“Niemand hat die Absicht, eine Mauer zu errichten” (“Nessuno ha intenzione di costruire un muro”). Le storiche parole di Walter Ulbricht, primo leader della Germania dell’Est, vennero pronunciate durante la notte del 13 agosto 1961, quando i soldati della DDR erano già al lavoro per erigere il distacco dalla Berlino Ovest.
Confine di luce
Lichtgrenze, l’installazione di Christopher e Marc Bauder – rispettivamente light artist e regista – per celebrare 25 anni dalla caduta del Muro, è un racconto di luce lungo 15 km che attraversa Berlino.
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- Nicola Violano
- 12 novembre 2014
- Berlino
Cinquantatre anni dopo, il 9 novembre 2014, a Berlino si è festeggiato il 25° anniversario della libertà, conquistata dalla caduta di quello stesso muro (il 9 novembre 1989), un’impresa che ha cambiato le sorti di un Paese, ma, più nello specifico, il volto di una città e dei ragazzi presenti che quel limite – ora invisibile, prima di cemento – possono oggi attraversarlo sorridendo, tra musica, mostre e filmati, in bici o passeggiando.
“Lichtgrenze”, teoricamente “Confine di luce”, è praticamente un racconto di luce lungo 15 km, “cucito” da Christopher e Marc Bauder, rispettivamente light artist e regista. È una sperimentazione costruita nel tempo con la collaborazione di altre figure, da Robert Henke all’università di Hannover, che si è occupata della co-progettazione dei dispositivi luminosi completamente biodegradabili.
Gli steli di supporto delle luci in fibra di carbonio, sottilissimi e flessibili, hanno inoltre reso questo progetto globale, avendo coinvolto nella loro costruzione molti Paesi; e l’hanno reso anche versatile, dovendo la stessa officina, che si è occupata di assemblare i totem metallici, occuparsi anche di riciclarne la maggior parte come fa già per materiali simili.
In un’intervista, Christopher Bauder riferisce la volontà di recuperare fisicamente la memoria della barriera con qualcosa di temporaneo, per vederlo ancora infranto nella giornata del 9 novembre. A fare da richiamo, conscio del proprio grado di libertà – e per questo intenzionalmente contrastante con la durezza, il peso e le dimensioni del muro – sono stati scelti 8.000 palloncini, qualcosa cioè di volutamente leggero, che rassomigliasse alla luce e all’aria. Brani di vita vissuta durante gli anni della divisione sono stati riportati alla luce in alcune stazioni dei mezzi pubblici, mostrando il periodo in cui le due influenze politiche, profondamente contrastanti, condizionavano la crescita dell’una o dell’altra parte di città, quella occidentale e quella filosovietica.
Bornholmer Strasse, vecchio passaggio di confine posto più a nord, era la porta che lasciava passare i cittadini della Repubblica Federale a est, senza permetterne il flusso nel senso opposto. Dal ponte, si possono vedere i binari paralleli alla lunga linea dei totem con i palloni, che si perde tra gli alberi fitti e colorati d’autunno, fondendosi con la città dell’infrastruttura, moderna e pesante.
Mauerpark invita invece ad entrare tramite un passaggio sospeso sulla vegetazione folta e ingiallita, tenendosi lineare e mai uguale a se stesso fino all’altura che, venticinque anni fa, creava una barriera in cemento con la Berliner Fernsehturm, la torre della televisione simbolo della capitale tedesca, sempre visibile sullo sfondo come l’ago di una bussola.
Il Memoriale del Muro sulla Bernauer Strasse è stato trasformato in un’esposizione di 1,4 km all’aria aperta. In mostra, volti e foto di fughe straordinarie, tra i segni ancora visibili delle fortificazioni, che portano i propri passi alla Chiesa della Riconciliazione oggi riedificata. Il cronologico ritmo degli anni è scandito sulle fiancate degli edifici che fronteggiavano il Muro, ora ricostruito in questo tratto da una serie di aste metalliche che si lasciano attraversare agevolmente, rievocando il confine ma con la fondamentale possibilità di varcarlo. Porta di Brandeburgo. È il centro degli eventi pubblici, dove la rappresentanza è massima e non si lascia avvicinare facilmente, dove il traffico è bloccato da molto prima che l’evento abbia avuto inizio, dove i simboli della rivoluzione sono ostentati, dove la musica continua di sera e il primo palloncino del 9 novembre 2014 è volato in cielo.
Potsdamer Platz. Qui si trovano i luoghi delle storie, che appartengono a una città ormai differente e con un palinsesto urbano molto complesso, una pavimentazione diversa che dichiara il vecchio tracciato fortificato. Potsdamer è una piazza cava al cui interno viaggia la metropolitana, sopra la quale i grattacieli – fino a poco fa inesistenti – oggi sembrano dettare le regole del vivere, del costruire e del concepire la forma della nuova città. Checkpoint Charlie. Sono due i volti che ricordano le precise regole dei settori, occidentali e sovietici. Una cabina con i passaggi a livello quantifica il peso di un muro, nei suoi significati e nelle sue amare conseguenze, quando questo non lasciava via d’uscita né d’entrata.
East Side Gallery. Qui, il palloncino è un oggetto che appartiene a una figura giovane e sembra richiamare la vocazione di questo ambiente sempre rinnovato. Il Muro qui è ancora presente, ma non è riconoscibile: è sulla Sprea, è un dipinto lungo cento artisti.
In queste sette aree cruciali, che attraversano Berlino da nord a sud, 8.000 palloncini illuminati hanno offerto lo spazio alla storia di chi quei momenti li ha vissuti, di chi quel muro ha cercato di oltrepassarlo, di chi ancora oggi ricorda gli anni in cui mai avrebbe pensato di poter riabbracciare qualcuno oltre la linea dell’ex barriera, che ora è un limite fatto di sola luce. Nella Berlino riunificata, le diverse generazioni si confrontano nella festa di una vittoria partita da una rivoluzione pacifica, cominciata dalle frontiere dell’Ungheria e arrivata fino al centro della Germania, grazie all’opera di uomini coraggiosi scesi in piazza per abbattere i confini, con la forza di un fiume in piena che non può frenarsi.
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