In un’opera di questo periodo, Shirt, esposta nell’ambito della mostra, la tela prende la forma di un abito percorso da un testo fitto, tracciato a mano. A essere così evocato è il corpo: il suo bisogno di protezione, ma soprattutto la sua forma e le proprietà espressive che ne fanno veicolo di soggettività.
L’arrivo negli Stati Uniti e l’interesse per l’architettura e per la filosofia occidentale, per il pensiero di John Dewey in particolare, generano nell’artista una rapida evoluzione.
A partire dal 1968 Armajani comincia a elaborare il tema dell’abitare in interno e in esterno e realizza una serie di modelli di situazioni abitative, e di luoghi d’incontro, di aggregazione, come giardini e gazebi; e soprattutto di ponti. In questi ultimi l’artista vede strutture funzionali, ma di grande valore metaforico. Se il ponte, con la sua capacità di colmare una distanza, costituisce sempre una grande metafora, per Armajani i ponti sono vere e proprie utopie in costruzione; strutture complesse in cui forma, senso e funzione sono inscindibili.
Nel 1968 uno dei suoi primi progetti di ponte viene realizzato a White Bear Lake, nel Minnesota; si tratta di First Bridge, una struttura coperta lunga 38 metri, alta 305 cm all’ingresso, 120 cm all’uscita.
Per il resto, fino al 1980, le sue visioni si concretizzano per lo più in modelli. Si tratta di stanze, capsule abitabili, microcase concepite ognuna per risolvere una specifica esigenza; o di elementi di arredo urbano come panche e sedute. Procedendo per variazioni sui temi di base, l’artista interpreta, sviluppa possibilità diverse che si offrono nel disegno dei muri, dei pavimenti e dei soffitti, degli ingressi e delle uscite. Proprio la scala ridotta gli consente di sperimentare liberamente. Realizzati con i materiali più svariati, dai ritagli di cartone riciclato a pezzetti di legno di diversa provenienza, i suoi modelli prefigurano un abitare sobrio, intimo ma calibrato su desideri e necessità; razionale, ma capace di rispettare la soggettività. Fanno emergere le esigenze più profonde dell’individuo e della collettività e, lungi dall’identificarsi con la sola finalità funzionale, parlano di equilibrio e di armonia; né mancano di dare forma sensibile alla riflessione intorno al rapporto tra uomo e natura.
Con le sue sculture Armajani mette così in discussione la grandiloquenza e l’egocentrismo di tanta architettura.
Ognuno di questi progetti manifesta così un alto valore simbolico; ma offrendosi come luogo d’incontro e area comune genera al contempo una sensazione di vitalità e d’inclusione.
Più avanti, sotto la pressione degli eventi politici, l’artista sposterà l’attenzione in una nuova direzione. Materiali freddi come il metallo e il vetro sostituiranno il più caldo e domestico legno, le forme spigolose di un’architettura della costrizione prenderanno il posto delle precedenti e genereranno un profondo cambiamento di tono. Opere come Cellar, o Fallujah sottolineeranno una condizione di spaesamento, di controllo, di claustrofobico esilio o di prigionia. L’abitare può diventare pena e punizione.