L’idea stessa di museo è, fortunatamente, estranea al tempo e alle pratiche di ricerca artistica di Bob Wilson. I precedenti inviti del Louvre a intellettuali, artisti e note personalità della cultura, li avevano di fatto impegnati nella verifica del funzionamento e nella ricontestualizzazione del concetto di collezione.
Living Rooms
Una grande installazione di Bob Wilson occupa la Salle de la Chapelle al Louvre: contiene i materiali delle sue collezioni che si trovano al Watermill Center di Long Island e una serie di video in cui Lady Gaga reinterpreta alcuni famosi dipinti.
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- Ivo Bonacorsi
- 11 dicembre 2013
- Parigi
È con un escamotage teatrale, contenuto già nel titolo del suo intervento – Living Rooms – che la vedette americana gioca invece con l’idea tutta privata del luogo e installa un iconico appartamento privato, una sorta di loft minimalista in legno chiaro. Mobilio leggermente Armaniano o Judd dei primordi ma dotato in chiave burlesque addirittura di una vasca da bagno con vista sulle Tuileries.
Un cambio di decoro, scioccante, un volontario posizionamento, intriso di rara volgarità urbana. Difficile non pensare ad American Psycho o ad alcune descrizioni di ambienti alla Bret Easton Ellis. Un display video con una scena di bondage kimbaku/shibari di fronte al letto. È il Louvre e siamo metaforicamente distanti anni luce dal suo Watermill Center, quell’oasi di serenità contemplativo-creativa ideata da Wilson a Long Island. È in quel monastero laico, ex-spazio industriale, che sono conservati gli archivi personali e di lavoro, tra cui Wilson officia da gran sacerdote dell’estetica contemporanea.
Difficile immaginarli, svuotati di questi suoi umili e preziosissimi tesori, temporaneamente riconfigurati qui, nella Salle de la Chapelle. Occupano lo spazio, senza soluzione di continuità e praticamente privi di gerarchia espositiva, dal pavimento al soffitto integrando alcune delle sedie feticcio che hanno punteggiato tanti suoi set teatrali, ora piuttosto ricercate dai collezionisti nelle aste di arte contemporanea. Una geometria superflua regola un regesto di arte oceanica, disegni, foto, effemera e memorabilia assortiti, che l’artista ha raccolto durante tutta la sua vita. È un ossimoro spazio-temporale sul valore quello che Wilson vuole imporre.
Nella sua idea di raccolta, una antica e preziosa ceramica cinese richiede la contiguità di un oggetto trovato nella spazzatura o all’angolo di una strada. E con un sillogismo possiamo pensare che la scarpetta di Marlène Dietrich non sia che la traccia di una attività feticistica, che ci pone tutti allo stesso livello di ‘spazzaturismo’ culturale. Ciò che è indispensabile è condividere lo spazio della rappresentazione. L’effetto Wilson al Louvre è tragicomico, visto che indossa il camice da artista pompier ed è un gigante, nella sua velleità di portarvi Lady Gaga.
Con i suoi videoritratti, che si rifanno ad alcuni insidiosi capolavori, la pop-singer è calata nell’immobilità reclinata del Marat di David, assassinato nella vasca, o veste il candido neoclassicismo con ermellino di Caroline Riviere dipinta da Ingres. Mormora per il Marat, e le sue lacrime segnano lo splendido ritratto ingresiano. Come un cigno che attraversa lentamente il cielo, sono i soli segni di discrepanza con l’algida pittura qui conservata e monito alle future possibilità di sopravvivenza delle belle arti. Si tratta di un vasto progetto video che comprende anche una decollazione del Battista dipinta da Andrea Solari nel 1507.
Al Louvre è possibile vedere la serie nella sala della Maquette ma ne esiste una versione ancor più domestica da godere assieme all’interessante e intenso backstage del bondage alla galleria Taddheus Ropac fino a gennaio. La performer e il regista sono impegnati in un lavoro di realizzazione molto intenso. A ogni stagione si riannodano i fili dell’amore reciproco con Parigi dalla prima benedizione pubblica di Aragon, che Wilson ricevette nel 1971 ed era contenuta in una lettera aperta scritta a Breton in cui fu definito … le rêve de ce que nous fûmes, c’est l’avenir que nous prédisions… Erano i tempi dello Sguardo del Sordo.
Oggi però pur amando la reiterazione dei tempi wilsoniani queste sembrano sale dei passi perduti, che oramai si attraversano più con una misura godardiana, quella di Band a Part. Wilson cerca di contrapporre una metafisica Cageana, a questo che è un museo popolare. Ha rappresentato all’auditorium la conferenza sul nulla di John Cage e anche il suo adattamento dei funerali di Marina Abramovich: un sermone sulla morte dell’arte tout court.
La vera novità in questa incursione al museo è questo mescolare cult e mainstream. Paul Thek un misconosciuto artista americano, e suo collaboratore degli esordi, è per la prima volta al Louvre con un suo reliquiario tecnologico e gli è stata dedicata una conferenza. È probabilmente alla luce del lavoro di Susan Sontag, e del concetto di Camp a lei caro, che questo intervento "time and site-specific" andrebbe riletto: esagerato, fantastico, per certi versi distante e abietto, ma da non prendere troppo seriamente perché, come il Marat di Lady Gaga è lontano dalla tragedia e non poco venato di tonalità da remake.