e una piccola comunità vive a tutt’oggi un rapporto di grande comunione con l’ambiente naturale. Tra le capanne di legno in riva al mare scorrazzano ugualmente liberi bambini e piccoli suini, mentre un vento dolce accarezza ogni cosa. Le immagini trasmettono un senso di essenzialità e di quiete e invitano alla contemplazione.
Tra i video di maggiore tenuta ci sono New Words for Mindelo’s Urban Creole di Irineu Destourelles e Uma Cabana, di Suleimane Biai e Filipa César. Nel primo l’artista rinuncia all’immagine e fa scorrere su fondo nero un lemmario composto di densi neologismi, da lui stesso coniati: termini capaci di esprimere, nella forma più sintetica, le caratteristiche di una società in rapida trasformazione. Le mode e i modelli di sviluppo urbano correnti, emersi nella città di Mindelo, nel Capo Verde, sotto lo stimolo della globalizzazione, sono incapsulati in una serie di parole composite, come a ricalcare il costrutto tipico della lingua creola, nata proprio dall’innesto e dall’imprestito. Così Destourelles mette in luce la potente relazione che lega il linguaggio e il luogo, e la capacità di entrambi di rinnovarsi incessantemente. L’opera sottende una denuncia rispetto a scelte e pratiche di vita, improntate al più duro disincanto.
Per Uma Cabana, Suleimane Biai e Filipa César immaginano invece la costruzione di un edificio come esperienza e pratica rituale che ci consentono di articolare la memoria storica e di iscriverla nel presente politico e sociale della Guinea-Bissau.
Il film si offre come una riflessione sull’architettura e sulle sue implicazioni. Gli autori hanno stimolato la costruzione di una grande capanna rotonda, di tipo tradizionale. La capanna è però dotata di alcuni accorgimenti che sono frutto delle conoscenze moderne e che la rendono più resistente e più fruibile. È destinata a un utilizzo comunitario.
Questo tipo di architettura è ormai in via di estinzione. Il lavoro di costruzione, che ha coinvolto gli abitanti di un villaggio intero, ha quindi rappresentato il recupero e la riproposta di un’esperienza individuale e collettiva sia a livello di memoria, sia a livello esperienziale, e ha preso il senso di un rito collettivo. È stata inoltre un’occasione di riflessione sugli effetti delle politiche coloniali e postcoloniali e sull'attuale contesto politico e sociale della Guinea-Bissau.
Il video parla così, una volta di più, del tema paradigmatico della casa come forma culturale profondamente correlata all’ambiente, e delle dinamiche storiche e sociali sottese al concetto di “abitare”.
Ilha de São Jorge è una rassegna stimolante. Presentata per la prima volta presso la Fondazione Cini di Venezia, poi presso HangarBicocca, Milano, sarà a Londra l’11 febbraio 2015 presso l’Institute of Contemporary Arts.