Così come si riversano l’una nell’altra, agendo di concerto, le tante opere esposte in questa mostra magistralmente allestita da Andrea Lissoni nella buia navata dell’HangarBicocca – una ventina in tutto, realizzate dalla fine degli anni Sessanta a oggi. Più che installazioni, macchine relazionali complesse e articolate – decentrate, ridondanti e fuori controllo – che come molti capitoli di un aquilone dalla lunga coda si rincorrono dandosi la voce a vicenda, per poi raccogliersi in un bouquet degno di una regina.
Joan Jonas trotta da un’opera all’altra, nelle sue diverse età, come una cavallerizza da circo, per poi volatizzarsi all’improvviso, come Alice attraverso lo specchio.
A fare da baricentro mobile di questa passeggiata troppo lunga per visitatori occasionali è Lines in the Sand (2002), un’installazione tentacolare e caleidoscopica, che rappresenta una deriva, un punto di non ritorno (dall’espressione inglese “to draw a line in the sand”). “Tutti noi conosciamo la storia di Elena di Troia”, recita la voce narrante, “ma solo alcuni l’hanno seguita in Egitto. Come vi è giunta?” L’opera rimestola con dovizia di dettagli una leggenda risalente alla notte dei tempi (con protagonisti un re, una regina e un toro di nome Bianche-corna) con i saggi della poetessa imagista Hilda Doolittle, Tribute to Freud (1956) ed Elena in Egitto (1961), in cui si afferma che Elena non giunse mai a Troia e che greci e troiani combatterono, in realtà, per un surrogato, un fantasma, un’illusione.
Il risultato è un decotto molto coinvolgente di miti, visioni, presenze, che oscura il cosiddetto mondo reale, tangibile, e lascia illuminato solo quello inconscio, pseudoimmaginario. Un’allucinazione a tinte forti, dove una chaise longue verde lime (rivisitazione del lettino dell’analista) invita a un viaggio nel dimenticato, nell’inosservato, nel paranormale. “Elena era una stella, una nave o un tempio?” “La guerra era inevitabile? Chi ha vinto? Chi ha perso?” Sfingi e spirali. Vesti viola, blu, nere, a quadri e a righe. Greggi di pecore e di montoni. Il melograno rovinato dall’inverno, il melograno in fiore. Il suono del gesso sulla lavagna. “Ho visto il mondo attraverso la mia doppia lente, sembrava che tutto si fosse rotto, tutto tranne quella”. La piramide di Cheope. La piramide di vetro del Luxor Hotel. Tutto gira, s’arresta, riprende a girare. Un battito di ciglia, e la sfinge è a gambe all’aria. E sul drappo di sabbia dorata di Lines in the Sand sembrano posarsi luccicanti fiocchi di neve.
fino al 1 febbraio 2015
Joan Jonas. Light Time Tales
HangarBicocca, Milano