Ciò che la mostra alla Cité de l’Architecture racconta è, in fondo, la storia del primo riuscito progetto di mondializzazione dell’arte, insieme alla sua declinazione in una miriade di linguaggi regionali.
Ovviamente, non mancano oggetti aneddotici, avventure e belle favole: dal mobilio tutto in alluminio di Tamara de Lempicka ai sodalizi tra sarti e architetti, come Louis Suë André Mare e Jean Patou e il relativo merchandising da collezione. Vincono però sull’allestimento simildéco la centralità e l’importanza del soggetto: l’affacciarsi di un’idea dell’architettura come veicolo nella diffusione dei brand e nella conquista di mercati, presagi primordiali di ciò che oggi equivale al gigantesco e spesso tristissimo proliferare di mall e outlet purtroppo nemmeno d’autore.
Un interessante asse di sperimentazione è infatti costituito dai padiglioni eponimi dei grandi magazzini (Grands Magasins du Louvre, del Bon Marché e delle Gallerie Lafayette), creati con la loro modernità straordinaria ai piedi del Grand Palais. Veri gioielli di decoro, La Pomone, Studium, Primavera, La Maîtrise furono non solo l’esempio ineccepibile del nuovo design d’interni, ma anche spettacolari prodezze di tecnica costruttiva.
Splendidi e tanti i disegni in mostra. Alcuni sono davvero imperdibili, come il tetto originale di Primavera in cemento armato che ingloba le realizzazioni in vetro di Réné Lalique.
L’intero padiglione sovrastato da una cupola di 20 metri di diametro che appoggiava su otto pilastri, ossatura costruita dai fratelli Perret e decorata da Charlotte Clauchet-Guilleté.
Campionature ben documentate dei tentativi di mostrare al mondo questa eccellenza tutta francese, un business e uno showroom a cui quasi nessuno degli artisti e architetti in voga si sottrasse.
Non furono pochi quelli che costruirono edifici a proprie spese come Jacques Emile Ruhlmann con il suo Hôtel del Collezionista. E per tanti padiglioni che fecero storia come la Maison du Tourisme di Mallet-Stevens, di altri si conservano mobilio e ambizione nel programma di esportazione del gusto.
Emblematica fu la realizzazione, da parte della società degli artisti decoratori con il patronato del Ministro delle belle arti, di un’ambasciata francese che raccoglieva il fior fiore dei nuovi esponenti del gusto e che porterà a qualche realizzazione maggiore come l’ambasciata di Ankara di Albert Laprade o quella di Ottawa che vide anche Jean Prouvé tra i realizzatori.
La mostra è percorsa da vere storie della modernità (tutta Ventesimo secolo) con i transatlantici Normandie e Ile de France, reperti e documentazione sui loro straordinari interni e uno splendido film sulla vita di bordo. Cinema e aeroporti hanno un’importanza capitale nella documentazione, così come le sedi istituzionali delle grandi nascenti corporation.
Alla fine è possibile ritracciare, anche nel bel catalogo, la storia di un’edizione specialissima di una fortunata esposizione internazionale.
Dimenticandosi della bella teca di tappi di radiatori d’automobili o dell’assenza (fortunatamente) di bijoux déco finalmente, si potrà apprezzare il contributo di Josephine Baker e All Brown allo studio e alla promozione della cultura africana: in fondo, gli “anni folli” hanno generato sì musei etnografici ma anche, allo stesso tempo, una diversa idea di turismo culturale.
Fino al 17 febbraio 2014
1925, quand l’Art Déco séduit le monde
Cité de l’Architecture et du patrimoine
Palais de Chaillot
1 place du Trocadéro, Parigi